Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Beata Vergine Maria del Monte Carmelo a cura di Ermes Dovico
il bilancio

Il summit Nato porta l'Europa verso un'escalation di guerra

Ascolta la versione audio dell'articolo

Il bilancio del summit dell’Alleanza Atlantica sembra confermare la tendenza dell’Occidente a cercare il confronto militare con la Russia e quella degli Stati Uniti a lasciare un’Europa sempre più debole sul piano politico, militare, sociale ed economico. 

Esteri 13_07_2024

Il bilancio del summit NATO di Washington per i 75 anni dell’Alleanza Atlantica sembra confermare la tendenza dell’Occidente a cercare il confronto militare con la Russia e quella degli Stati Uniti e dei loro vassalli a lasciare un’Europa sempre più debole sul piano politico, militare, sociale ed economico. 

Tra i protagonisti del summit un Biden giudicato da alcuni irrimediabilmente da sostituire nella corsa alla Casa Bianca e da altri “molto lucido” nonostante qualche gaffes, ma soprattutto il segretario generale della NATO Lens Stoltenberg che presto cederà lo scranno all’olandese Mark Rutte, un altro fedelissimo scudiero degli interessi di Washington.

Dopo aver annunciato che l’adesione dell’Ucraina alla NATO è questione «di quando, non di se», Stoltenberg ha definito l’accesso di Kiev all’alleanza come «irreversibile». Questione ribadita in modo perentorio dal premier estone Kaja Kallas, sempre in prima linea sul fronte anti-russo. Certo si tratta di un impegno politico che non ha ancora nessuna concretezza: non c’è una data né una road-map e lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ammesso che l’adesione è impossibile finché perdura la guerra.

In termini concreti però due aspetti sono stati ignorati dal segretario generale della NATO e dagli stati membri. Innanzitutto, l’adesione dell’Ucraina alla NATO, anche se solo annunciata, significa stato di guerra a oltranza (forse dovremmo dire “irreversibile”) con la Russia, poiché vorrebbe dire truppe e basi statunitensi a 500 chilometri da Mosca proprio mentre gli Stati Uniti hanno appena avuto il via libera da Helsinki ad accedere a una dozzina di basi in territorio finlandese, a due passi da San Pietroburgo e dalla Carelia russa.

Con un po’ di buon senso, basta immaginare come reagirebbe Washington alla presenza di basi russe (o cinesi) in Canada o in Messico per comprendere in quale contesto si sta posizionando l’Europa. 

I governanti dei 32 stati alleati ne sono consapevoli? Sono tutti concordi con l’ingresso dell’Ucraina nella NATO? Ungheria e Slovacchia non lo sono, non almeno con gli attuali governi, ma sarebbe utile che in proposito si pronunciassero chiaramente e pubblicamente tutti i governi europei considerato che l’opinione pubblica è quasi ovunque in maggioranza contraria alle posizioni assunte dai rispettivi governi nazionali e vorrebbe che l’Europa promuovesse negoziati di pace nel conflitto ucraino.

Del resto l’unico leader europeo che si è mosso in tal senso, il premier ungherese Viktor Orban, è stato pesantemente attaccato da tutta la UE che addirittura vorrebbe trovare un escamotage per privare Budapest delle sue prerogative di presidente di turno dell’Unione.

Come era apparso subito chiaro, Orban ha visitato Kiev, Mosca, Pechino e Ankara in veste di “ambasciatore” di un piano di pace messo a punto da Donald Trump, che grazie al premier ungherese sta mettendo avanti il suo programma per concludere il conflitto se si insedierà nuovamente alla Casa Bianca. Mentre le notizie che giungono dai fronti ucraini dovrebbero indurre NATO e UE a negoziare con Mosca (o almeno a prepararsi a farlo), i due organismi sovranazionali operano invece all’opposto sostenendo una guerra a oltranza che né gli ucraini né gli europei possono sostenere.

«Capisco i desideri dell'Ucraina, è un paese sovrano, ma l'adesione dell'Ucraina alla NATO è solo una garanzia della terza guerra mondiale», ha detto il premier slovacco Robert Fico. A conferma che per trovare buon senso nelle nazioni aderenti a NATO e UE occorre oggi guardare principalmente alla Mitteleuropa, il presidente croato Zoran Milanovic ha invitato tutti a non fare all'Ucraina promesse che non si è in grado di mantenere. In riferimento alla dichiarazione finale del summit di Washington. 

«L'Ucraina è minacciata da una gravissima crisi economica e demografica. Noi dobbiamo essere onesti con loro e non fare promesse che non siamo in grado di mantenere. Si dice che il cammino dell'Ucraina verso la NATO è irreversibile, questo va preso molto sul serio poiché si tratta di qualcosa di vincolante», ha detto il presidente croato, sottolineando come nei tempi pericolosi in cui viviamo «ogni mossa e ogni parola» debba essere attentamente considerata.

Buon senso ne troviamo anche oltre Atlantico dove oltre 60 docenti universitari ed esperti di politica estera e difesa statunitensi hanno scritto una lettera aperta al giornale on line Politico esortando la NATO a non promettere l’adesione all’Ucraina poiché si ritorcerebbe contro l’alleanza, «trasformando l’Ucraina nel luogo di uno scontro prolungato tra le due principali potenze nucleari del mondo. Più la NATO si avvicina alla promessa che l’Ucraina si unirà all’alleanza una volta finita la guerra, maggiore sarà l’incentivo per la Russia a continuare a combattere. Le sfide poste dalla Russia possono essere gestite senza portare l'Ucraina nella NATO», afferma il documento.

Suggerimenti ignorati dai più in un vertice in cui sono stati promessi nuovi aiuti militari a Kiev incluse 5 batterie di missili da difesa aerea (una italiana) e i caccia F-16 vecchi di 40 anni radiati da Belgio, Olanda, Danimarca e Norvegia ma presentati come l’ennesima arma risolutrice in barba ai pareri discordanti di tutti gli esperti militari.

Nulla di cui stupirsi in fondo: nel 2002 i più rilevanti centri studi economici affermarono che l’Europa avrebbe potuto sganciarsi senza traumi dalla dipendenza energetica dalla Russia in 8/10 anni. Invece i leader Ue hanno provato a farlo in due anni soltanto con gravi danni (caro energia e de industrializzazione in testa…), forse irreversibili, senza neppure riuscire a raggiungere l’obiettivo poiché in maggio e giugno di quest’anno il maggior fornitore di gas all’Europa è ancora la Russia!

Al summit di Washington Stoltenberg è riuscito a far approvare il piano di aiuti militari all’Ucraina per 40 miliardi di dollari fino alla fine del 2025 e la nuova missione della NATO che schiera 700 militari (gli ungheresi non parteciperanno) con comando presso una base americana in Germania per coordinare l'addestramento delle forze ucraine e l’invio degli aiuti militari.

Si tratta del primo coinvolgimento diretto della NATO nel conflitto poiché finora erano stati i singoli stati a gestire in sinergia o da soli il supporto a Kiev. Inoltre gli USA schiereranno dal 2026 in Germania missili da crociera in grado di colpire in pochi minuti il territorio russo e missili antimissile di ultima generazione. Una decisione salutata a Mosca con forti proteste ma che per il cancelliere Olaf Scholz è «necessaria e importante per assicurare la pace». 

Questa iniziativa, insieme all’accordo che impegna Italia, Germania, Francia e Polonia a sviluppare e produrre missili da crociera con raggio d’azione oltre 500 chilometri, riporta l’Europa al livello di tensione con Mosca che si registrò negli anni ‘80 con lo schieramento in Europa dei cosiddetti “Euromissili”, gli statunitensi Pershing 2 e Tomahawk dispiegati in risposta agli SS-20 sovietici. Armi con oltre 500 chilometri di raggio d’azione poi vietate in Europa dal Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) del 1987 da cui gli Stati Uniti si sono ritirati nel 2019 dopo aver accusato Mosca di averlo violato schierando i missili balistici Iskander nell’énclave di Kaliningrad, a loro volta in risposta alle nuove basi missilistiche americane in Polonia e Romania.

Il summit NATO di Washington rappresenta quindi un importante passaggio nell’escalation del confronto con la Russia, iniziato a Bucarest nel 2008 con l’impegno della NATO ad accogliere Ucraina e Georgia: quasi una dichiarazione di guerra alla Russia.

Oggi però l’Alleanza Atlantica punta all’escalation anche con la Cina. Con toni inusitatamente duri nei confronti di Pechino, la NATO guarda a intese con gli alleati dell'Indo-Pacifico (Giappone, Sud Corea, Australia e Nuova Zelanda) e afferma nel comunicato finale del summit di non poter più permettersi di ignorare il sostegno fornito dalla Cina alla guerra russa in Ucraina così come le crescenti forniture di munizioni nordcoreane a Mosca. 

Valutazioni che confermano l’ormai totale e ottusa autoreferenzialità di cui si alimenta la politica di un Occidente, che arma fino ai denti l’Ucraina ma censura aiuti finora neppure dimostrati che altre nazioni forniscono a Mosca. Del resto Stoltenberg ha ricordato che «la sicurezza della NATO non è più' una questione regionale ma globale» e anche su questo punto sarebbe utile comprendere se i governi europei, uno per uno, condividono l’apertura di un braccio di ferro anche con la Cina.

L’Italia del resto non si è tirata indietro e ha inviato la portaerei Cavour, la fregata Alpino e una quindicina di aerei nell’Indo-Pacifico dove partecipano a una esercitazione internazionale nelle acque australiane e in seguito ad un’altra attività simile in quelle giapponesi.

In cambio gli Stati Uniti e la NATO hanno accolto solo simbolicamente la reiterata richiesta italiana di una maggiore attenzione al Fianco Sud della NATO, la cui sicurezza è stata del resto compromessa proprio dai nostri “alleati” nel 2011 grazie al sostegno di Washington alle primavere arabe e alla guerra in Libia contro Muammar Gheddafi.

Al summit di Washington è stato deciso di nominare un inviato speciale per i rapporti con i paesi della regione mediterranea raccogliendo la soddisfazione di Giorgia Meloni. Italia e Spagna sono già in gara per questo incarico che peraltro non costituisce certo un impegno per la NATO che continua a guardare esclusivamente al Fianco Est e a quell’inclusione (prima o poi) dell’Ucraina che già oggi viene definita “irreversibile” anche se, come è noto, di irreversibile c’è solo la morte. Appunto.