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USA

Impeachment e quel clima infame contro Trump

Impeachment, paralisi giudiziaria o omicidio? Sembrano queste le tre domande che gli oppositori di Trump si stanno ponendo. L'opposizione sta montano il Russiagate e parla di impeachment, anche se non ha trovato prove di illeciti. La magistratura boccia ripetutamente il "muslim ban". E il matto che spara è arrivato, ad Alexandria, cercando di far strage fra i repubblicani. Prodotto di un clima di radicalizzazione contro il presidente.

Esteri 16_06_2017
James Hodgkinson, l'attentatore di Alexandria

Impeachment, paralisi giudiziaria o omicidio? Sembrano queste le tre domande che gli oppositori di Trump si stanno ponendo. Il presidente ha vinto le elezioni del 2016 con una solida maggioranza degli Stati. I Repubblicani sono in maggioranza in entrambe le camere del Congresso. Il maggior numero degli Stati è governato localmente dal Gop. Cosa resta se non la piazza, i servizi segreti e la magistratura per tentare di rovesciare un presidente che nessun uomo di Washington pare digerire? Sembrerebbe la trama di un brutto film di fantapolitica, ma è quello che sta accadendo sotto gli occhi di tutto il mondo.

Di impeachment (messa in stato di accusa del presidente) si parlava già da prima delle elezioni. Il Washington Post, quotidiano politicamente vicino ai Democratici, ne scriveva già nel lontano 30 giugno 2016, quando “The Donald” era fresco di nomina alla candidatura repubblicana. Sempre prima delle elezioni, il 23 settembre, il Washington Post intervistava il professor Allan Lichtman, sulla possibilità di un impeachment di Trump, nel caso fosse diventato presidente. Dal giorno della sua elezione in poi, non passa mese che non venga profetizzato un prossimo impeachment: dal regista Michael Moore, dall’Huffington Post, dalla rivista Politico e altre fonti. E si ha la sensazione che ogni fronte presenti una causa di messa in stato d’accusa del capo di Stato: per conflitto di interessi, per violazione della Costituzione, per minaccia alla sicurezza nazionale (i famosi segreti svelati ai russi) e tante altre cose.

Profezia che si auto-avvera. In questi giorni è sempre il Washington Post che parla ancora di impeachment, a causa del “Russiagate”, l’indagine su eventuali contatti illeciti fra l’amministrazione Trump e la Russia di Putin. Il quotidiano lo scrive perché ha uno scoop: sa da fonti interne che il super-procuratore Robert Mueller, ex direttore dell’Fbi nominato da Trump medesimo per indagare sul caso, starebbe aprendo l’indagine sul presidente per “ostruzione della giustizia”. Parole che pesano come macigni, perché sono le stesse che hanno portato all’impeachment di Nixon. In quel caso, tuttavia, c’erano le prove che Nixon stesse spiando i Democratici (scandalo Watergate). In questo, invece, non ci sono prove che Trump abbia impedito all’ex presidente dell’Fbi James Comey di indagare sull’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn. E, fra l’altro, non vi sono prove che lo stesso Michael Flynn avesse contatti illeciti (e sottolineiamo: illeciti) con la Russia di Putin. Inoltre, l'impeachment è una decisione politica. In ultima istanza, è la maggioranza di entrambe le camere del Congresso che lo deve votare. E la maggioranza è dei Repubblicani. Suiciderebbero così il loro presidente e la possibilità di governare almeno 4 anni? Molto difficile. Tuttavia, la parola “impeachment” sta entrando nel lessico quotidiano. Fa ormai parte del gioco politico. A chiunque segua l’ingarbugliata vicenda politica americana da casa propria, Trump appare già come un’anatra zoppa. E’ un effetto ricercato dalle sue opposizioni. 

La seconda arma scelta dall’opposizione, è quella della paralisi giudiziaria. Apparentemente super partes, la magistratura statunitense è un organo in parte elettivo (pubblica accusa), in parte nominato dal presidente in carica (giudice), dunque non è esente da logiche politiche. Era palesemente politica, ad esempio, la sentenza pronunciata dal giudice delle Hawaii Derrick Watson (nominato da Barack Obama nel 2013) contro il cosiddetto muslim ban, il decreto presidenziale sull’immigrazione, architrave della sua svolta sulle politiche migratorie e di sicurezza. Era politica perché non contestava neppure il testo del decreto, ma le intenzioni presunte del presidente che lo aveva emesso. Il 12 giugno, lo stesso “muslim ban”, cioè la temporanea sospensione del visto per chi cerca di entrare negli Usa da sette paesi, poi ridotti a sei, iscritti in una black list (redatta da Obama, per altro) ha subito un altro scacco giudiziario. Emettendo la sentenza di appello sul caso sollevato in primo grado nelle Hawaii, il Nono Circuito ha stabilito che il decreto deve essere sospeso, anche nella sua seconda stesura (riveduta e corretta) più leggera. Di fatto, il Nono Circuito ha confermato la sentenza, politicizzata, del giudice Chin. Nella sentenza ci sono frasi come “L’immigrazione, anche per un presidente, non è uno spettacolo con un attore solista”. Una condanna politica, insomma. Ma che si fa forza dell’autorità della magistratura. La Casa Bianca ricorre alla Corte Suprema. Ma da qui alla sentenza definitiva, intanto, il decreto è sospeso. E il presidente passa, agli occhi di tutti, come quel capo di Stato che emette decreti bizzarri e illegali. E secondo gli analisti, poteva andare addirittura peggio: il Nono Circuito, comunque, non ha giudicato il decreto come “anti-costituzionale”. Ma il rischio di una paralisi giudiziaria, con i giudici che bocciano ogni singolo decreto presidenziale fino a sfiancarlo, non appare più come un’ipotesi fanta-politica.

Infine, ma non da ultimo: l’opposizione più radicale potrebbe riesumare la tradizionale arma americana dell’omicidio del presidente. Media e opinion maker, a tutti i livelli, ne parlano in scioltezza e si è venuto a creare, specie negli ultimi sei mesi, “un clima infame”, come si direbbe dalle nostre parti. Sulla continua istigazione all’odio contro Trump abbiamo già scritto su queste colonne. La novità è che il primo folle disposto a sparare, il 14 giugno, è comparso sulla scena. Un 66enne militante democratico, di nome James Hodgkinson, ha cercato di provocare una strage di politici repubblicani ad Alexandria, sobborgo meridionale di Washington. Avvenuto durante gli allenamenti per la partita di baseball amichevole fra Democratici e Repubblicani, l’attentato si è concluso con la morte del solo attentatore, colpito e ucciso dalla polizia. Molta la paura e cinque i feriti, fra cui anche il capogruppo repubblicano alla Camera, Steve Scalise.

Hodgkinson è un prodotto estremo della radicalizzazione della sinistra americana. Ha fatto tutte le marce dell’ala più progressista dei Democratici. Vicino al movimento Occupy, aveva come copertina della sua pagina, la foto che lo ritraeva con il cartello “Tassa i ricchi! Quello che il Congresso ha sempre fatto per 70 anni prima che arrivasse Reagan e la sua teoria del trickle down”, cioè la teoria, babau della sinistra, secondo cui i ricchi, producendo beni, servizi e posti di lavoro, arricchiscono anche i poveri. Benestante, abitava in una casa con piscina dove teneva feste con i suoi amici, però non sopportava i “ricchi”, non sopportava il “sistema”, benediva “il 99%” che secondo la visione del mondo della sinistra radicale è spogliato da quell’1% di popolazione super-ricca che deterrebbe quasi tutta la ricchezza del mondo. Questo concentrato ideologico è scoppiato quando è sceso in campo Donald Trump: ricco, fiero di esserlo, conservatore e fuori da ogni grazia del politicamente corretto. La bacheca del militante Hodgkinson si è riempita di materiale “mai Trump”, poi anche “distruggi i Repubblicani” in senso lato. Nella campagna delle primarie, era un supporter di Bernie Sanders, il candidato di estrema sinistra del Partito Democratico. Finché Trump non ha vinto realmente e allora qualcosa deve essere esploso nella sua mente. “Non abbiamo bisogno e non meritiamo un presidente miliardario”, aveva scritto a dicembre. “E’ tempo di distruggere Trump e la sua cricca”, aveva ribadito in marzo. Fino alla decisione estrema di uccidere materialmente deputati della destra americana, in una missione palesemente suicida.

Ci saranno altri come lui che tenteranno l’impresa, mirando direttamente a Donald Trump? Sì, se continua questo clima infame.