Intesa sull'Italicum, ora la partita è sul Quirinale
Renzi e Berlusconi si sono visti nuovamente. É stato il loro ottavo incontro in undici mesi. Raggiunta ormai l’intesa sulla legge elettorale, in realtà la vera partita si gioca adesso sul Quirinale, visto che Giorgio Napolitano, a meno di clamorosi ripensamenti, si dimetterà entro due-tre mesi.
Renzi e Berlusconi si sono visti nuovamente. É stato il loro ottavo incontro in undici mesi. Raggiunta l’intesa sulla legge elettorale, in realtà la vera partita si gioca adesso sul Quirinale, visto che Napolitano, a meno di clamorosi ripensamenti, si dimetterà entro due-tre mesi. E mentre la legge elettorale si può cambiare in qualunque momento, la scelta del nuovo Presidente della Repubblica produce effetti per i prossimi 7 anni e quindi coinvolge le decisioni politico-istituzionali di questa e, come minimo, anche della prossima legislatura. Di qui i timori di Berlusconi di veder arrivare sul Colle un presidente a lui ostile.
I protagonisti del Patto del Nazareno si trovano in condizioni assai diverse, ma per alcuni aspetti sono accomunati da un insolito destino. Entrambi, infatti, patiscono difficoltà interne ai rispettivi partiti. Il premier ha una fronda Pd assai consistente (ieri i civatiani hanno polemicamente disertato la riunione della direzione), che potrebbe vendicarsi proprio in occasione delle elezioni per il successore di Napolitano, impallinando un eventuale candidato condiviso con Berlusconi. Quest'ultimo, dal canto suo, ha ricucito con Fitto ma non può dirsi tranquillo sulla compattezza del suo partito. Le recenti votazioni per i membri della Consulta e del Csm hanno dimostrato che l'ex Cavaliere non controlla più le sue truppe, che già pensano al dopo e non hanno alcuna garanzia di essere ricandidati. Tenere fede al Patto del Nazareno senza frantumare l'unità di Forza Italia è la sfida di Berlusconi; condurre in porto le riforme riducendo al minimo il dissenso interno è l'obiettivo di Renzi. Riusciranno nell'intento?
Il ritiro annunciato di Napolitano, soprattutto se troppo anticipato (gennaio?) rischia di compromettere il processo riformatore e di creare una situazione di stallo nella politica italiana. Le votazioni per eleggere il nuovo inquilino del Colle non si preannunciano facili. Nel Parlamento non c'è una maggioranza chiara e coesa, e lo si è visto con la formazione dei governi Letta e Renzi, che hanno dovuto mettere insieme esperienze molto eterogenee culturalmente e politicamente. Trovare un'intesa su un candidato gradito ai mercati, gradito all'Europa e, soprattutto, votato a larga maggioranza dal centrodestra e dal centrosinistra, potrebbe rivelarsi un'ardua impresa.
D'altronde, sia Renzi sia Berlusconi hanno la necessità di galvanizzare il proprio elettorato, marcando la distanza dal nemico. Arrivare all'imminente campagna elettorale per le elezioni regionali (si vota in 10 regioni) troppo appiattiti l'uno sull'altro finirebbe per avvantaggiare Grillo o per alimentare l'astensione. Meglio, quindi, alzare i toni dello scontro, almeno ufficialmente, sia sui temi economici e del lavoro che su quelli delle riforme, per poi tentare in privato la mediazione sui punti più spinosi. A cominciare, appunto, dalla successione a Napolitano.
Prima, però, c'è l'approvazione della nuova legge elettorale, con l'impegno, che anche Renzi dovrebbe assumere, di rinunciare a elezioni anticipate almeno fino all'approvazione definitiva della riforma del Senato, con lo svolgimento dell'eventuale referendum popolare sulle modifiche al bicameralismo. L'Italicum, almeno nella sua ultima versione condivisa da Renzi nel vertice di maggioranza, prevede una soglia alta per il premio di maggioranza (40%)e quindi rende indispensabile il ballottaggio. Inoltre, concede un probabilissimo diritto di tribuna a una pluralità di forze minori, inserendo la soglia del 3% di voti per il conseguimento di seggi alla Camera (Berlusconi vorrebbe l'innalzamento di quella quota almeno al 4%, al fine di costringere Alfano e i centristi a confluire in Forza Italia). Questi elementi allontanano l'ipotesi di affermazione di un bipartitismo, poiché moltissime forze come Ncd o Sel o Fratelli d'Italia potrebbero mantenere la loro autonomia dai grandi partiti e sopravvivere.
Inoltre, il ritorno alle preferenze (per il 70% dei seggi, mentre l'altro 30% verrebbe assegnato con liste bloccate) segna una vittoria per Alfano e una sconfitta per l'ex Cavaliere, che non le ha mai amate. Nella bozza di riforma dell'Italicum compaiono anche le quote rosa (40% dei capilista dovranno essere donne) ed è prevista la diminuzione del numero di circoscrizioni elettorali. Renzi intende accelerare per avere pronta una legge elettorale a lui favorevole in caso di elezioni anticipate. Berlusconi frena, perché teme il ricorso alle urne. Di qui gli stop and go da parte di Forza Italia, che vorrebbe prima trovare un'intesa con il Pd sul nuovo nome da proporre per il Quirinale e poi occuparsi di sistema di voto. Probabilmente finirà in questo secondo modo, anche perché, quand'anche Renzi riuscisse a far approvare al Senato il nuovo Italicum entro il 31 dicembre, occorrerebbe una nuova approvazione del testo alla Camera, e lì sia alcuni esponenti del Pd che altri rappresentanti del centrodestra potrebbero nuovamente proporre modifiche e rallentare di alcuni mesi l'iter di approvazione.
Ieri sera Renzi ha dovuto rassicurare la direzione del suo partito circa le sue intenzioni: far marciare le riforme essenziali per la crescita del Paese e per l'ammodernamento delle istituzioni, non cedere ai temporeggiamenti di Forza Italia, garantire una legge elettorale che tuteli le forze minori a rischio estinzione e reintroduca le preferenze, portare a termine la legislatura. Se poi la situazione economica dovesse peggiorare e a livello europeo si aprisse la strada per un commissariamento dell'Italia da parte della troika, tutti questi calcoli renziani andrebbero in fumo e ci troveremmo uno scenario completamente diverso.