Israele e palestinesi, trattativa al buio
Riprendono i negoziati di pace in Medio Oriente, ma senza troppa convinzione. Pesa molto l'incognita di Gaza, controllata da Hamas, ma con una presenza qaedista che ha già fatto sentire la sua voce. E potrebbe tentare qualche azione proprio in occasione dei colloqui.
L'appuntamento per la foto di rito con le due delegazioni intorno allo stesso tavolo è fissato per mercoledì 14 a Gerusalemme. Anche se non è escluso un rinvio dell'ultimo minuto, dopo che domenica il governo Netanyahu ha deciso di dare il via libera a 1200 nuovi appartamenti nelle colonie in Cisgiordania. Serviva a indorare un po' la pillola dei 26 prigionieri palestinesi che oggi torneranno liberi. E a Ramallah - ovviamente - non l'hanno presa benissimo. Ma in fondo anche questo balletto fa parte di quel grande gioco di società che pomposamente tutti chiamiamo “processo di pace in Medio Oriente”.
L'arbitro da Washington ha deciso che bisogna tornare a giocare e quindi il negoziato riparte, sotto i buoni auspici del segretario di Stato americano John Kerry, che negli ultimi mesi ha fatto la spola con il Medio Oriente. Si ricomincia dopo che alla fine del 2009 si era arenato tutto intorno al blocco delle nuove costruzioni negli insediamenti, iniziativa sostenuta fiaccamente da Obama e alla quale Netanyahu aveva potuto rispondere picche. Così - molto più prudentemente - stavolta israeliani e palestinesi ricominciano a trattare praticamente al buio. In teoria un fatto nuovo sul tavolo avrebbe dovuto esserci: la presa di posizione dei Paesi della Lega Araba in favore dei confini del 1967 come base dei negoziati. Ma una posizione del genere è fumo negli occhi per l'ala destra della maggioranza eterogenea che sostiene Netanyahu; quindi Kerry si è guardato bene dal menzionarla nella “convocazione” per la ripresa dei negoziati. E con tutto quanto sta succedendo nella regione oggi la Lega Araba non è certo nelle condizioni per fare la voce grossa su una questione del genere.
Proprio il quadro generale del Medio Oriente in fiamme - del resto - ha spinto fortemente in direzione della ripresa dei negoziati. In piena crisi di immagine nel mondo arabo Washington ha assolutamente bisogno di un risultato. Da parte sua Netanyahu sa che se il vento delle “primavere arabe” arrivasse sul serio anche a Ramallah per lui diventerebbe tutto più complicato. E ad Abu Mazen non sembra vero di ritrovarsi un po' più forte rispetto a ieri grazie all'esito della crisi egiziana che sta avendo ripercussioni molto pesanti per Hamas. Tutto questo, però, non basta a rimettere magicamente i cocci a posto. E dunque non si capisce come intorno a quel tavolo potrebbero avvicinarsi posizioni che appaiono tra loro lontanissime su questioni come i confini del futuro Stato palestinese, Gerusalemme est come capitale o la soluzione della spinosa questione dei profughi.
Comunque la foto di rito intorno a un tavolo ci sarà e le diplomazie di mezzo mondo potranno intanto dire compiaciute che hanno qualcosa da sostenere in Medio Oriente. Per il momento forse ci si potrebbe accontentare aspettando scenari un po' più chiari. Se non fosse per una preoccupazione: il grande gioco di società tende spesso a dimenticare chi al tavolo non c'è e potrebbe avere la tentazione di rompere le uova nel paniere. Da mercoledì, dunque, le delegazioni ufficiali di Israele e della Palestina cominceranno a srotolare sul tavolo in gran segreto le solite mappe e i protocolli sulla sicurezza. Ma siamo sicuri che a Gaza staranno a guardare?
Da anni la Striscia al confine con l'Egitto è l'anello debole del Medio Oriente: da qui partono le escalation più pericolose. Hamas - il movimento islamista che la governa - oggi ha perso l'alleato più importante, i Fratelli Musulmani, scalzati dai militari dalla stanza dei bottoni in Egitto. Non bisogna dimenticare che proprio Mohammed Morsi era stato il mediatore della tregua che aveva concluso sostanzialmente senza né vincitori né vinti l'ultima breve ma sanguinosissima guerra con Israele nell'inverno scorso. Oggi lui non c'è più. E intanto nel vicino deserto del Sinai sono venuti allo scoperto i gruppi qaedisti insediatisi lì da tempo, che hanno loro cellule anche a Gaza. Di fronte al perdurare dell'instabilità al Cairo potrebbero essere tentati di trasformare la Striscia nella loro roccaforte. E come cambierebbe a quel punto la fisionomia dell'intera regione?
Un'avvisaglia la si è avuta nei giorni scorsi quando un gruppo jihadista ha accusato Israele di aver compiuto nel Sinai - in accordo con l'esercito egiziano - un attacco con un drone contro un gruppo di propri militanti, rimasti uccisi. Sia l'esercito israeliano sia i generali al Cairo hanno smentito. Ma la storia non è così inverosimile. E soprattutto ha ricordato a tutti che le cittadine israeliane del Negev sono molto più vicine di quanto sembri a tutto ciò che si sta muovendo intorno alla capitale egiziana.