Irresponsabile altruismo delle Ong del mare
Ong del Mediterraneo nel mirino. Sono sospettate di collusione con gli scafisti. Secondo la Procura di Catania i contatti ci sono stati: telefonate, fari che illuminano la rotta verso le navi, transponder delle navi spenti. E una responsabilità diretta nelle morti nel Mediterraneo c'è già, a prescindere dai contatti diretti: da quando le Ong operano al largo delle coste libiche, le partenze sono aumentate del 40%. E contestualmente anche i morti.
“Abbiamo evidenze che tra alcune Ong e i trafficanti di uomini che stanno in Libia ci sono contatti diretti. Non sappiamo ancora se e come utilizzare processualmente queste informazioni, ma siamo abbastanza certi di ciò che diciamo: telefonate che partono dalla Libia verso alcune Ong, fari che illuminano la rotta verso le navi di queste organizzazioni, navi che all'improvviso staccano i trasponder sono fatti accertati”. Con queste semplici e chiare parole, in un’intervista rilasciata a La Stampa il 23 aprile, il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, sta confermando quel che molti già subodoravano da almeno un anno: le Ong stanno svolgendo un servizio taxi per gli emigranti clandestini nel Mediterraneo. In attesa di sapere come andrà a finire questa storia, di sapere se vi sia una collusione vera e propria fra volontari del mare e scafisti, ieri sono stati pubblicati i dati dell’Oim, Organizzazione Internazionale delle Migrazioni: più partenze e più morti nella rotta centrale del Mediterraneo.
“Su Ong come Medici senza frontiere e Save the Children davvero c'è poco da dire. Discorso diverso per altre, come la maltese Moas o come le tedesche, che sono la maggior parte”, rilevava il 23 aprile il procuratore Zuccaro nella sua intervista. Tutte le nove Ong che operano nel Mediterraneo sono, comunque, sotto la lente della procura: “Per quelle sospette dobbiamo capire cosa fanno, per quelle buone occorre invece chiedersi se è giusto e normale che i governi europei lascino loro il compito di decidere come e dove intervenire nel Mediterraneo”. “L'inchiesta richiede tempi che l'Europa non si può permettere e d’altronde la risposta giudiziaria non è sufficiente, nonostante la notevole collaborazione che riceviamo da tutti. Il problema resta essenzialmente politico e i governi europei, non solo quello italiano, devono intervenire subito”. Perché “Per me, quei 250mila in arrivo quest’anno sono una stima per difetto”.
Queste dichiarazioni hanno provocato un forte dibattito politico pro e contro le Ong immigrazioniste. Ma non si può dire che rivelino qualcosa di completamente sconosciuto. Frabrice Leggeri, il direttore di Frontex (l’agenzia dell’Ue della guardia di frontiera e costiera), un’intervista rilasciata a Die Welt il 27 febbraio scorso, affermava le stesse cose: il fatto che il 40% delle operazioni di salvataggio siano ormai condotte da Ong rende difficili le operazioni di indagine e di controllo. Nel rapporto Frontex sulla valutazione del rischio, le Ong vengono addirittura definite “taxi” dell’emigrazione clandestina.
Prima ancora del rapporto Frontex, il 15 dicembre 2016, il quotidiano britannico Financial Times (non certo un tabloid popolare) scriveva di essere in possesso di un rapporto interno di Frontex nel quale l’Agenzia europea lamentava collusioni delle Ong con i trafficanti di esseri umani sulle rotte migratorie tra Libia e Italia. I migranti, secondo questo rapporto riservato, riceverebbero “chiare indicazioni prima della partenza sulla direzione precisa da seguire, per raggiungere le imbarcazioni delle Ong”. Frontex affermava inoltre che fosse stato perfino registrato un “primo caso in cui le reti criminali hanno trasportato i migranti direttamente sull’imbarcazione di una Ong” (senza specificare quale) e che in generale le Ong non collaborano nella raccolta delle prove per le indagini sui trafficanti.
“Ci accusano di essere i taxi del mare? E' falso, Frontex distribuisce fake news”. Rispondeva alle accuse, sulle pagine del quotidiano La Stampa Hans-Peter Bushheuer, portavoce della Ong tedesca Sea-eye. “Loro dicono che disturbiamo i soccorsi, noi diciamo invece che collaboriamo con il dispositivo Frontex per soccorrere vite umane. Non portiamo i migranti in Italia, li soccorriamo in mare e basta”. Ora che il caso sta diventando ufficiale, dal momento che è possibile anche un’inchiesta della magistratura, si alza il coro in difesa delle Ong che salvano gli emigranti. Lo scrittore Roberto Saviano, su La Repubblica, ricorda che, nel 2016, su un totale di 181.436 migranti soccorsi e portati in sicurezza in Italia, 49.796 lo sono stati da Ong, più di quelli salvati dalla Guardia Costiera (35.875), dalla Marina Italiana (36.084) e dalla stessa Frontex (13.616), secondo dati della Guardia Costiera Italiana.
Anche ammettendo la perfetta buona fede delle Ong che operano nel Mediterraneo e sperando realmente che non vi sia alcuna collusione fra queste e i trafficanti di esseri umani, è lecito chiederci: realmente salvano più vite? Oltre ai dati ufficiali citati da Saviano, c’è da ricordarne altri. Secondo il rapporto Oim pubblicato ieri, sono aumentati gli sbarchi sulle coste italiane di emigranti partiti dalla Libia: erano 25.353 nel periodo 1 gennaio – 23 aprile 2016, nello stesso periodo del 2017 sono invece 36.851. Contestualmente sono aumentati anche i morti. Sono 1002 in questi primi mesi del 2017, mentre erano 853 nello stesso periodo del 2016. Sono 149 morti in più. Eugenio Ambrosi, direttore generale dell’Oim in Europa dichiara di “non essere a conoscenza di casi comprovati di collusione” fra Ong e scafisti. Ma “non possiamo essere ingenui” aggiunge Ambrosi. Oggi le “navi di soccorso di Ong” operano “vicino alle acque libiche”. E questo, “può essere sfruttato dai trafficanti. Non costituisce una collusione deliberata, ma richiama l'attenzione sulla necessità di definire meglio il ruolo e le regole delle Ong e le risorse dell'Ue per l'obiettivo principale di garantire che nessuno muoia in mare”.
Sempre ieri la portavoce di Frontex, Izabella Cooper, citava cinque semplici fatti che, da soli, spiegano la grave responsabilità delle Ong che operano nel Mediterraneo. Primo: “l'area di ricerca e salvataggio è cambiata: mentre nel 2011 le barche che trasportavano i migranti arrivavano fino a Lampedusa e nel 2014 i salvataggi avvenivano a metà strada fra la Libia e l'Italia, nel 2016 e 2017 l'area di ricerca e salvataggio si è spostata al limite delle acque territoriali libiche”. Secondo: “il numero di persone che viaggiano a bordo dei gommoni è aumentato: da circa 90 in media nel 2014 per imbarcazioni di 10 metri, nel 2016 e 2017 sono circa 170”. Terzo: “la qualità dei materiali di cui sono fatte queste barche è drammaticamente peggiorata negli ultimi due anni, la gomma è più sottile e costituita da una sola camera d'aria”. Quarto: “mentre nel 2014 la quantità di combustibile era sufficiente per fare lunghi percorsi, ora basta appena a lasciare le acque territoriali libiche. Lo stesso vale per l'acqua da bere e il cibo”. Quinto: “inoltre, recentemente abbiamo notato che i trafficanti tolgono i motori dalle barche quando vedono una nave di soccorritori nei paraggi, lasciando i gommoni pieni di gente alla deriva e in pericolo, per riutilizzare il motore per un altro viaggio”.
Il nesso causa effetto è lampante: la presenza delle navi delle Ong sotto le coste libiche incoraggia il traffico di esseri umani. E aumenta le morti in mare. Altruisti sì, ma quanto responsabili?