Il Signore è il mio pastore. Dai paleocristiani a Paladino
Il Signore buon pastore è il soggetto di molte rappresentazioni dai tempi delle catacombe. Come in quella di San Callisto, da cui proviene la statuetta del Buon Pastore (III Secolo). Per una nuova iconografia bisogna aspettare fino al contemporaneo Mimmo Paladino
C’è un passaggio del Vangelo di Giovanni, che abbiamo già incontrato in questo nostro percorso per immagini, nel quale Gesù afferma di essere il Buon Pastore, quello che le pecore conoscono e seguono. E abbiamo immaginato queste parole tradotte nel bellissimo brano di mosaico del Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna.
L’identificazione del Signore in un pastore risale al Vecchio Testamento. La troviamo nel noto Salmo 23 di Davide, per esempio, una delle pagine veterotestamentarie più lette, che verrà cantato nella liturgia di domenica. L’arte paleocristiana, facendo riferimento alla cultura biblica ebraica, fa sua questa immagine recuperandola dalla statuaria antica, greca e romana, che la utilizzava per esprimere temi sempre positivi, filantropici, personificando in questo giovane uomo bucolico divinità benevoli nei confronti del genere umano.
Il crioforo appare, dunque, molto frequentemente sui primi sarcofagi o nelle catacombe…E proprio da una catacomba, quella di San Callisto a Roma, proviene la statuetta del Buon Pastore conservata nelle collezioni del Museo Pio Cristiano di Città del Vaticano: un simbolo per questa istituzione, scelto, per altro, benché stilizzato, come logo della CEI, e, soprattutto, un’icona del Cristianesimo primitivo.
Più precisamente si tratta di un frammento di bassorilievo, datato alla fine del III secolo d.C., trasformato in una piccola statuetta da un intervento di restauro settecentesco. Qui il giovane non solo è buono, come dimostra il farsi carico dell’agnello che si era perduto, tenuto stretto sulle spalle – ma è anche bello! Ricorda un Apollo, i morbidi ricci sciolti sulle spalle, la testa lievemente rivolta verso destra. Veste una tunica senza manica e porta una borsa a tracolla. Non si contano le riproduzioni di questa icona nell’arte dei secoli a venire. Così diffuse da essere immediatamente ai più riconoscibili. Dobbiamo attendere i nostri giorni, dunque, per avere un’interpretazione del tema completamente nuova.
La dobbiamo a Mimmo Paladino, artista campano, fiore all’occhiello dell’arte contemporanea italiana. La sua versione fa parte delle ottantasette opere inserite nell’ultimo lezionario liturgico della Conferenza Episcopale Italiana, uscito nel 2007, per il quale la revisione linguistica del testo è stata corredata da una rinnovata iconografia.
A Paladino, oltre la copertina con l’Agnus Dei, spetta l’invenzione di un aggiornato Buon Pastore. Bastano pochi segni al maestro, per di più monocromatici. I profili dell’uomo e dell’animale sembrano qui fondersi, completandosi. L’impressione generale è di silenzio, serenità. Come se i due stessero ascoltandosi reciprocamente. Come se l’uno non potesse stare senza l’Altro. Come se in quell’abbraccio fosse tutto compreso.
Perché se il Signore è il mio pastore, davvero non ci manca nulla!