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Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

La questione

Il Ralliement di Leone XIII continua a far discutere

Fece bene papa Pecci ad aprire, nel 1892, alla partecipazione dei cattolici alla vita politica della Repubblica francese che nasceva su basi anticristiane? Due posizioni a confronto.

Dottrina sociale 31_07_2025

Il 16 febbraio 1892 papa Leone XIII pubblicava l’enciclica Au milieu des sollicitudes su Chiesa e Stato in Francia, con la quale apriva alla partecipazione dei cattolici alla vita politica della Repubblica francese. Da qui il termine Ralliement con cui storicamente viene definita questa politica di adesione.

L’enciclica, nella sua prima parte, riprende le osservazioni sulla “congiura” della politica moderna contro i diritti della Chiesa già espresse nelle precedenti encicliche, e chiama i cattolici a raccolta, affinché formino «una grande unità». I motivi dottrinali con cui Leone XIII sostiene la necessità di questo dovere di partecipazione unitaria alla vita politica della Repubblica anticristiana sono i seguenti: a) tutte le forme di governo sono ugualmente valide in sé; b) la loro opportunità dipende della diversità dei caratteri e dei costumi dei popoli; c) nessuna forma politica può considerarsi definitiva e immutabile; d) anche nei confronti dell’attuale governo repubblicano i cattolici devono impegnarsi unitariamente «per conservare o per far crescere la grandezza morale della loro patria»; e) però, si dice, questa forma di governo è anticristiana: qui Leone propone la distinzione tra “poteri costituiti” e “legislazione”. Può accadere che un valido potere costituito produca una legislazione pessima o che un potere difettoso produca una legislazione buona dato che «la qualità delle leggi dipende più dalla qualità degli uomini investiti del potere, che dalla forma del potere». I cattolici francesi devono quindi unirsi «come un sol uomo» anche nella Repubblica democratica contro gli abusi della legislazione.

In un articolo pubblicato su Die Tagespost il 24 luglio scorso (leggibile in italiano sul blog di Aldo Maria Valli), Martin Grichting riesamina la questione all’interno di un confronto tra Leone XIII e Leone XIV. Secondo lui Leone XIII diede avvio ad una svolta rispetto alle posizioni del suo predecessore Pio IX, ancora legato al regime precedente la Rivoluzione francese quando – scrive l’autore – si considerava la Repubblica come il diavolo. Con la sua enciclica del 1892, Leone XIII sosteneva che nessuna forma di governo è immutabile, diceva che riconoscere nuove forme di governo non era solo ammissibile, ma persino necessario per il bene della società, anche quando, sotto questa nuova forma democratica, un governo anticristiano combattesse contro la Chiesa. I cattolici dovevano abbandonare lo “Stato cattolico”, abbracciare la Repubblica e usare tutti i mezzi democratici per lottare per il Vangelo e i diritti della Chiesa.

Di diverso parere è don Claude Barthe che, in alcuni suoi scritti recenti, ha ripreso in mano l’argomento. Secondo lui ritenere che qualsiasi forma di governo possa essere buona e che il regime della Repubblica francese non potesse considerarsi a priori come tirannia significa non considerare adeguatamente la democrazia moderna, quella nata con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo della fase costituente della Rivoluzione francese e che basa la propria legittimità non su Dio ma sulla nazione. Questa democrazia non può essere buona perché non è neutra, sicché per essa non vale la distinzione tra “poteri costituiti” e “legislazione”. Definire il diritto ad uccidere un bimbo innocente come uno dei diritti fondamentali contenuti nella Costituzione francese significa affermare la superiorità della “volontà generale” degli individui sulla volontà di Dio. Per questo «la tattica leonina era decisamente sbagliata». (C. Barthe, Las consignas de León XIII: una falsa buena idea, Verbo, n. 629-630, noviembre-diciembre 2024, pp. 825-834; Id., La dimensión política de la defensa del derecho natural, Verbo, n. 627-628, agosto-septiembre-octubre 2024, pp. 575-584). In questa rottura prodotta dalla Repubblica democratica, secondo don Barhe, non si riusciva a vedere il desiderio di allontanare la Chiesa dalla scena pubblica e di integrarla in strutture istituzionali che organizzassero gradualmente la separazione tra Chiesa e società. Anzi, molti cattolici liberali – «con una ingenuità talvolta molto commovente» – vi vedevano una opportunità e «il cattolicesimo democratico avrebbe riacquistato nella libertà moderna un’influenza che stava perdendo di giorno in giorno rimanendo legato ai sogni di restaurazione della cristianità» (C. Barthe, Troverà ancora la fede sulla terra?, Fede & Cultura, Verona 2024, p. 25).

Stefano Fontana