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SINODO

India, il matrimonio nella casta dei paria

Fra obbligo della dote, matrimoni minorili e tradizioni non cristiane, è ardua la vita delle coppie sposate in India, specie nella casta dei paria. Due missionari ne scrivevano nelle loro lettere. Che Piero Gheddo ci ripropone.

Famiglia 07_04_2014
Famiglia dalit

In vista del Sinodo sulla famiglia, in Europa il dibattito continua ad essere monopolizzato dalla questione dell'accostamento all'Eucarestia delle coppie di divorziati e risposati. Ma come abbiamo visto nelle puntate precedenti, qui, qui e qui, nel resto del mondo cattolico si devono affrontare ben altri problemi relativi alle famiglie. La panoramica continua in India attraverso due lettere, che Padre Piero Gheddo ha ritrovato per noi, inviate dai missionari Padre Augusto Colombo (1927-2009) nel 1975 e Padre Luigi Pezzoni (1931-2013) nel 2001. Sono missive che ci permettono di comprendere, nel corso di mezzo secolo di storia, la drammatica situazione delle coppie di paria, membri della casta inferiore.

Due padri del Pime raccontano il matrimonio in India, secondo la loro esperienza, uno  scriveva nel 2001, l’altro nel 1975. L’India è un continente con un miliardo e 100 milioni di abitanti, una federazione di 28 stati con loro parlamenti e leggi, ad esempio le "Personal Laws" sul matrimonio e le eredità nelle diverse comunità religiose. I due testi qui riportati riguardano i paria dell’Andhra Pradesh, però danno un’idea di cos’è il matrimonio in un popolo non cristiano o da poco convertito al cristianesimo.

 

Padre Augusto Colombo*

è un fatto che il diavolo sa usare la sua coda avvelenata non solo in un modo, diciamo così, violento, ma anche in un modo altamente scientifico. E tutti sanno che il mezzo più scientifico per rompere i piatti, quando si tratta di cristianesimo, è il matrimonio. Per rendere l’idea ricorrerò all’esempio classico che capita qui dalle mie parti e che è abbastanza frequente. Due genitori hanno una bambina quindicenne. Arriva la stagione dei matrimoni e viene loro offerto un ottimo partito: un suo cugino secondo, di diciotto anni, con un po’ di terra al sole ed un paio di bufale legate davanti alla casa. Rifiutare sarebbe pazzesco.

Il matrimonio viene combinato dai capi dei due villaggi e quando tutto è preparato: dote della sposa, riso per il pranzo da darsi a tutti i membri della casta, vestiti nuovi, ecc. ecc. le parti interessate si presentano al Padre chiedendo di andare a benedire il matrimonio. Davanti agli impedimenti di età e consanguineità il Padre dapprima si rifiuta, poi consiglia una dilazione, ma dopo una mezz’ora di discussione, capisce che non c’è nulla da fare e che il matrimonio avverrà lo stesso, benedice validamente e lecitamente il matrimonio, sperando poi nella divina Provvidenza. La bambina, sposa felice, viene portata nella casa dello sposo. Qui però c’è la suocera che aspettava la nuora per avere un po’ di aiuto nei pesanti lavori di casa. Ma la nuora, come tutte le bambine, è abituata ancora a giocare da mattina a sera e quando vede che nella nuova casa deve lavorare, e lavorare sul serio, un bel mattino si alza, se ne va dalla propria mamma e comincia a raccontare una lunga storia di sevizie, battiture, digiuni, ecc. ecc.

La storia viene creduta fino all’ultima virgola e così quando lo sposo si presenta alla casa della sposa a reclamare la propria moglie, viene investito da una tale fiumana di improperi e di minacce che, per non rischiare di peggio fa immediatamente dietro front, e tornato al proprio villaggio comincia a raccontare come è sfuggito per miracolo da sicura morte, dopo avere rischiato il linciaggio per salvaguardare la sua fedeltà coniugale. La storia viene creduta fino all’ultima parola e così nasce un odio cordiale fra le due famiglie. Dopo un conveniente periodo di tempo, la sposa viene riportata dallo sposo, ma siccome la suocera non vuole rinunciare al privilegio di farsi aiutare nei lavori, dopo quindici giorni ecco una nuova fuga ecc.ecc. Lo sposo non osa presentarsi di nuovo alla casa della sposa, ed allora va dal Padre missionario e gli dice: “Quella sposa l’hai benedetta tu, ma essa non vuole venire, va’ tu e portamela”. Cosa fare?

Pro bono pacis il Padre va e con le buone o con le cattive fa riportare la ragazza dallo sposo; ma oramai le pentole sono in ebollizione e dopo quindici giorni o anche meno, la ragazza è di nuovo dalla propria mamma, lacrimante come una vitellina e decisa a non più ritornare nella casa dei suoi tormenti. Ed anche i genitori sono del suo parere, dal momento che hanno ricevuto l’offerta di un partito molto migliore, ed essi sono ancora pagani, avendo fatto battezzare la figlia a causa del matrimonio con il ragazzo che era cattolico. Di nuovo il Padre interviene con minacce, scongiuri, ecc.ecc. ma quando c’è di mezzo l’interesse, le parole trovano il tempo che trovano. Conclusione, la ragazza viene risposata ed il ragazzo, a diciotto anni resta vedovo, con una moglie vivente. Cosa fare?

Il ragazzo dice che egli non si era mai sognato di sposare quella ragazza ma che gli era sta data forzatamente dai genitori. E probabilmente è la verità. Quando è il ragazzo che si sposa e la ragazza a rimanere vedova, allora la ragazza afferma che non ha mai voluto sposarsi, e che solo la minaccia e le botte dei genitori l’hanno indotta a pronunciare il sì che però equivaleva ad un no: ed anche questo in molti casi è vero. Ma ormai quello che è stato è stato ed ora una vedova di quindici anni e un vedovo di diciannove vogliono risposarsi, e di fatto si risposano, perché nella loro mentalità è inconcepibile che un uomo possa vivere e morire senza lasciare in questo mondo una continuazione della propria esistenza; senza poi tenere conto anche di altri fattori non meno importanti.

Per la Chiesa il nuovo matrimonio è un concubinaggio ed i peccatori devono essere esclusi dai sacramenti, assieme ai genitori, complici volenti e necessari. Cosa ci può fare il missionario?....Piangere ed aspettare che la Provvidenza mandi la circostanza favorevole affinché la situazione possa essere regolarizzata. Ma anche questa gente è proprio del tutto condannabile? Quando io ho da fare con questi casi, immancabilmente mi viene in mente quella pagina del Vecchio Testamento, ove il Signore, dopo avere quasi distrutto l’umanità con il diluvio, si rattrista perché gli uomini e specialmente il suo popolo eletto non vuole fare giudizio e gli uomini corrono dietro alle donne proibite, ed allora, “propter duritiam cordis eorum” allarga un po’ le maglie, e concede qualche moglie extra.

Ora però siamo nel nuovo Testamento, e le cose devono essere fatte sul serio. Ed il missionario non può fare altro che pregare, gridare, minacciare, ricorrere, quando è consigliabile, anche a qualche altro mezzo più persuasivo per far entrare nella testa dura di tanta gente anche questa necessità di santificare il matrimonio cristiano. Ma non sempre egli riesce. E la ragione è evidente. Il matrimonio è la benedizione e la consacrazione dell’istinto di procreazione che Dio ha messo in ogni uomo. Un istinto che nella sua forza ed importanza viene subito dopo l’istinto della conservazione.

Il paganesimo spesso non è altro che il culto degli istinti naturali, ed in questo caso, specialmente in mezzo ai popoli primitivi, il culto della procreazione è quello tenuto più in auge, perché oltre che a perpetuare la vita di un individuo, serve anche a dare forza ed importanza alla tribù.

Di conseguenza il matrimonio, presso i popoli pagani, ha sempre un posto eminente, e le leggi e tradizioni che lo governano sono considerate tra le più essenziali nell’ordinamento della comunità. Quando una tribù od una casta si converte a Cristo ed entra nella Chiesa, tutto quanto vi è di superstizioso nelle tradizioni matrimoniali viene abolito e sostituito con qualcosa di cattolico; ma ciò che può essere lasciato viene lasciato, per non imporre inutili fardelli a povera gente che di fardelli ne deve già portare, vivendo nella estrema miseria. Solo si spera che il tempo ed una vita più civile possa far loro capire l’utilità di abolire certe tradizioni e seguirne altre; ma come si fa ad imporre con la forza ciò che noi non abbiamo il diritto di imporre?

E così il missionario deve correre ad accalappiare mogli fuggite od a minacciar la collera divina a mariti impenitenti; e siccome quando si tratta: di una donna o di un uomo, anche questi argomenti perdono molto della loro forza persuasiva, il missionario deve rassegnarsi spesso a vedere anime, guadagnate alla religione con tanta fatica, ritornare sulla via sbagliata e vivere male, anche se non proprio ritornare al paganesimo. E questa è una croce pesante del missionario. 

 

Padre Luigi Pezzoni**

Sono felice di scrivervi per ringraziarvi del grande aiuto che ci avete dato per il Progetto: "Figlie di Abramo". Avete già salvato la vita a 10 ragazze che abbiamo "sostenuto" per pagare la dote del matrimonio.  Secondo la Costituzione Indiana la dote è stata abolita ... sulla carta ma non in pratica! Per cui questa crudele Tradizione del maschio che domanda una grossa cifra per sposare la ragazza propostagli dai genitori, continua ad infliggere alle ragazze una Tremenda CROCE. Ogni giorno, sui giornali appare la notizia che una giovane sposa si butta addosso il kerosene e si brucia viva, perchè il marito la perseguita e la maltratta perchè non ha pagato la dote promessa al matrimonio. Col vostro aiuto avete già salvato una decina di ragazze da questa tragica fine. Siate felici! Grande sarà la vostra ricompensa in Cielo. Un fraterno abbraccio e CONTINUATE ad aiutarci! Vostro padre Luigi

 

*Augusto Colombo (1927-2009): articolo scritto a Warangal nel 1975 per le riviste del Pime (registrato al n. 38)

**Padre Luigi Pezzoni (1931-2013), missionario del Pime: lettera da Nalgonda del 18 ottobre 2001 (registrata n. 95) al gruppo missionario di Mornico (Bergamo)