Indagini in Vaticano, l’Aif conferma la sua fiducia a Di Ruzza
L’Autorità di informazione finanziaria della Santa Sede, dopo un’indagine interna, ha confermato il suo direttore Tommaso Di Ruzza, uno dei cinque funzionari sottoposti a gogna mediatica dopo la pubblicazione di un documento riservato da parte dell’Espresso. Dunque, a seguito delle perquisizioni nella Segreteria di Stato, finora l’unico a perdere il posto è stato Giani, che sarebbe vittima di un colpo basso anche secondo il cardinale Maradiaga.
Colpo di scena in Vaticano. Con un comunicato stampa, l’Autorità di informazione finanziaria (Aif) ha voluto confermare la piena fiducia nel suo direttore, Tommaso Di Ruzza. L’indagine interna avviata dal presidente dell’Aif, René Brülhart, si è conclusa senza rilevare alcuna condotta impropria nell’operato di Di Ruzza. Il Consiglio direttivo dell’organo ha confermato di avere “piena fiducia nella competenza professionale e onorabilità del suo Direttore”, spingendosi al punto di elogiarlo “per l’attività istituzionale svolta nella gestione del caso in questione”.
Il suo nome era comparso nella lista dei cinque funzionari sospesi cautelativamente dal servizio a seguito di un’indagine della Procura vaticana partita da una denuncia dello Ior e dell’Ufficio del Revisore generale su alcune operazioni finanziarie compiute all’estero. Il provvedimento di sospensione era divenuto di dominio pubblico dopo che il settimanale L’Espresso aveva pubblicato in esclusiva la disposizione di servizio destinata al personale interno addetto al controllo degli accessi nel piccolo Stato e firmata da Domenico Giani. Proprio la presunta omessa vigilanza sulla diffusione di questo documento, costata una gogna mediatica ai cinque funzionari indagati, sarebbe stata all’origine delle dimissioni di Giani dal comando del Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano.
Un congedo amaro per quello che è stato uno dei più stretti collaboratori laici degli ultimi due Pontefici e che, come sottolineato nel comunicato ufficiale sulla sua rinuncia, non ha avuto alcuna responsabilità soggettiva nella vicenda. Che l’ex comandante del Corpo militare pontificio sia stato la vittima illustre di una probabile “polpetta avvelenata” è arrivato a sostenerlo nei giorni scorsi anche il cardinale Óscar Rodríguez Maradiaga, coordinatore del C9 (ora C6) e tra i più ascoltati consiglieri di papa Francesco. In un’intervista a Paolo Rodari sulla Repubblica, l’arcivescovo di Tegucigalpa si è detto convinto che “la pubblicazione del documento con i nomi delle persone sospese è stato un colpo basso contro di lui”.
Maradiaga, al tempo stesso, ha difeso anche le operazioni finanziarie finite nel mirino del promotore di giustizia vaticano e all’origine della perquisizione, condotta dalla Gendarmeria, negli uffici della sezione Affari generali della Segreteria di Stato e dell’Aif, definendole “una transazione sulla quale la Santa Sede ha fatto una normale operazione di sicurezza”. Dal momento che il comandante sembrerebbe godere della fiducia del Papa - e dei suoi principali collaboratori - e alla luce del fatto che la sua buona fede sulla vicenda non è stata messa in discussione, più di qualcuno si è chiesto se fosse davvero inevitabile arrivare alle dimissioni.
Quella di Giani, per ora, è stata l’unica testa a cadere. I cinque funzionari, i cui volti e nominativi comparivano sulla discussa ordinanza fatta arrivare all’Espresso da una mano anonima, non sono mai stati indagati ma solamente sospesi. Un aspetto che rende comprensibile l’amarezza di papa Francesco, che in riferimento all’avvenuta fuga di notizie ha fatto sapere di considerarla un gesto di una “gravità paragonabile ad un peccato mortale, poiché lesivo della dignità delle persone e del principio della presunzione di innocenza”.
Tommaso Di Ruzza, una delle vittime di questa “soffiata”, è stato dunque “riabilitato” ieri con la presa di posizione dell’Autorità di antiriciclaggio della Santa Sede, che ha difeso senza mezzi termini il suo operato.
Il tutto mentre l’indagine della magistratura vaticana sulle operazioni finanziarie, partita la scorsa estate dalle denunce di Ior e Ufficio del Revisore generale sulla gestione dell’Obolo di San Pietro, va avanti. Così come va avanti anche l’inchiesta parallela; quella sull’illecita diffusione del dispositivo che è costato il posto soltanto a Domenico Giani. Almeno finora.