In principio furono Lenin e Stalin. Poi Luxuria e Marino...
«Ripartire della rivoluzione sovietica, ripartire da Lenin e da Stalin». Mica è uno scherzo: oggi a Roma si celebra il Congresso del Partito Comunista, quello guidato da Marco Rizzo. Compagni stalinisti mai pentiti, epigoni di una sinistra che partita da Marx oggi si ritrova come leader Luxuria e il sindaco Marino.
La fine delle ideologie, il crollo del Muro e l’addio alla guerra fredda. Chissà, se come ha sempre sostenuto Lech Walesa, indimenticato leader di Solidarnosc, tutto è stato orchestrato dagli stessi comunisti di Mosca, per ingannare l’Occidente e mantenere in vita la dittatura rossa sotto altre forme. L’Unione Sovietica aveva deciso già prima del ’89 di liberarsi dei costosissimi Stati satelliti, avvertendo i partiti comunisti europei dell’imminente operazione e chiedendo sostegno mediatico a quella finta messinscena democratica. Grande tessitore dell’inganno fu quel furbastro di Gorbaciov, il quasi santificato inventore della perestrojka. Tutto vero o solo propaganda?
A raccontare questa storia sono in pochi, di sicuro ci credono quelli del Partito comunista d’Italia, piccola formazione di reduci che ancora oggi hanno il coraggio di impugnare la falce e il martello. Li guida Marco Rizzo, ex capaz di Rifondazione, passato con il mai pentito “sovietico” Armano Cossutta, per poi rifondarsi nel nuovo minipartito. Scissione continua, come sovente capita nell’ultra sinistra. Stamattina, Rizzo tiene gli stati generali (si fa per dire) del Pc con un programma tutto da ridere o dar far venire i brividi, a seconda dei gusti: “Viva la Rivoluzione Sovietica, Viva Lenin e Stalin. Ripartiamo da lì”. Mica è uno scherzo: ripartiamo dalla defunta Urss e dalle sacre salme dell’Ottobre rosso. Roma, nei giorni scorsi, è stata tappezzata di questi manifesti con la gigantografia delle due mummie del Cremlino, dal pomeriggio in esposizione straordinaria per compagni e militanti.
Oggi Rizzo non è più deputato né europarlamentare, e anche se non siede più nei banchi di Montecitorio, prende il vitalizio di 4.500 euro netti al mese, («è il minimo per uno che ha lavorato 20 anni in Parlamento», si giustificò per calmare la rabbia di molti compagni) stipendio che nella sua amata Mosca basterebbe ad alimentare per almeno anno un intero condominio. Cinquantacinque anni, testa lucida alla Kojak, bel sorriso e una vaga somiglianza con Enrico Ruggeri, il cantautore di balalaike e primavere a Sarajevo. Fuori dall’establishment di partito (il suo fu anche al governo con Prodi e D’Alema), Marco il rosso continua a stupire, ma più spesso a indignare. Per lui, la storia del comunismo si è fermata gli anni Cinquanta, alla morte di Stalin. La web del Pc, ridonda delle sue parole d’ordine, delle sue analisi politiche ma soprattutto dei suoi fiammeggianti omaggi ai leader mondiali della rivoluzione comunista. Di oggi, ma soprattutto di ieri. Di Stalin scrive: «61 anni fa moriva. Oggi è un reciproco di Hitler, il suo nome serve a combattere il comunismo. Il solo suo ricordo fa però tremare i padroni, ha edificato il primo paese socialista, senza di lui il nazismo avrebbe vinto. La sua esperienza non è fallita, è invece fallita la sua revisione. Il suo nome russo si traduce in "acciaio". Stalin. Terrore dei fascisti e dei falsi comunisti. Onore e Gloria a te!». E poi Chavez, Castro, Maduro, per non parlare del caro leader Kim Jong-il, per la cui dipartita il sovietico Marco espresse dolore e presentò le proprie condoglianze al popolo nordcoreano. Pugno chiuso al cielo e capo chino, e tanti saluti ai milioni di morti per fame, agli oppositori assassinati o rinchiusi nei lager, all’immenso gulag a cielo aperto che oggi è la Repubblica popolare della Corea del Nord. Beh, per uno che vuole ripartire da Stalin, questo e altro.
Non si sa se ridere o piangere per questo grottesco e nevrotico rifiuto della realtà, per il suo attaccamento a un’utopia morta e sepolta fino a sfiorare la necrofilia ideologica. Eppure Rizzo non ha per niente i caratteri torbidi del rèvenant assetato di sangue, è una simpatica macchietta che ha tutta l’aria di non credere a quel che dice. Ripartire dall’Urss? Ma lei è matto? Gli domanda un cronista di Repubblica, in un pezzo a metà tra il surreale, l’orrido e l’allucinazione lisergica. «Voglio parlare a un ipotetico giovane», dice Rizzo, «che chiede una via d’uscita dalla crisi». Lei gli offre il comunismo? «Infatti lui mi dirà: “Ma il comunismo ha fallito”. E io gli ribatterò: “Non è fallito il socialismo, ma la sua revisione, da Krusciov a Gorbaciov”». E quindi viva Lenin e viva Stalin? «Sì, assolutamente. Il giovane mi controreplicherà: “Ma i gulag, le purghe, le carestie?». E lei? «Io gli direi che bisogna storicizzare. Stalin aveva di fronte Hitler, Mussolini, gli Usa con la bomba». Insomma, questo giovane pensa di convincerlo? «Ne abbiamo già convinti a centinaia... Mi piacerebbe far ragionare criticamente un giovane, aprirgli la mente, farlo appassionare a una passione durevole».
Ecco, date a Rizzo un giovane e lui gli ribalterà “criticamente” il mondo, la storia e la verità su milioni di morti ammazzati da uno dei più sanguinari dittatori della storia, primo a tutti, Hitler compreso. In trentun anni di governo col pugno di ferro – anzi d’acciaio (da cui il soprannome) – fece morire fra le 20 e le 60 milioni di persone fra gulag, fucilazioni di massa e la carestia. Passava le nottate a firmare condanne a morte, cui alla fine aggiungeva un numero in matita rossa (+5.000, +6.000): altre persone che il Kgb doveva fucilare, scegliendole a caso, solo per dimostrare la potenza del Capo supremo. Ma oggi occorre ripartire da lì, da Lenin e Stalin, da quelle due facce da gangster che si incaricarono di fare il lavoro sporco della storia, per liberare i russi dallo zar e fare dell’Urss una potenza mondiale. Miracoli del materialismo dialettico e del rovesciamento rizziano della frittata comunista. Resta solo la domanda sulla fine che potrebbe fare il povero giovane cui Rizzo vorrebbe “aprire la mente” se al termine della lezione lo piantasse in asso con un secco: no grazie.
Bella risposta, ma non basta. Perché in questa folle nostalgia di stralunati nipotini di Stalin, qualcosa si lega ancora al presente, a questa Italia dove nessuno più è comunista, dove quelli che prendevano ordini da Mosca sono ancora lì, a giudicare e a governare, riciclati e ripuliti sotto altre insegne e in altri luoghi, certamente più rispettabili. Magari sono passati dalla bandiera rossa a quella arcobaleno , «pur di rientrare», come dice Rizzo, «in Parlamento». Gli ultrà rossi del suo Partito assomigliano ai kamikaze dell’Isis, pronti a calare le scimitarre sul collo degli infedeli, i traditori del Califfato Marx-Stalinista, ma almeno loro, come i jihadisti, una causa ce l’hanno, un progetto (folle) per cui morire e farci morire. E allora la domanda: peggio il “back in Urss” di Marco il sovietico, o le performance dei Marino, degli Scalfarotto, dei Pisapia e i De Magistris? Parvenu della rivoluzione dei diritti che dopo aver lasciato l’Urss occupano un super attico al Gay Village, e passano in municipio solo per benedire matrimoni omosex in fascia tricolore. Davvero questa sinistra frou frou, in calze a rete e piume di struzzo, c’entra nulla con i baffoni del feldmaresciallo Rizzo?
«Non importa che i gatti siano neri o grigi, basta che prendano i topi»: con questa fulminante metafora, Deng Xiaoping fece fuori Mao, la Rivoluzione culturale e tutto il convento maoista dei puri e duri della verità marxista e collettivista. Deng aprì la Cina alla realtà: l’economia di mercato, i film americani, la libertà di consumo, il bon ton borghese. Ma il gatto mercenario è anche la metafora del relativismo, del tecnicismo senza più uno scopo, di una dittatura senza dittatori perché non c’è più alcuna verità da offrire e difendere. Se non il dogma che tutto è permesso, tutto è discutibile e revocabile all’infinito. E non esiste più niente di evidente e naturale, neppure la differenza tra i sessi, abolita per legge come la proprietà privata nella Cina maoista e nell’Urss dei Soviet. Questa è la nuova dittatura, il pensiero unico, l’ideologia dove i gatti non sono né bianchi né neri, ma solo arcobaleno. Dalla società degli uguali a quella dei geneticamente modifcati, dal controllo dei mezzi di produzione, a quelli di ri-produzione, dalla Quarta Internazionale ai Due Orecchini di Vendola, da Stalin a Luxuria: su questo sarebbe meglio discutere con i giovani. E cercare insieme una nuova strada per ripartire.