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Impossibile rimanere "neutri" di fronte alla Risurrezione

I Vangeli non sono cronache scritte da osservatori neutri, bensì dalla prospettiva della fede per proclamare quella stessa fede agli altri. "Perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome" come scrive l'evangelista Giovanni. I biblisti contemporanei paiono dimenticarlo.

Libertà religiosa 06_04_2018
Piero della Francesca, Risurrezione

L’altro giorno, durante l’omelia, un sacerdote ha correttamente detto che i Vangeli non sono una biografia composta da un “osservatore neutro”. Sono infatti scritti dalla prospettiva della fede per proclamare quella stessa fede agli altri. Giovanni ammette di avere scritto il proprio Vangelo «[...] perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20, 31).

Non vi è scandalo in questo, né quel sacerdote lo ha insinuato. È utile distinguere fra testi che hanno scopi differenti. Nessuno dovrebbe confondere la descrizione di un matrimonio fornita dalla sposa con il resoconto fattone dal cronista di un giornale. Il racconto che la sposa entusiasta fa del proprio matrimonio non è necessariamente “meno vero” dell’esposizione fredda del cronista. Ma se si confondesse il racconto della sposa con quello del cronista, ci si potrebbe domandare perché il cronista si sia lasciato entusiasmare sin dai dettagli più minuti. E se si scambiasse il racconto del cronista con quello della sposa, ci si potrebbe domandare come faccia questa donna appena maritata a mostrarsi tanto fredda riguardo le proprie nozze. “È una questione di prospettive”, si dice. Sì, lo è. Ma si tratta della prospettiva di chi? E nella prospettiva di quella tal persona che cosa è importante? Se al matrimonio di cui sopra fosse stato presente il sindaco e se questi ci avesse provato con la damigella d’onore, un cronista potrebbe ritenere appropriato parlarne. La sposa magari no. Possiamo capire entrambi.

Ma quel che sto cercando di comprendere è come si comporterebbe un osservatore “neutro”. A volte gli studiosi adoperano il termine “neutro” come se a tutti il suo significato fosse chiaro. Non sono però sicuro che lo sia per tutti. Tendiamo a ritenere che un “osservatore neutro” sia qualcuno che non ha presupposizioni e che dunque racconti l’accaduto spassionatamente. Ma la prima cosa è davvero possibile e la seconda auspicabile?

Si consideri una persona che rediga un resoconto storico delle atrocità commesse da Adolf Hitler, da Stalin o da Mao Zedong. Come sarebbe un resoconto “neutro”, “spassionato”? Se una persona fosse capace di scrivere un resoconto neutro, spassionato di orrori simili, cosa questo ci rivelerebbe di costui? Che quella persona è stata ammirevolmente “neutrale”? Oppure completamente spietata, incapace di capire? Come si può essere “neutrali” rispetto all’assassinio sistematico di milioni di esseri umani? Un tale dice: “Stamattina mi sono alzato, mi sono vestito, ho fatto colazione, ho dato il mangime al pappagallino, sono andato in ufficio, ho organizzato lo sterminio di 60mila ebrei, sono andato dal parrucchiere e sono tornato a casa per cena”. “Aspetta un momento””, gli diciamo noi. “Com’era quella cosa dei 60mila?”. Certo, il tutto non migliorerebbe se quel tale rispondesse: “È stata solo una delle tante cose che ho fatto durante la giornata. Cerco di guardare le cose da un punto di vista neutrale”. O ci si oppone al male, oppure si permette al male di sembrare “normale”. Come far colazione.

Spesso i biblisti moderni scrivono dando l’impressione che i resoconti di cui sono autori siano superiori a quelli degli evangelisti per il fatto che la loro erudizione è “neutra”, ovvero non scritta dalla prospettiva della fede. Ne parlano come se un punto di vista “neutrale” fosse (e sia) possibile. Il Signore del mondo si è incarnato, si è sacrificato per noi, è stato crocifisso, è morto ed è stato sepolto. Il terzo giorno è apparso ai propri discepoli in una stanza chiusa a chiave al piano rialzato. Un resoconto “neutro” cosa direbbe? “Alcuni giovani ebrei fervorosi dicono di avere visto un morto al piano di sopra”. Un cronista potrebbe non aver voluto dare subito credito a quel racconto, ma noi ci domanderemmo se non abbia poi voluto controllare di persona. Un uomo di cui è stata confermata la morte viene visto camminare in giro vivo e la cosa non merita un’indagine? Non sarebbe un po’ come se un cronista che da fonti affidabili avesse sentito che gli alieni sono atterrati in un campo del New Jersey partisse invece per indagare sulla notizia di un cane che ha morso un uomo nel Queens? Se il cronista non parte subito per quel campo vuol dire che semplicemente non crede a ciò che ha sentito dire. Non è “neutrale”. Ha già deciso che la cosa non è successa.

Perché mai qualcuno dovrebbe aspettarsi un punto di vista neutro da chi scrive della venuta del Messia, il Figlio di Dio incarnato? Dio viene di persona e noi ci aspettiamo che coloro che vivono la compagnia del Dio-uomo dicano: “Stamattina ho fatto colazione, sono andato al lavoro, ho parlato coi miei cugini, ho incontrato Dio che mi ha detto ‘pasci le mie pecore’, a pranzo ho mangiato pesce, mi si è infilata una scheggia nel pollice, ho passeggiato sulla spiaggia...”. Chi scriverebbe cose così? Se qualcuno lo facesse, lo giudicheremmo “oggettivo” oppure sciocco, insomma incapace di cogliere la drammaticità del momento? Diremmo che ne ha colto la “verità vera”? O piuttosto che l’ha mancata quasi del tutto? Il suo resoconto “spassionato” ispirerebbe le moltitudine innumerevoli e verrebbe tramandato di generazione in generazione? Secondo me, no.

Ho sempre pensato che la reazione alle notizie straordinariamente buone non possa che essere la gioia. Il restare “neutrali” dà l’idea che si sia sentita la storia, ma che non se ne sia colto il significato. Le righe che seguono possono non sembrare gioiose, ma se non altro T.S. Eliot ha capito qualcosa di quel significato dell’evento pasquale che le persone moderne a volte perdono:

 

Il chirurgo ferito impugna il bisturi
Che interroga l’organo sofferente;

Sotto le mani insanguinate sentiamo
La compassione affilata dell’arte del guaritore
Che scioglie l’enigma della cartella clinica.

La nostra unica salute è la malattia
Se obbediamo all’infermiera morente
La cui cura costante non è compiacere
Ma ricordarci la maledizione nostra e di Adamo,
E che, per guarire, la nostra malattia deve aggravare.

La Terra intera è nostro ospedale
Finanziato dal milionario fallito,
Dove, se ci va bene,
Moriremo per le incondizionate cure paterne
Che non ci lasciano, ma che ovunque ci circondano.

Il gelo sale dai piedi alle ginocchia,
La febbre canta tra i fili della mente,
Se voglio scaldarmi, devo gelare
E rabbrividire in glaciali fuochi purgatoriali
Le cui fiamme sono rose e il cui fumo sono rovi.

Il sangue gocciolante la nostra sola bevanda,
La carne sanguinante il nostro solo cibo:
nonostante ciò, ci piace credere
di essere carne e sangue vigorosi, sostanziali –
Ancora, nonostante ciò, chiamiamo santo questo Venerdì.**

** East Coker, IV,  nei Quattro quartetti

Traduzione di Marco Respinti

*Randall B. Smith è docente di Teologia nella University of St. Thomas di Houston, in Texas. L’articolo qui tradotto è stato pubblicato il 28 marzo 2018 sul quotidiano online The Catholic Thing, diretto a Washington da Robert Royal, con il titolo A Neutral Account of Easter?