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Il vicario apostolico di Tripoli: "Basta bombe, fanno vittime civili"
Monsignor Martinelli: "Era una crisi interna, non ci sono state stragi, questi attacchi sono irragionevoli. C'era già una mediazione in corso, ora passiamo tutte le notti sotto i bombardamenti".
- L'Occidente alla guerra delle tribù, di M. Introvigne
Attualità
23_03_2011
“Basta, basta. Fate smettere questa assurdità. E’ irragionevole, non c’è una ragione per tutto questo. E comunque la violenza non risolve nulla. Sia proclamata una tregua per offrire la possibilità di un dialogo”. Monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, quaranta anni di Libia divisi tra Cirenaica e Tripoli, è profondamente scosso dagli eventi di questi giorni. “Quando scende la notte diventa un incubo. Ieri sera (la notte tra lunedì e martedì, ndr) hanno iniziato a bombardare Tripoli alle 21.30, hanno finito dopo le 3 del mattino. E non è la prima notte. Sa cosa vuol dire ore e ore sotto questo martellamento? Come può vivere la gente in queste condizioni?”.
Monsignor Martinelli, cosa sta succedendo a Tripoli, com’è la situazione?
Si vive nella paura. Questi bombardamenti sono terribili e non si capisce dove vogliono arrivare. Se l’obiettivo sono alcuni siti militari a quest’ora, con tutte le bombe lanciate, dovrebbe essere tutto già finito. E invece no, continuano.
Le risulta ci siano danni e vittime tra i civili?
Con questa intensità di bombardamenti è impossibile non ci siano vittime anche tra i civili. Di feriti ce ne sono molti, e lo so direttamente da fonti ospedaliere. Per il resto, consideri che intorno agli obiettivi militari ci sono anche quartieri dove la gente vive normalmente. Può ragionevolmente pensare che per loro non vi siano conseguenze? E poi non ci sono soltanto le ferite fisiche, le bombe non sono carezze, fanno male anche moralmente e psicologicamente.
Lei dice non c’è una ragione, ma si parla di stragi di civili da parte di Gheddafi.
Guardi, io non sono in grado di confermare la notizia di stragi. Forse ci saranno state risposte pesanti da parte dei militari, ma bisogna anche stare attenti perché la tv araba Al Jazeera ha diffuso molte notizie false in queste settimane.
Nei giorni caldi della rivolta si è parlato anche di bombardamenti sui civili a Tripoli da parte di Gheddafi.
Non mi risulta. Al Jazeera aveva anche detto che era stata bombardata e distrutta la cattedrale a Tripoli, ma non è vero: la cattedrale è intatta e noi religiosi cattolici non abbiamo mai subito nessun tipo di violenza.
Ma Gheddafi è davvero solo contro tutto il popolo libico?
A Tripoli sicuramente gode di un certo sostegno popolare. E la gente considera questi attacchi incomprensibili.
A Bengasi la situazione non era così tranquilla.
Si trattava di una crisi interna, una crisi che ha anche un motivo generazionale: ci sono molti giovani in questo Paese, aspirano a un futuro diverso. Ad ogni modo era una crisi interna, che si poteva risolvere con il dialogo perché la gente in Libia non è guerrafondaia. Anzi, dei canali si erano già attivati: la Islamic Call Society, ad esempio, una associazione islamica diffusa in tutto il mondo ma nata in Libia, si stava muovendo nel paese – e anche fuori - per far partire un dialogo fra le parti. Ma questo intervento incomprensibile dell’Europa ha chiuso qualsiasi disponibilità al dialogo, qualsiasi possibilità di risolvere la crisi. Perché la violenza non porta la pace. E qui siamo di fronte a una nuova forma di colonialismo. Dove vogliono arrivare? Così non si apprezza più la civiltà dell’Europa.
Ha impressionato come la Francia abbia voluto e trascinato altri paesi nella guerra a Gheddafi.
La Francia probabilmente cerca un predominio nella regione e si è messa in testa di portare un nuovo ordine in Libia. Ma hanno fatto uno sbaglio molto grave. E amareggia che anche l’Italia si sia accodata: poteva giocare un ruolo di mediazione, invece nulla. Oltretutto si sta distruggendo un lavoro di quaranta anni che cominciava a portare frutto.
Si può spiegare meglio?
Non dimentichiamo cos’era Gheddafi negli anni ’70, con il suo finanziamento al terrorismo era un pericolo. Ma in tanti anni si è fatto un lavoro prezioso, e si era arrivati a una situazione di amicizia, con l’Italia e con l’Europa tutta, di cui si cominciava a godere i frutti.