MEDIORIENTE
In Palestina si sta scherzando con il fuoco
La decisione dell'Unesco di riconoscere la Palestina come Stato e i giochi diplomatici al Consiglio di sicurezza sono distanti anni-luce dalla realtà.
Editoriali
02_11_2011
Da lunedì per l'Unesco la Palestina è uno Stato a pieno titolo. Con una votazione andata decisamente di traverso a Israele e all'amministrazione Obama, l'organismo Onu responsabile per l'educazione e la salvaguardia delle culture ha elevato il rango della rappresentanza dell'Autorità nazionale palestinese. Un punto a favore per Abu Mazen, dunque, nella partita a scacchi diplomatica che si sta giocando intorno al Consiglio di sicurezza dell'Onu, dove da qualche settimana pende un'analoga richiesta, ma in quel caso con la spada di Damocle del diritto di veto che gli Stati Uniti sembrano avere tutta l'intenzione di utilizzare.
Sui quotidiani di mezzo mondo, dunque, ecco il solito tripudio di bandiere palestinesi, con annesso ragionamento su quanto sia più vicina la nascita del 194° Stato delle Nazioni Unite. Magari qualcuno chiederà anche al ministro Frattini che significato abbia l'astensione dell'Italia, dentro all'ennesima frattura interna all'Unione Europea (la Francia ha votato sì, la Germania no). Forse, però, sarebbe il caso piuttosto di chiedersi se questa partita diplomatica su cui versiamo tutti fiumi di inchiostro non sia diventata una sorta di mondo parallelo rispetto a quanto accade sul campo in Medio Oriente.
Perché mentre lunedì si discuteva all'Unesco, a Gaza andava in scena il terzo giorno consecutivo di razzi sparati contro Be'er Sheva, Ashkelon e Sderot e le relative rappresaglie aeree dell'esercito israeliano, con la consueta appendice di morti. Una nuova ondata di violenza voluta dai miliziani filo-iraniani della Jihad islamica per non rimanere tagliati fuori dal successo politico di Hamas, ottenuto l'altra settimana con le centinaia di prigionieri rilasciati da Israele in cambio del caporale Gilad Shalit. Lo stesso movimento di Hamas che - peraltro - è apertamente contrario all'offensiva diplomatica avviata da Abu Mazen all'Onu. Il tutto in un «quasi Stato» in cui non si tengono elezioni di nessun tipo dal 2006 per cui c'è da chiedersi chi ormai rappresenti chi.
Perché mentre lunedì si discuteva all'Unesco, a Gaza andava in scena il terzo giorno consecutivo di razzi sparati contro Be'er Sheva, Ashkelon e Sderot e le relative rappresaglie aeree dell'esercito israeliano, con la consueta appendice di morti. Una nuova ondata di violenza voluta dai miliziani filo-iraniani della Jihad islamica per non rimanere tagliati fuori dal successo politico di Hamas, ottenuto l'altra settimana con le centinaia di prigionieri rilasciati da Israele in cambio del caporale Gilad Shalit. Lo stesso movimento di Hamas che - peraltro - è apertamente contrario all'offensiva diplomatica avviata da Abu Mazen all'Onu. Il tutto in un «quasi Stato» in cui non si tengono elezioni di nessun tipo dal 2006 per cui c'è da chiedersi chi ormai rappresenti chi.
Alla fine, dunque, che cosa cambia davvero adesso che all'Unesco ci sarà la famosa sedia con la targhetta Palestina? Anche Gaza è una città antichissima, nel cui sottosuolo ci sarebbero resti archeologici importanti (anche cristiani). Vuole forse dire che da domani l'Unesco si occuperà di questo buco nero del mondo da dove di tanto in tanto è “fisiologico” che esploda una fiammata di violenza? Inizierà a dire che usarlo come rampa di lancio per i katyusha non è il modo più indicato per preservarlo? Oppure vuole dire che le prese di posizione dell'Unesco sul rispetto del volto plurale della storia di Gerusalemme - già avvenute in passato senza che la Palestina fosse Stato membro - avranno adesso un'efficacia maggiore?
L'unico effetto positivo di questo voto sarà probabilmente l'accelerazione dei tempi per sanare l'incredibile anomalia che vede tuttora la basilica della Natività a Betlemme - basilica cristiana rimasta praticamente immutata dal VI secolo a oggi - non inserita nella famosa lista dei “patrimoni dell'umanità”. Ma se è della soluzione del conflitto tra israeliani e palestinesi che stiamo parlando, è di ben altro che oggi avrebbe bisogno il Medio Oriente.
Servirebbero iniziative politiche, non voti simbolici utili solo a galvanizzare gli animi. Servirebbero posizioni chiare sulla fisionomia esatta dello Stato che si ha in mente e sulle tutele dei diritti di tutti, e non slogan sui confini (ormai impossibili) del 1967 e virtuosismi da gioco delle tre carte. Servirebbe un'amministrazione americana con la forza di chiedere a Netanyahu di mettere una buona volta le sue carte sul tavolo, anziché lasciarlo continuare a giochicchiare con le parole per tenere insieme il suo governo (e contemporaneamente avviare come se niente fosse piani per migliaia di nuovi appartamenti a Gerusalemme Est). Servirebbe una comunità internazionale in grado di capire che il riesplodere del conflitto israelo-palestinese sarebbe il colpo di grazia alle già malconce speranze di cambiamento uscite dalla primavera araba.
Niente come gli slogan su Gerusalemme - infatti - funzionano sempre bene per nascondere sotto il tappeto ogni altra cosa. Ma tutto questo oggi non c'è e allora si gioca con le bandierine tra l'Unesco e il Palazzo di Vetro. C'è solo da sperare che non sia l'aperitivo di giochi ben più pericolosi.
Niente come gli slogan su Gerusalemme - infatti - funzionano sempre bene per nascondere sotto il tappeto ogni altra cosa. Ma tutto questo oggi non c'è e allora si gioca con le bandierine tra l'Unesco e il Palazzo di Vetro. C'è solo da sperare che non sia l'aperitivo di giochi ben più pericolosi.