Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni XXIII a cura di Ermes Dovico
ESCALATION

Inferno in Medio Oriente. La guerra fra Iran e Israele entra in una nuova fase

Ascolta la versione audio dell'articolo

Israele attacca il Libano anche a terra. L'Iran attacca Israele direttamente, con una pioggia di missili. E intanto, a Giaffa, due terroristi fanno strage di civili israeliani. Inferno in Medio Oriente, la guerra entra in una nuova fase più incontrollabile.

Esteri 02_10_2024
Missili iraniani piovono su Israele (La Presse)

L'Iran l'aveva promesso: «Vendicheremo la morte e il martirio dei nostri figli. Non possiamo passare sopra a quanto è accaduto, ma prenderemo la nostra decisione nel momento che riterremo più opportuno». È quanto avevano minacciato le Guardie della Rivoluzione, e ieri, poco dopo le 18.30, una pioggia di missili si è abbattuta su Tel Aviv. Ma si sono verificate anche esplosioni a Gerusalemme. «Quando abbiamo sentito le sirene siamo corsi immediatamente nei rifugi - ha detto il vescovo emerito Giacinto Boulos Marcuzzo, che vive in Patriarcato nel cuore di Gerusalemme -. Hanno sferrato l'attacco lanciando decine di missili anche contro la Città santa. L'allarme è durato circa venti minuti, poi siamo ritornati nelle nostre stanze. Ci siamo rivolti alla Madonna, la Regina della pace, affinché in tutta la Terra Santa ritorni la calma. Il prossimo 7 ottobre, uniamoci tutti in preghiera, come ci ha chiesto il patriarca Pizzaballa, affinché le armi tacciano in modo definitivo».

Circa duecento i missili lanciati contro Israele. Un attacco senza precedenti, ma che i sistemi di difesa hanno intercettato e abbattuto. Alcuni sono stati distrutti dai sistemi antimissilistici Usa dislocati nella regione, prima di raggiungere i cieli dello Stato ebraico, e non dall’Iron Dome israeliano. Ma anche la Giordania è intervenuta con il suo sistema antimissilistico. «Una risposta legale, razionale e legittima agli atti terroristici compiuti dallo Stato ebraico». È quanto scritto in una dichiarazione, pubblicata su X, dalla missione diplomatica di Teheran presso le Nazioni Unite. «Se il regime sionista osasse rispondere o commettere ulteriori atti di malevolenza - conclude la nota -, ne seguirebbe una successiva e schiacciante risposta». Biden ha anche ordinato alle forze armate americane di assistere Israele. Ma cosa farà ora Tel Aviv? È Daniel Hagari, portavoce dell’esercito israeliano, a rispondere: «L'attacco dell’Iran contro Israele avrà delle conseguenze. Abbiamo dei piani e agiremo nel momento e nel luogo che sceglieremo».

Ma la serata di ieri è stata anche turbata da due azioni terroristiche: una in un centro commerciale di Tel Aviv, l’altra alla metropolitana leggera di Giaffa. I servizi di emergenza israeliani hanno riferito che sono sei le persone rimaste uccise nell’attacco a Giaffa, mentre altre nove sono rimaste ferite. La polizia ha dichiarato che l’attacco è stato compiuto da “due terroristi”, poi “neutralizzati”. «A Gerusalemme e in tutto Israele c'è tanta paura. Ma la stessa paura è ancora diffusa tra la popolazione di Gaza, sempre più stremata. Quel tragico 7 ottobre - dice ancora il vescovo Marcuzzo - non doveva mai entrare nella storia. È stata la scintilla che ha accesso la miccia in tutta l'area».

Quello che tutte le cancellerie, dunque, speravano non accadesse è diventato, invece, una tragica realtà. L'Iran è entrato nel conflitto.

Nel frattempo, il primo ministro Benjamin Netanyahu, ignorando tutti gli avvertimenti, aveva disposto l’invasione del Libano con le truppe di terra. È stato il ministro della Difesa, Yoav Gallant, a impartire l'ordine, non appena concluso il Gabinetto di guerra, riunitosi nei rifugi sotterranei del Ministero della Difesa a Tel Aviv. I primi segnali, che lasciavano presagire che stesse per accadere qualcosa, era stata la decisione da parte dell'esercito di dichiarare quel lembo di territorio incastrato tra il Libano, la Siria e Israele, zona di guerra. I carri armati, nella notte tra lunedì e martedì, hanno attraversato quella striscia di terra (blu) tracciata dalle Nazioni Uniti e che doveva marcare il confine tra i due Stati, ma mai ratificata come frontiera.

Il ministro Gallant ha parlato ai soldati come un tribuno. Ha incitato le truppe: «L’uccisione di Hassan Nasrallah è molto importante, ma non è sufficiente. Utilizzeremo tutte le capacità a nostra disposizione. Se qualcuno dall’altra parte non capisce chi siamo, glielo dimostrerete voi». «Vengano pure, i nostri miliziani combatteranno corpo a corpo», gli ha risposto il vice del defunto Nasrallah. Mentre Netanyahu, con un video-messaggio, ha esortato gli israeliani ad «obbedire rigorosamente alle direttive del Comando del fronte interno, a stare uniti, perché insieme resisteremo, combatteremo e vinceremo».

I due contendenti, certamente, non considerano l’inevitabile strage di innocenti, di quante donne e bambini perderanno la vita in «questa guerra insensata», come l'ha definita il patriarca di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa. L'aeronautica, da giorni, è in azione per preparare il terreno alle truppe, anche se un certo numero di pattuglie di soldati sono già presenti in Libano, in particolare in alcune gallerie sotterranee scavate dai miliziani di Hezbollah, dove hanno raccolto e trasmesso molte informazioni. Il copione è quello già collaudato nella Striscia di Gaza, anzi perfezionato.

Israele è impaziente di chiudere la "partita" con Hezbollah. Il Partito di Dio, dopo la decapitazione dei vertici, sta attraversando un momento di forte difficoltà. Tra di loro c'è diffidenza. Chi ha tradito Nasrallah e gli altri capi? L'Iran, il Libano, i sauditi? Interrogativi ai quali si dovrà fornire una risposta. Una cosa, comunque, è certa: nel corso di una trasmissione su un canale saudita, Mohammed Alì Al Husseini, iman sciita di origine libanese, pochi giorni prima dello scorso venerdì, giorno in cui sono stati uccisi Nasrallah e altri capi di Hezbollah, nel corso di un'intervista, ripresa poi da molti media del Medio Oriente, ha dichiarato: «Ho scritto un messaggio al mio amico Hassan Nasrallah nel quale gli dicevo di stare attento, c’è un accordo internazionale per emarginarlo, gli consigliavo di abbandonare il Sud Libano e di ritirarsi a nord del fiume Litani … Gli ho scritto di guardarsi da chi lo aveva già venduto… e di scrivere il testamento». A chi si riferiva? All'Iran?

Dopo anni di silenzio torna a parlare l'ex presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, che mette sotto accusa il capo dell'Unità dei servizi segreti iraniani, creata per colpire gli agenti del Mossad che operano nella Repubblica islamica, e che a parer suo, è nel libro paga del Mossad, insieme ad altri venti agenti della squadra del controspionaggio. Tutti questi ora vivono tranquillamente in Israele, sotto stretta copertura. L'ex presidente non esclude che ancora oggi siano operativi degli agenti che fanno il doppio gioco.

Le ostilità, che da anni contrappongono il gruppo libanese di Hezbollah e Israele, sono forse all'epilogo. Ora è in corso una guerra vera e propria. Hezbollah, che è radicato nella società libanese, specialmente nella popolazione sciita nel sud del paese, si è preparato per questo scenario da anni e ha disseminato le sue forze missilistiche in tutto il paese. Il gruppo si è sempre addestrato per questa eventualità. Ai suoi combattenti è stata impartita una preparazione completa e potrebbero aver maturato una grande esperienza sul campo. Il Libano, suo malgrado, sta affrontando una delle fasi più problematiche della sua storia. Circa un milione di persone ha abbandonato le proprie case. Gli sfollati non hanno più cibo e vagano alla ricerca di un rifugio sicuro.  «Chiediamo con urgenza più aiuti per intensificare i nostri sforzi e fornire sostegno ai civili sfollati da quando sono iniziate, il mese scorso, le incursioni aeree israeliane contro Hezbollah», ha detto il premier libanese Najib Miqati. Il primo ministro è intervenuto durante una riunione con i rappresentanti delle organizzazioni delle Nazioni Unite e gli ambasciatori dei Paesi donatori, organizzata per affrontare la crisi dei profughi.

Precedentemente le truppe israeliane entrarono in Libano nel 2006, quando scattò l'operazione 'Pioggia d'Estate', nota anche come la guerra dei trentatré giorni. A innescarla fu un attacco nello Stato ebraico dei miliziani di Hezbollah, che rapirono due soldati e ne uccisero altri otto. Tsahal, l'esercito israeliano, reagì bombardando obiettivi militari dell’organizzazione sciita libanese, ma anche strade, porti e l'aeroporto di Beirut. Dieci giorni di offensiva di terra, con l'obiettivo dichiarato - lo stesso dell’odierna operazione - di spingere Hezbollah a nord del fiume Litani. Le ostilità cessarono il 14 agosto, quando Israele, Hezbollah ed il Governo libanese accettarono la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite.