TESTIMONIANZA
«Io, mecenate felice del XXI secolo»
«Sono davvero orgogliosa di aver sponsorizzato la Sala Matisse nei Musei Vaticani. Un gesto d'amore verso la Chiesa».
Attualità
01_07_2011
Tutti dobbiamo amare la Chiesa, come lei ci ama. Non dobbiamo confondere gli uomini con la sposa di Cristo. A chi afferma che: “La Chiesa è un’istituzione santa fatta da peccatori“, io rispondo: sarà. La verità è che la Chiesa è sicuramente l’unica istituzione che vale la pena di aiutare oggi.
La ragione è semplice: lei sopravvive, da due millenni. Resiste al passare del tempo, alle guerre, alle conquiste, all’odio, alla calunnia. E’ eterna. E’ lì per noi. E’ a lei che ci rivolgiamo quando siamo soli e deboli, tristi e abbandonati. I suoi sacerdoti sono quelli che ci accompagnano quando nasciamo, ci battezziamo, facciamo la Comunione e la Cresima, ci sposiamo, moriamo. Sono gli alter Christus che ci impartiscono i sacramenti, che ci consolano e ci guidano.
Sono stati i Pontefici a darci l’orgoglio di essere cristiani. Possiamo forse dimenticare Gregorio Magno e la sua azione? Pio V e la sua battaglia di Lepanto? Pio XII e la generosità con la quale ha aiutato gli ebrei? Giovanni Paolo II e la spallata data al comunismo? Benedetto XVI ed il coraggio con il quale sta risanando la Chiesa? Sono cose che non dobbiamo dimenticare, soprattutto in un momento come questo, in cui la Chiesa è ferita ed è lei ad avere bisogno di noi. Possiamo aiutarla, in modo concreto. Da una parte, aiutando i suoi sacerdoti, le migliaia di preti che in tutto il mondo si dedicano agli altri e devono anche lottare per “lavare” il nome della Chiesa, imbrattato dai pochi che hanno infranto i voti e calpestato la loro vocazione. Dobbiamo aiutare i molti a sopravvivere, anche spiritualmente, ai misfatti dei pochi. Possiamo farlo con la preghiera, con l’appoggio spirituale ma anche materiale. Anche questo è un modo per ringraziare la Chiesa, i cui meriti sono tanti.
Primo fra tutti, il mecenatismo. La Chiesa, grande mecenate Il termine “mecenatismo” indica l’azione di protezione delle arti e delle lettere da parte di persone abbienti, e deriva dal nome di Mecenate, ricco e influente ministro dell’imperatore Augusto. Mecenate fu il grande protettore e amico di Virgilio, Orazio e altri scrittori romani. Infatti, la Chiesa è il più grande mecenate di tutti i tempi. E’ stata lei a sostenere i grandi artisti, a dare loro lavoro, a mantenerli, a pagare le loro spese, a sopportare i loro capricci. Nella nostra tradizione culturale, fin dal Medioevo ed arrivando alla prima età moderna, la Chiesa fu il mecenate per eccellenza. Tutti partecipavano al finanziamento della cultura, che ha dei costi notevoli: il Papa, i cardinali, i vescovi, gli abati dei monasteri ed i parroci.
Per tanti secoli furono soprattutto gli uomini di Chiesa a finanziare il lavoro degli artisti, solitamente commissionando loro un’opera ben precisa: un dipinto, un affresco, una scultura, una pala di altare, una cappella, un mosaico, e perfino un intero edificio. Senza la committenza ecclesiastica, quasi tutti gli artisti – dai pittori, agli scultori, agli architetti – avrebbero avuto serie difficoltà a sopravvivere. Noi godiamo oggi del lavoro di questi artisti, grazie alla Chiesa ed alla sua generosità, grazie al suo ruolo di mecenate, cioè di sostenitore delle arti. Ecco perché oggi è il nostro turno. La Sala Matisse nei Musei Vaticani Anche noi possiamo essere mecenati, imitando e ringraziando così la Chiesa, grande protettrice delle arti.
Io dedico la mia vita alla Chiesa, manifestandole la mia fedeltà in vari modi: attraverso il mio lavoro (produco film e pubblico libri ispirati alla storia della Chiesa e ho fondato “Mirabile Dictu”, il Festival Internazionale del Film Cattolico); attraverso i miei apostolati (sostengo tutti i sacerdoti, ma in particolar modo quelli in difficoltà, riportandoli alla Chiesa quando è il caso); ed attraverso le mie attività benefiche. Queste ultime hanno un denominatore comune: incoraggiare e sostenere gli artisti che creano arti sacre. Con la mia Capax Dei Foundation cerco di salvare le chiese barocche chiuse e destinate all’oblio (se non peggio: alla sconsacrazione), finanzio giovani artisti contemporanei che fanno arte sacra (è allo studio l’apertura di una galleria d’arte nel centro di Roma dedicata a loro) e incoraggio i giovani architetti a creare abitazioni con un angolo destinato alla preghiera, intorno al quale la famiglia si possa riunire. Inoltre, come presidente dei Patrons of the Arts in the Vatican Museums (capitolo del Principato di Monaco), sostengo il restauro di opere d’arte presenti nei Musei Vaticani.
Oltre a queste attività associative, ne ho anche una di mecenate individuale. E’ il caso della recente creazione della Sala Matisse dentro ai Musei Vaticani, uno spazio stupendo, adiacente alla Cappella Sistina, che riunisce i disegni (sia delle vetrate, che della cupola ed anche dei paramenti sacri) che Henri Matisse ha realizzato tra il 1948 ed il 1952 e che sono serviti per quello che viene considerato l’estremo capolavoro dell’artista: la Chapelle du Rosaire a Vence, in Provenza. Questa Sala era un sogno del direttore di Musei Vaticani, il Prof. Antonio Paolucci e della curatrice della collezione d’arte moderna, Micol Forti. Ne hanno parlato a Padre Mark Haydu, che dirige l’associazione internazionale dei mecenati dei Musei Vaticani (i Patrons). Quando il Padre mi ha mostrato il progetto, ho capito che andava realizzato: era coerente con tutta la mia attività a favore degli artisti contemporanei che hanno il coraggio di fare arte sacra.
Matisse era un antesignano, i suoi disegni meritavano la conservazione e la luce, dovevano essere una testimonianza ed un’ispirazione per gli artisti giovani. Henri Matisse è stato lui stesso il primo mecenate di questa opera: ha cominciato a fare i disegni senza un preventivo, senza aiuti, credendo fortemente in Dio e nel potere di redenzione di una cappella. E’ stato il suo atto di conversione, anche grazie a Sœur Jacques-Marie, dominicana, ex modella e infermiera, che lo ha portato verso Dio. Matisse ha speso soldi suoi, indebitandosi. Si è ammalato, ma ha continuato il lavoro. E questo è stato il suo ultimo lavoro ed “il più importante e supremo”, come afferma lui stesso. Tutta la storia era piena di simboli e parlava al mio cuore: la conversione di Matisse, il suo bisogno di ringraziare Dio attraverso un atto concreto, il rischio che ha corso imbarcandosi da solo in questo lavoro immane ed esclusivo. Per me, il messaggio era chiaro: Dio aveva voluto la cappella (così controversa e contestata, fin dalla sua costruzione) e voleva la Sala Matisse.
Nella prima – la cappella – ha creduto, ancora una volta, solo la Chiesa, attraverso le suore dominicane, che hanno accolto l’opera di Matisse negli anni Cinquanta. Anche la seconda – la Sala dedicata Matisse nei Musei Vaticani – doveva essere, al pari della prima, l’atto di gratitudine di un laico verso la Chiesa. L’artista ha lavorato quattro anni a questi disegni; ha sofferto enormemente e ne ha stracciato e buttato via parecchi, scontento del risultato, fino a quando, un giorno, aveva raggiunto il punto di perfezione: il risultato lo vediamo ora, nella Sala Matisse. Sono le opere originali, che sono servite per realizzare la Chapelle du Rosaire. Tutta questa storia, che parla d’amore e di gratitudine, meritava i nostri sforzi. I lavori, durati due anni, hanno dato dei risultati strabilianti e il 22 giugno, la Sala Matisse è stata aperta al pubblico.
Situata strategicamente, tra la Cappella Paolo VI e la Cappella Sistina, la Sala sarà vista da tutti, perché è un passaggio obbligato. La luce qui è quella che troviamo solitamente in una chiesa: è stato molto difficile ottenere questo punto di luce. La climatizzazione garantirà la perfetta conservazione delle opere. Posso solo dire che sostenere un’opera d’arte è un enorme regalo che si fa agli altri. E’ una forma di generosità che arricchisce in primo luogo noi stessi, perché donare agli sconosciuti è ancora più profondo che donare a chi si conosce. Se poi si tratta anche di un gesto d’amore, come nel mio caso, verso la Chiesa – che amo profondamente e per la cui gloria dobbiamo tutti fare qualcosa – allora la felicità è ancora più grande.