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CALCIO E INTERESSI

Italia senza Mondiali, la partita era già persa

Siamo sicuri che sia un danno non esserci al prossimo Mondiale?  Se la competitività è decisa dal denaro, la partita per l’Italia è irrimediabilmente perduta. Ma proprio per questo si deve puntare ad altro. A questo tipo di calcio non interessa coltivare il settore giovanile o l’identità sportiva nazionale. Molto meglio transizioni di compravendita, specie all’estero e dall’estero, tanto più se costose. Appunti per risollevarsi. 

Editoriali 26_03_2022

Siamo sicuri che sia un danno non esserci al prossimo Mondiale? Sul piano dell’immagine sicuramente lo è: nessuna vincitrice della Coppa del Mondo nell’ultimo quarto di secolo ha mai subito l’onta di una doppia esclusione consecutiva dalla più prestigiosa competizione del calcio internazionale.

Per di più a farci fuori, in casa nostra, è stata una nazionale di tutto rispetto ma che occupa il posto 67 del ranking mondiale dietro a squadre come Congo, Panama, Burkina Faso.

E’ vero che giocando tra fine novembre e metà dicembre, per di più con tre partite giornaliere su quattro in pieno orario lavorativo, l’appeal dell’evento qatariota non sarà dei migliori... ma insomma: perdere una vetrina simile non fa certo piacere.

Eppure sul piatto della bilancia – come sempre – ci va messo tutto. Si può parlare di crisi, quando solo otto mesi fa alzavamo al cielo la Coppa del campionato europeo di calcio per nazioni dopo aver battuto, tra le altre Belgio, Spagna e Inghilterra? Sì, se dovessimo rassegnarci a considerare quel trionfo un miracolo unico e irripetibile, non la punta dell’iceberg di un movimento che a ben vedere effettivamente non c’è.

Non è un mistero che sul piano tecnico a livello di club possiamo vantare negli ultimi cinque anni come miglior risultato una semifinale di Champions League con la Roma: nel decennio alle spalle su 20 trofei nelle due principali competizioni europee, 18 se li sono portati a casa spagnoli e inglesi, i restanti due il Bayern Monaco.

Tra l’altro a livello economico oggi per trovare un club di proprietà italiana nella serie A bisogna scendere al settimo posto della classifica con la Lazio di Lotito. Non è il caso di Real Madrid, Barcellona, Atletico, Bayern Monaco. Si potrebbe controbattere che nella Premier League solo un team dei primi dieci in classifica è di proprietà inglese: il Tottenham.

Ma il punto è proprio questo: se la competitività è decisa dal denaro, la partita per l’Italia è irrimediabilmente perduta. Ma proprio per questo si deve puntare ad altro. Che calcio professionistico è il nostro? Quello che negli ultimi dieci anni ha lasciato sul campo quasi un terzo delle società, ha accumulato perdite per 4 miliardi, un indebitamento di quasi 5 miliardi e passività per 6,5 miliardi. Quale imprenditore assennato investirebbe in un business a perdere? Nessuno, a meno che sia un mecenate, uno Stato (tipo il matrimonio Qatar-Paris Saint Germain) o qualcuno che deve riciclare ingenti flussi di denaro sporco.

Questo tipo di calcio dai costi non sostenibili e dalla non compatibilità finanziaria ha un futuro (ma ormai anche un presente) solo nelle mani della criminalità organizzata, seppure col filtro dei colletti bianchi di questo o quel fondo.

A questo tipo di calcio non interessa coltivare il settore giovanile o l’identità sportiva nazionale. Molto meglio transizioni di compravendita, specie all’estero e dall’estero, tanto più se costose. Certo, non è un fenomeno solo italiano, ma la provincialità del nostro prodotto-calcio unito alla nostra decadenza economica ci impediscono comunque di stare al pari degli altri. Tanto vale mutare registro.

Dunque questa seconda sberla consecutiva a cacciarci dal palcoscenico principale del calcio può essere salutare per cambiare strada. Ma scommettiamo che verrà strumentalizzata, invece che per un cambio culturale la si userà come argomento in più a richiedere finanziamenti dallo Stato? Sarebbe una sciagura! Saremo sempre più costretti ad espedienti, per esempio dare un passaporto italiano a calciatori scartati da altre Nazionali con lo scopo di galleggiare e niente più, aggrappandoci magari alla ciambella di salvataggio dei Mondiali 2026, che si svolgeranno tra USA, Messico e Canada: lì le squadre ammesse invece che 32 saranno 48. Di questo passo però un tale cospicuo allargamento potrebbe addirittura non bastare a farci spazio…