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LA SENTENZA

Il Tar mette in ginocchio i medici obiettori

Sentenza del Tar del Lazio obbliga i medici obiettori nei consultori a certificare le gravidanze e a prescrivere pillole abortive. E' una fuga dei giudici dalla realtà che delinea una concezione etica da stato totalitario.

-MORIRE DI PILLOLA A 23 ANNI 

Vita e bioetica 07_08_2016
Un consultorio

La sentenza del TAR del Lazio che ha respinto il ricorso proposto da Movimento per la Vita, Medici Cattolici, Ginecologi ed Ostetrici Cattolici, Giuristi per la Vita e Pro Vita contro il decreto della Regione Lazio sulla presenza dei medici obiettori nei consultori familiari non è solo una sconfitta per il mondo prolife, ma ha una portata più ampia. 

Il decreto Zingaretti stabilisce espressamente che i medici obiettori di coscienza che lavorano nei consultori hanno l'obbligo di attestare lo stato di gravidanza della donna che si presenta perché intenzionata ad abortire e hanno, ancora, l'obbligo di prescrivere e somministrare i contraccettivi ormonali, anche post-coitali (pillole "dei giorni dopo"), nonché di applicare i sistemi contraccettivi meccanici (spirale). Il giudizio del TAR, quindi, non riguardava affatto un conflitto tra una donna che vuole abortire e un medico che non vuole contribuire alla uccisione dell'embrione o del feto: è pacifico, infatti, che – in caso di rifiuto da parte di un medico obiettore – altri medici avrebbero attestato la gravidanza, prescritto le pillole (alcune delle quali, fra l'altro, ormai sono farmaci da banco), applicato la spirale. 

No. In questo caso le parti erano diverse: l'Autorità Pubblica e il medico obiettore. L'Autorità dice al medico: "Anche se la tua coscienza te lo vieta, tu devi rilasciare il certificato, devi prescrivere le pillole, devi inserire la spirale; se non lo fai, ti licenzio o ti denuncio (meglio ancora: non ti assumo)". 

Dopo aver compreso questo, possiamo commentare in tre passaggi la sentenza del TAR del Lazio. 

1. Fuga dalla realtà e dalla scienza. 

Che pensare di un giudice che, per confermare l'obbligo per i medici di prescrivere le "pillole che uccidono" (cioè quelle che, impedendo l'annidamento nel corpo della madre dell'ovulo fecondato, ne determinano la morte), sostiene che "le norme di rango costituzionale non recano una nozione certa circa il momento iniziale della vita umana"? Il TAR del Lazio, cioè, afferma che – nel 2016! – ancora "non sa" se la vita umana comincia al momento del concepimento! E lo fa ribadendo una sua pronuncia del 2001.

Verrebbe da dire: in quindici anni non ti sei ancora informato? Quindi, sempre il Tar, rifiuta di acquisire le conoscenze scientifiche sul momento del concepimento; per non sbagliare, poi, si guarda bene dal menzionare pronunce autorevoli di carattere giuridico, come quelle della Corte di Giustizia dell'Unione Europea che, appunto, afferma che l'embrione è tale dal momento del concepimento, o quelle della Corte Costituzionale italiana, ad esempio la 229/2015 che, confermando il divieto di soppressione dell'embrione creato artificialmente – quindi mai annidato nell'utero materno – ha affermato che "l’embrione, infatti, quale che ne sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico"; ignorata è anche la legge 40 del 2004 che addirittura attribuisce soggettività giuridica al concepito. 

La posizione antiscientifica del giudice si coglie anche in un altro passaggio: quello in cui il TAR Lazio mostra disinteresse rispetto agli effetti antinidatori delle pillole, sostenendo che essi sarebbero sostenuti con affermazioni apodittiche e rifugiandosi dietro gli studi della Regione Lazio e soprattutto dietro la delibera AIFA che ha modificato le modalità di prescrizione delle pillole; ignorando, per di più, la pendenza di altro procedimento in cui si contestavano proprio i provvedimenti dell'AIFA. 

Il fatto è che il giudice amministrativo può sindacare ed annullare i provvedimenti amministrativi e, come ogni giudice, deve prendere le sue decisioni sulla base delle conoscenze scientifiche più adatte, potendo effettuare gli approfondimenti necessari. 

Ma tutto questo al TAR del Lazio – che "sa di non sapere" e ha visto che tutti i timbri sono stati apposti – evidentemente non interessa.

3. Il Giudice osserva e giudica la coscienza del medico.

Leggiamo bene la frase che segue (anche se un po' ostica), per comprenderne il vero significato: "Sostanzialmente è da escludere che l'attività di mero accertamento dello stato di gravidanza richiesta al medico del Consultorio si presenti come atta a turbare la coscienza dell'obiettore, trattandosi di (…) attività meramente preliminari non legate in maniera indissolubile, in senso spaziale, cronologico e tecnico al processo di interruzione della gravidanza".

Stiamo parlando del rilascio del documento da parte del medico del consultorio che, dopo il colloquio con la donna che vuole abortire, attesta che ella è in stato di gravidanza e che ha chiesto di interromperla (si tratta della procedura per i primi novanta giorni). Dopo sette giorni la donna può presentarsi in ospedale e ha diritto ad abortire mostrando il documento (art. 5 legge 194); senza il documento non può abortire. Addirittura molte Regioni stanno organizzando il "servizio IVG" facendo in modo che il Consultorio dove la donna si presenta fissi direttamente con l'Ospedale l'appuntamento per eseguire l'intervento abortivo.

Il T.A.R. sostiene che il rilascio del certificato è solo "assistenza" e non ha, quindi, una "rilevanza causale e diretta all'aborto": infatti, la donna può cambiare idea e non presentarsi in ospedale. 

Facciamo un'ipotesi "fantascientifica" di una normativa futura; una donna si presenta al medico e gli dice: "Ho partorito pochi giorni fa, il bambino è malato e non me la sento di accudirlo per tutta la vita: voglio ucciderlo"; il medico le rilascia un documento in cui attesta che la donna ha partorito un bambino gravemente malato e vuole ucciderlo; lo dà alla donna e la indirizza ad un ospedale, dicendole: "Tra sette giorni può farlo uccidere presentando questo documento; ci pensi bene, però!"

Ipotesi provocatoria? Beh, un bambino viene ucciso da medici sulla base della volontà della madre anche nell'aborto; del resto, Giubilini e Minerva (e non solo loro) non hanno forse proposto l'aborto post-nascita, sostenendo che la soppressione dei neonati deve essere possibile in tutti i casi in cui la legge permette l'aborto? E allora: questo medico potrà dire che il suo documento non ha una rilevanza causale e diretta dell'uccisione del bambino?

Ma, la frase della sentenza è davvero terribile per un altro motivo: non solo sostiene erroneamente – l'errore è palese! – che il medico che rilascia il documento non coopera all'aborto che sarà eseguito nei giorni successivi, ma afferma che la coscienza dei medici non può ritenere il contrario!

Quindi: il medico deve rilasciare il certificato e non può permettersi di ascoltare la sua coscienza che gli dice: "Non puoi farlo! Stai cooperando all'uccisione di un bambino!". E' lo Stato che comanda cosa deve dire e cosa non deve dire la coscienza degli individui. 

4. L'individuo sottomesso allo Stato. 

La legge 194 del 1978 – legge ingiusta che ha permesso la soppressione di milioni di bambini – contiene una norma sull'obiezione di coscienza con pochi difetti: soprattutto, disegna quell'istituto come un diritto assoluto del sanitario, che effettua una dichiarazione, e non una domanda, perché nessuna Autorità può entrare nella coscienza della persona e giudicarla. 

Il problema è: comprendiamo ancora (i giudici lo comprendono?) il significato di "coscienza"? Non si tratta affatto di non essere d'accordo con una norma e, tanto meno, di non avere voglia di eseguire il proprio dovere. Come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, "nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria (1776)".

Fissazioni religiose dei soliti cattolici "fissati" con l'embrione? Dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale causata dagli Stati totalitari, si affermò solennemente che "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza" (Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo) e si stabilì che "Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione" (art. 9 Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo). 

I Giudici del TAR, in realtà, non hanno affatto guardato le persone che avevano davanti: quei medici – ciascun singolo medico – ben consapevoli (loro sì!) che la vita comincia con il concepimento e che l'aborto uccide un essere umano, così come le pillole contraccettive (quelle "dei giorni dopo" sono state inventate apposta!) e non solo non vogliono cooperare, ma non possono farlo per non mettere a rischio la propria dignità: "In tutto quello che dice o fa, l'uomo ha il dovere di seguire fedelmente ciò che sa essere giusto o retto. La dignità della persona umana implica ed esige la rettitudine della coscienza morale". 

L'uomo che ascolta la sua coscienza percepisce il dovere di astenersi da determinate azioni; il dovere gli viene da una legge che egli, con l'uso della ragione, riconosce esistente. Cosicché quando una legge dello Stato lo obbliga a compiere quella azione, egli si trova di fronte a due leggi che contengono due imperativi contrapposti. Lo Stato gli intima: "devi fare questa azione" e lo minaccia di una sanzione se non obbedisce; la coscienza e la ragione gli intimano: "Non devi fare questa azione" ed egli sa che la "sanzione" è la perdita della sua dignità. 

Il TAR ha compreso che sta ordinando a delle persone di compiere atti che faranno perdere loro la dignità di esseri umani?

5. Uno Stato totalitario?

Ecco quello che emerge da questa sentenza: una verità di Stato (addirittura una scienza di stato!) che non permette dissenso, nemmeno di tipo scientifico, e che quindi ha paura della ricerca, del confronto di idee, della possibilità che alcune certezze cadano; e uno Stato che entra nella coscienza degli individui e intima loro di credere a tale verità, minacciandoli e punendoli se essi – in "scienza e coscienza", così come ci si aspetta da un medico bravo e competente, uno con il quale davvero instaurare un'alleanza terapeutica! – vogliono obbedire ad una legge che la ragione dimostra loro essere quella giusta. 

Non si tratta, quindi, di difendere soltanto i nostri medici: è un problema di democrazia! Il TAR non ricorda l'insegnamento della Corte Costituzionale secondo cui "A livello dei valori costituzionali, la protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all'uomo come singolo, ai sensi dell'art. 2 della Costituzione, dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia di questi ultimi senza che sia stabilita una correlativa protezione costituzionale di quella relazione intima e privilegiata dell'uomo con se stesso che di quelli costituisce la base spirituale-culturale e il fondamento di valore etico-giuridico" (sente. 467 del 1991)? E l'avvertimento della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, secondo cui "ciò che è protetto dall'Articolo 9 della Convenzione, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, è uno dei fondamenti di una "società democratica" ai sensi della Convenzione"?

In queste prove di Stato totalitario – iniziamo dai medici, ma già tocca ad altri – i giudici sembrano essersi dimenticati che "contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti" (art. 113 della Costituzione). Contro la ricorrente tendenza del potere amministrativo e politico a prevaricare gli individui, i Costituenti riaffermarono i diritti inviolabili dell'uomo (art. 2 della Costituzione), affidando ai giudici il ruolo di guardiani e difensori dei cittadini.

Questa volta, i medici obiettori di coscienza non hanno trovato un giudice che difendesse i loro diritti e la loro dignità.