Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Apollinare a cura di Ermes Dovico

LIBERTÀ RELIGIOSA 33

In Vietnam la pace resta sempre assai lontana

Una triste cronistoria di abusi
e persecuzioni in un angolo di mondo dove quel che resta del comunismo
si mescola alla corruzione.

Cultura 19_11_2011
Cristiani perseguitati in Vietnam

 

La Repubblica Socialista del Vietnam vive la tragedia dei Degar. Circa un milione, in maggioranza cristiani. I cattolici sono circa 200mila.

L’11 novembre scorso, nel villaggio di Ploi Kret Krot, nella provincia di Gia Lai, ai confini con la Cambogia, dove eventi simili erano già accaduti due volte nei paesi di Ploi Kuk Kong e Ploi Kuk Dak - riferisce Asia News - centinaia di agenti vietnamiti hanno attaccato un centinaio di cattolici Degar, riuniti in preghiera. Ventidue i feriti. I fedeli erano riuniti in preghiera all'aperto, quando agenti di polizia hanno ingiunto loro di andarsene. Alla replica che essi non stavano commettendo alcun crimine, la polizia li ha attaccati, picchiando uomini, donne e bambini con bastoni, anche elettrici, e sequestrando croci, immagini della Madonna e altri oggetti religiosi. Chi ha potuto è fuggito nella foresta. Tra i 22 feriti, nove erano svenuti. Un uomo, A Bom, di 50 anni, è rimasto storpio. Gli agenti hanno anche minacciato di arrestare gli abitanti se avessero riferito l'accaduto a media stranieri. Coloro che sono fuggiti restano nascosti, mentre la polizia dà loro la caccia, pattuglia il villaggio e impone agli abitanti di restare in casa.

Un rapporto di Human Rights Watch del mese di aprile di quest’anno, ha sottolineato la repressione contro i montagnard, che nello stesso periodo hanno pubblicato i nomi di 81 montagnard rinchiusi nella prigione di Han Nam per aver partecipato alle attività delle chiese domestiche o perché ritenuti attivisti per i diritti umani, aggiungendo che nello stesso carcere ci sono altre 30 persone delle quali non si conosce il nome, mentre centinaia sono recluse altrove.

Dal rapporto di Human Rights Watch, emergono le violenze con le quali le autorità tentano di sciogliere le chiese domestiche, costringono a firmare rinunce alla fede, blindano il confine per impedire la fuga in Cambogia, dove peraltro è stato chiuso un campo profughi dell’Onu che ospitava i montagnard.

 

C’è poi l’attività di un corpo speciale della sicurezza che ha lo scopo di catturare, imprigionare, interrogare persone identificate come attivisti politici o membri delle chiese domestiche. Alla polizia si affiancano speciali “tribunali mobili”.

La situazione è tale che Human Rights Watch ha chiesto al governo vietnamita di mettere fine alla persecuzione e a quello statunitense di tornare a inserire il Vietnam tra i Paesi che destano “particolare preoccupazione” per le violazioni alla libertà religiosa.

I  montagnard - uno dei popoli più antichi del sud-est asiatico e vivono nella penisola indocinese da oltre duemila anni - rappresentano una quarantina di differenti gruppi aborigeni, appartenenti ai ceppi linguistici mongolo-tibetano e malese-polinesiano. La maggioranza vive nel Vietnam centrale; numerosi sono in Cambogia, molto meno in Laos.

 

Gran parte dei montagnard sono cristiani. Negli anni ‘70 essi costituivano quasi il 40% dei cristiani sudvietnamiti. Le diocesi di Kontum, Ban Me Thuot e Dalat avevano propri sacerdoti e parrocchie, con tante conversioni e vocazioni. Con la riunificazione del paese e il trionfo di Ho Chi Minh (1975), il regime comunista di Hanoi ha nazionalizzato le terre dei montagnard, non riconoscendo nessun diritto sui territori che abitavano da millenni. Centinaia di villaggi sono stati distrutti e spostati su terre meno fertili per far posto alle piantagioni di caffè di proprietà dello stato. Il governo comunista non li ha mai sopportati, prima perché si erano alleati con gli americani, poi perché molti di loro sono cristiani e adesso anche perché l’unico interesse del governo è prendere le loro terre. Mai rassegnati al regime oppressivo e persecutorio, i montagnard hanno fatto numerose manifestazioni pubbliche per reclamare l’indipendenza e il ritorno alle loro terre ancestrali e alla libertà religiosa.

Il rapporto dell’Associazione di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che soffre”, riferisce della direttiva del primo ministro vietnamita, dell’inizio dell’anno 2009, in base alla quale nessuna delle 2250 proprietà requisite alla Chiesa vietnamita sarà restituita. Si aggiunge che saranno severamente punite eventuali proteste dei fedeli che creassero “disordine sociale”.

L’8 gennaio, la Corte di appello di Hanoi accetta il ricorso presentato da otto fedeli della parrocchia di Thai Ha, a Hanoi, contro la condanna loro inflitta per “condotta disordinata” e “danneggiamento di proprietà statali”. I rei fanno parte delle migliaia di persone che hanno protestato contro la decisione di togliere alla loro chiesa tutto il terreno che le appartiene. Durante il processo, agli avvocati difensori è impedito di presentare prove. Nel riferire del processo, i media di Stato scrivono che i cattolici sotto accusa “hanno sinceramente ammesso la loro colpevolezza e hanno chiesto la clemenza del governo”. “E’ una lampante distorsione della verità – replicano i cattolici in una dichiarazione – in quanto ognuno degli accusati si è dichiarato non colpevole di nessuna delle imputazioni”.

A febbraio, un’altra campagna di stampa, contro l’avvocato Lê Tran Luât, difensore dei parrocchiani. Il suo studio viene perquisito, senza spiegazioni gli si impedirà di vedere i suoi clienti, l’Ordine degli avvocati gli ritirerà la licenza. Il 27 marzo, la Corte d’appello conferma la condanna degli otto accusati.

Mentre si svolgono questi avvenimenti, la provincia di Son La, all’estremo nord-ovest del Vietnam, ai confini con il Laos, è teatro di una intensa campagna del governo locale mirata a eliminare la presenza dei cristiani. Le autorità, un tempo ispirate al marxismo-leninismo, ora cercano di combattere i cristiani spingendoli a ritornare agli antichi riti pagani. Le famiglie che resistono vengono private dei sussidi economici, non possono ricevere visite senza il controllo della polizia e vengono emarginate dagli altri abitanti dei villaggi.

A Ho Chi Minh City, l’antica Saigon, 2mila giovani si sono preparati per ricevere il battesimo, durante la Veglia Pasquale del 2010, che invece a Son La non si può celebrare. Le autorità locali bloccano un sacerdote inviato dal vescovo della diocesi di Hung Hoá per celebrare la messa della domenica. Già a Natale la polizia aveva impedito a due preti di raggiungere i fedeli della città. La motivazione è che “non servono”, perché nell’intera provincia “non ci sono cristiani”. Malgrado la diocesi possegga documenti che dimostrano la presenza nella provincia di almeno tremila battezzati, dal 2004 i cattolici sono costretti a incontrarsi clandestinamente. Solo alla fine di ottobre, sarà permesso di celebrare una messa; ma alla presenza della polizia, che fotografa i 500 presenti, per “riferire ai superiori”.

Ai primi di giugno, a Long Xuyen, diocesi di Long Xuyen - capoluogo della provincia di An Giang, nel sud del Vietnam - intervengono i bulldozer per abbattere il convento dei Fratelli della Sacra Famiglia di Banam. Le autorità non danno spiegazioni, ma voci locali dicono che anche questa volta dietro l’attacco ai beni della Chiesa ci siano speculazione e corruzione.

Un’altra vicenda di terreni riguarda le suore dell’ordine delle Amanti della Croce di Thu Thiem, un suburbio di Ho Chi Minh City. L’11 giugno, le religiose sono convocate dai responsabili del secondo distretto per un incontro nel corso del quale vengono informate della decisione delle autorità di “spostarle” dalla loro unica casa, nella quale vivono da almeno 170 anni. E’ un appezzamento inferiore ai 3,5 ettari, quello che resta, dopo il “sequestro” degli altri 40mila (100 acri), avvenuto dopo la riunificazione del Vietnam. In quel pezzo di terra le suore hanno realizzato una chiesa, un convento, una scuola per lo studio e le vocazioni, una fattoria, una casa di assistenza, una clinica e un asilo frequentato da 400 bambini. Ma il tutto sorge lungo il fiume Bach Dang, nella periferia di Ho Chi Minh City, dove i terreni valgono molto.

Nel mese di giugno, il Comitato del popolo della contea di Lak vieta a un domenicano, padre Peter Nguyen Van Phuong, che opera nella provincia di Dak Lak, negli Altipiani Centrali, di proseguire nella sua attività, con l’affermazione che “non ci sono istituzioni religiose in queste zone, quindi non c’è bisogno di religione. I fedeli (…) possono praticare la loro fede a casa”.

Un altro caso riguarda Padre Joseph Le Quang Uy, noto attivista pro-life e oppositore del progetto governativo per l’insensato sfruttamento delle miniere di bauxite negli Altipiani centrali. Il 6 giugno viene fermato senza spiegazioni all’aeroporto di Tan Son Nhat. Rilasciato dopo ore, gli viene ordinato di ritornare per altre “sessioni di lavoro” e gli viene sequestrato il computer.

Piccoli episodi, rispetto a quanto accade per la chiesa di Tam Toa, nella diocesi di Vinh. La chiesa di Tam Toa, per i cattolici vietnamiti ha un valore del tutto particolare. Di essa si ha notizia fin dal 1631 e nel XVII secolo era la più grande della regione, allora chiamata Sao Bun, con 1200 fedeli. L’attuale edificio, costruito in stile portoghese, con un tipico grande campanile, fu inaugurato nel 1887 ed era ritenuto una delle più belle chiese del Paese. Durante la guerra viene colpita dai bombardamenti americani, che lasciano in piedi solo la facciata e il campanile. Finiti i bombardamenti, i parrocchiani erano così impoveriti che non poterono restaurare la loro chiesa, ma le cerimonie religiose si svolgevano con regolarità sul suo terreno. Fino al 1996, quando il Comitato del popolo della provincia di Quang Binh l’ha confiscata, stabilendo che sarebbe divenuta “sito di un memoriale” e che doveva essere “preservata e protetta per le future generazioni, a ricordo dei crimini di guerra degli americani”. L’arcidiocesi di Hue domandò la restituzione della chiesa, ma invano.

A luglio si diffonde la voce che il “memoriale” sarà abbattuto per costruire un resort turistico.
Per i fedeli, continua a essere quella la loro chiesa e vi si recano per celebrare funzioni religiose. Ma il 20 luglio, agenti in borghese e attivisti del Partito attaccano i cattolici, picchiando uomini, donne e bambini. Due sacerdoti, Paul Nguyen Dinh Phu e Peter Nguyen The Binh, finiscono all’ospedale di Dong Hoi.  Il fatto provoca manifestazioni di protesta a Hanoi e Ho Chi Minh City.

Il 26 luglio, padre Paul Nguyen Dinh Phu, parroco di Du Loc, viene aggredito da un gruppo di poliziotti in borghese mentre si reca a Tam Toa, per concelebrare la messa, alla quale sarebbe seguita una manifestazione di protesta per il pestaggio del 20 luglio contro diversi fedeli, sette dei quali sono stati arrestati. Alla manifestazione prendono parte 170 preti, 420 religiose e circa 500mila cattolici della diocesi di Vinh e delle altre diocesi vicine.

Il 30 luglio, il generale Hoang Cong Tu, del Ministero della pubblica sicurezza, nega che vi siano state violenze sui sacerdoti e la polizia rigetta come “false” le accuse della diocesi di Vinh sui pestaggi. Per tutta risposta la diocesi diffonde su internet le foto dei sacerdoti e delle profonde ferite procurate dagli attivisti al seguito della polizia. Il generale Tu annuncia anche che sette fedeli saranno processati per “disordine”, avendo costruito una tenda da usare come luogo di preghiera davanti alle rovine della chiesa di Tam Toa.

L’8 agosto, nelle 178 parrocchie della diocesi si tengono veglie di preghiera: 500mila fedeli chiedono rispetto della libertà religiosa e la liberazione degli arrestati.
Per l’Assunta, 200mila persone partecipano alla messa. Altre 500mila, alle quali la polizia impedisce di raggiungere il luogo di raduno, celebrano messa lungo l’autostrada.
Il 20 agosto i bulldozer del governo cittadino radono al suolo gli ultimi brandelli dell’edificio sacro, lasciando in piedi soltanto il campanile.

Pochi giorni prima, il 13 agosto, i vescovi vietnamiti avevano ricordato al governo l’impegno dei cattolici per il bene del Paese, chiedendo di accettare il dialogo e di ripensare l’attuale legislazione sulla terra, che ne affida l’intera gestione allo Stato, con la possibilità di abusi di potere e rischi di corruzione. In un articolo pubblicato su VietCatholic News, i presuli scrivono che “la pubblica opinione è stata fortemente preoccupata di come è stato posto termine a recenti dispute riguardanti proprietà della Chiesa, con l’imposizione di misure legali e con sfrenate persecuzioni e arresti di cattolici”.

Settembre registra un nuovo caso di appropriazione di terreni di una chiesa e violenze. La parrocchia di Loan Ly, a Loc Hai, distretto di Phu Loc, nell’arcidiocesi di Hue, conta 900 fedeli, la maggior parte dei quali sono venuti qui nel 1954 dal Nord. AsiaNews riferisce che il 15 settembre c’è stato uno “xoâ xaùt” (scontro) con la polizia, che ha chiuso una classe di catechismo. Il motivo è sempre lo stesso: le autorità locali vogliono il terreno della parrocchia.
Parte anche la consueta campagna dei media di Stato contro i cattolici vietnamiti. Tv e giornali attaccano in particolare l’arcivescovo di Hue, colpevole di aver condannato la confisca della scuola di Loan Ly e le brutali violenze della polizia.

Il 21 ottobre, centinaia di agenti assalgono i fedeli e recintano le proprietà cattoliche. I funzionari hanno interrotto le comunicazioni telefoniche e internet per impedire ai fedeli di lanciare l’allarme. L’area, a quanto si dice, è nel mirino di politici locali e impresari edili.
Passano pochi giorni e torna in primo piano la diocesi di Vinh. Il 5 novembre, il parroco di Bau Sen, padre Peter Nguyen Van Huu, viene fermato dalla polizia mentre si stava recando all’annuale ritiro nella sede episcopale di Xa Doai. Mentre era trattenuto, decine di agenti in tenuta antisommossa, scortati da militanti rimuovevano una statua della Madonna dal cimitero parrocchiale.

Il 24 novembre, giorno nel quale si ricordano i 117 martiri vietnamiti canonizzati da Giovanni Paolo II, migliaia di candele illuminano l’apertura del Giubileo della Chiesa vietnamita. E’ una grande festa, alla quale Benedetto XVI invia un messaggio, nel quale augura che il Giubileo sia per la Chiesa del Vietnam un tempo di riconciliazione, di approfondimento della comunione ecclesiale e di edificazione di “una società giusta, solidale ed equa attraverso un dialogo autentico, il rispetto reciproco e la sana collaborazione”.
Sei giorni dopo, le autorità di Da Lat, nel sud del Vietnam, cominciano ad abbattere il Pontificio istituto San Pio X per farne un “parco culturale e urbano”. E ciò malgrado le ripetute richieste avanzate dai vescovi del Paese di poter tornare a fare un seminario di quella che era una proprietà della rappresentanza vaticana in Vietnam, dalla quale sono usciti 13 dei vescovi e 306 dei sacerdoti che attualmente operano nel Paese. L’Istituto aveva aperto la sua prima classe, il 13 settembre 1958.