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BIOETICA

India, la schiavitù della maternità surrogata

Con i matrimoni omosessuali vi sarà l'aumento delle maternità surrogate. Un business soprattutto in India, dove le donne che prestano l'utero sono sfruttate e costrette ad abortire se il figlio non soddisfa i requisiti della committenza.

Vita e bioetica 26_07_2013
donne indiane

Tra le tante buone ragioni per opporsi al matrimonio omosessuale, ci sono considerazioni legate all’inevitabile passo successivo che porterebbe dritti alle cosiddette famiglie omogenitoriali, dove un bimbo non avrebbe più un padre una madre, ma si troverebbe a crescere con due uomini o due donne. In ballo non ci sarebbe solo l’adozione, ma anche quel fenomeno dai molti aspetti oscuri che risponde al nome di maternità surrogata. Chissà se potremo continuare a dire, senza essere indagati per omofobia, che dietro al mieloso quadretto di Elton John e il compagno David che sorridenti coccolano il piccolo Zachary, si celano due fatti inquietanti: un bambino che non saprà mai cosa è una mamma e una donna che ha affittato il proprio utero per soddisfare i desideri di una ricca coppia omosessuale occidentale. 

Sugli orrori legati alla maternità surrogata uno squarcio – non il primo – si è aperto grazie al report Surrogate Motherhood - Ethical or Commercial, elaborato dal Centre for Social Research, che si occupa dei diritti delle donne in India. E’ proprio l’India, infatti, a costituire uno degli snodi principali di quello che è un vero e proprio mercato mondiale. Va precisato che il campione di interviste su cui si basa il report è limitato (100 madri surrogate, 50 genitori acquirenti, due città: Mumbai e Delhi) e che non vi è alcuna pretesa di scientificità, ma non si può fare a meno di evidenziare che il quadro che emerge dal documento è sconcertante. «La libertà della madre surrogata è un’illusione», si afferma nel testo, laddove si sottolinea che i contratti stipulati vedono sempre le donne, spesso in condizioni di povertà estrema, in una posizione tutt’altro che paritaria rispetto a chi commissiona le gravidanza. 

Sempre secondo quanto viene scritto nel report, le donne sono succubi dei capricci di coloro che da contratto sono letteralmente i padroni del loro utero: se il figlio si rivela malformato o del sesso non previsto dal contratto, le madri surrogate sono costrette ad abortire. Non mancano poi i casi in cui le donne non sono in possesso di una copia del contratto firmato e non conoscono le clausole contenute. Scarse sono inoltre le informazioni che vengono fornite alle madri surrogate in merito agli aspetti medici riguardanti la gravidanza che si apprestano ad accogliere nel proprio utero. Tra le donne interpellate, molte si sono rifiutate di rispondere alle domande circa i sentimenti provati una volta che il figlio partorito viene consegnato alla coppia che lo ha ordinato: un segno inequivocabile dello stress emotivo a cui sono sottoposte gestanti che vedono svanire in pochi minuti, e per sempre, il figlio portato in grembo per nove mesi. Anche da un punto di vista semplicemente commerciale, si configura quello che senza esitazione si può definire schiavismo: alle madri che concedono in affitto il proprio utero, le cliniche mediamente riconoscono tra l’1 e il 2% della cifra che i genitori pagano per avere il figlio. 

Neppure in ambito sociale la condizione delle donne si può dire che migliori. Durante la maternità, le madri surrogate, per nascondere la loro condizione, vivono appartate, in locali nei pressi delle cliniche che si occupano delle gravidanze. Il denaro a loro dovuto viene spesso consegnato ai mariti e le donne restano nelle precedenti condizioni di scarsa indipendenza. Ovviamente nessun presunto beneficio per coloro che decidono di affittare il proprio utero giustificherebbe tale pratica, ma il fatto che neppure socio-economicamente vi siano aspetti positivi la dice lunga sullo sfruttamento senza alcuna pietà delle donne indiane. Che, non a caso, indicano in alta percentuale (quasi una su tre di quelle intervistate a Delhi, quasi una su due di quelle interpellate a Mumbai) la povertà come il fattore principale che le spinge ad affittare l’utero. 

Il documento del Centre for Social Research si sofferma anche sui diritti negati al bimbo. Alla nascita, il figlio, come detto, viene strappato alla partoriente, con l’ovvia impossibilità di godere dell’allattamento al seno. Anche sul benessere psico-sociale di un bambino cosciente di essere il frutto di una maternità surrogata sussistono molti dubbi. Un’indagine che in definitiva documenta ciò che è facilmente intuibile: quando vita e famiglia divengono oggetti manipolabili dall’uomo, le conseguenze sono nefaste e dietro alle foto patinate degli Elton e dei David si celano drammi sconosciuti le cui vittime sono i più deboli ed indifesi.