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L'EDITORIALE

Il raìs e la fiera dell'ipocrisia

Davanti ai massacri di questi giorni, è scattata la gara a riscrivere la storia e tutti fanno finta di non aver mai avuto rapporti con Gheddafi. Ma appena 9 mesi fa la Libia era eletta al Consiglio Onu dei diritti umani.

Editoriali 25_02_2011
gheddafi Era il 13 maggio del 2010, appena nove mesi fa. La Libia di Gheddafi veniva eletta come membro del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite (Onu) con 155 voti a sostegno, ben più dei 97 necessari e comunque una maggioranza bulgara, se si considera che i paesi aventi diritto al voto sono 192. A protestare furono soltanto alcune organizzazioni non governative. Gli Stati Uniti, anche loro membri del Consiglio dall’avvento di Obama, dimostrarono soltanto una certa “insoddisfazione” per la presenza nell’organismo Onu di alcuni paesi, ma senza mai nominarli (il problema non era soltanto la Libia). Gli altri paesi occidentali, democratici, non fecero una piega.

E’ bene ricordare questo episodio, ancora fresco di memoria, quando sui media di tutto il mondo sta andando in scena una straordinaria fiera dell’ipocrisia, per cui sembra che il mondo libero abbia scoperto all'improvviso l’esistenza di questo feroce dittatore, cercando di piegare anche questa tragedia per biechi interessi di casa propria. 

La verità è che il “Gheddafi tiranno”, il “Gheddafi degno di comparire davanti al Tribunale internazionale per crimini contro l’umanità” lo conoscevano tutti e tutti ci hanno fatto affari e tentato accordi politici. Il che non è riprovevole in sé, perché nei rapporti internazionali bisogna anche fare i conti con la realtà e spesso ci si trova a scegliere fra due o più mali. Il quadro mondiale è ben più complicato di quelli che si presentano nei film western, dove il buono ha sempre ragione del cattivo e spesso interviene il “giustiziere” per tagliare corto. La storia ci dimostra che chi cerca di interpretare i rapporti internazionali in questo modo finisce sempre per creare problemi maggiori di quelli che intendeva risolvere.

Ciò non vuol dire che non si debba avere un giudizio chiaro su governi e regimi, semplicemente bisogna considerare tutti i fattori in gioco e saper trovare una strada che porti all’obiettivo del bene comune. E’ per questo che, ad esempio, l’Italia ha avuto da sempre – centro, sinistra o destra che sia – un atteggiamento di apertura e dialogo verso la Libia di Gheddafi. Come non ricordare ad esempio il pubblico “grazie” di Gheddafi a Romano Prodi, allora presidente della Commissione Europea, nel settembre 2004 quando i 25 paesi membri della Ue (tutti e 25) decisero di cancellare l’embargo totale nella vendita di armi alla Libia andando ben oltre la proposta italiana di una “revoca parziale dell’embargo militare”. O l’anticamera del ministro degli Esteri Massimo D’Alema nell’estate del 2009 davanti alla tenda del raìs libico piantata a Villa Pamphili per poter trattare sul controllo della migrazione. Ma allo stesso modo si potrebbe risalire ai rapporti preferenziali del governo Craxi-Andreotti (già ricordati su queste colonne) e a quelli del governo del “compromesso storico” negli anni ’70.

Per questo appare ora patetico cercare di cancellare la storia come hanno appena fatto al palazzo del Consiglio d’Europa dove, riferisce il corrispondente da Bruxelles della Stampa, Marco Zatterin, è stata fatta sparire in tutta fretta dalla "galleria degli incontri" una foto della visita a Bruxelles di Gheddafi, che ritrae il leader libico con l’ex rappresentante della politica estera europea Javier Solana. Patetico, e anche indecoroso, quando si vuole riscrivere la storia facendo ricadere sull’ultimo che l’ha incontrato, la responsabilità di 40 anni di nefandezze di Gheddafi.

Rispetto a chi, rappresentanti di governi, ha avuto relazioni e firmato trattati con Gheddafi è invece ben diversa la situazione di chi in questo quarantennio ha sostenuto Gheddafi anche per fini ideologici o dandogli riconoscimenti assolutamente non necessari. Come documenteremo nei prossimi giorni, va anche ricordato che negli anni della Guerra Fredda e non solo, Gheddafi era acclamato a livello internazionale come un campione dell’anti-imperialismo. E non è certo un caso unico: alle Conferenze internazionali dell’Onu dittatori come Fidel Castro, Robert Mugabe e Hugo Chavez (che a Gheddafi nulla hanno da invidiare) sono sempre stati invitati e accolti come delle star e tributati anche di standing ovation da parte di tutti i delegati, rappresentanti dei paesi occidentali compresi.

La Libia di Gheddafi che viene eletta nel Consiglio Onu dei diritti umani è la logica conseguenza di questa complicità ideologica, che non interessa solo Gheddafi. Nella stessa seduta del maggio 2010 sono stati eletti anche Angola, Mauritania, Qatar, Uganda e Thailandia, tutti paesi per cui le organizzazioni per i diritti umani hanno espresso dure proteste.

Ma tornando alla Libia, non si deve neanche dimenticare che tra i riconoscimenti certamente non necessari ci sta anche la nomina della figlia di Gheddafi, Aicha, ad “Ambasciatore di buona volontà dell’UNDP” (il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo): era soltanto il luglio 2009, e l’allora rappresentante UNDP in Libia, l’australiano Brian Gleeson, a una cerimonia ufficiale a Tripoli si dichiarava “onorato” di poter dare questo annuncio.

Sull’onda degli avvenimenti di questi giorni, il titolo di ambasciatore Onu ad Aicha è stato ritirato ieri, ma questo rende ancora più intollerabile l’ipocrisia di chi finge di scandalizzarsi oggi di cose che ben conosceva – e sosteneva - anche ieri.