Il "progenitore dell'uomo" che non è nostro parente
Un’équipe di cinque specialisti, quatto cinesi e uno inglese, ha compiuto una scoperta clamorosa. Nelle rocce sedimentarie della provincia di Shaanxi, nella Cina centrale, hanno rivenuto una quarantina di fossili di un esserino di un millimetro, il Saccorhytus coronarius. Dicono che sia il nostro primo antenato. Ma è una forzatura logica dei darwinisti.
Un’équipe di cinque specialisti, quatto cinesi e uno inglese, ha compiuto una scoperta clamorosa. Nelle rocce sedimentarie della provincia di Shaanxi, nella Cina centrale, hanno rivenuto una quarantina di fossili di un esserino di un millimetro la cui forma a sacchetto e la spropositata bocca “coronata” funzionante anche da ano gli ha guadagnato il nome scientifico Saccorhytus coronarius. Visse circa 540 milioni di anni fa, al tempo dell’“esplosione” della vita nel periodo Cambriano e appartiene al superphylum dei Deuterostomia, una delle categorie biologiche fondamentali con cui viene descritto il regno animale.
Il rapporto scientifico del ritrovamento è stato sottoposto al periodico specializzato Nature a metà di agosto, ha superato la peer review in dicembre e il 30 gennaio è stato pubblicato, rimbalzando immediatamente sulla stampa. Come mai? Perché la scoperta è sensazionale: dai Deuterostomia si sono infatti sviluppati, dicono gli studiosi, tutti i vertebrati; tra i vertebrati c’è anche l’uomo; essendo il Saccorhytus cinese il più antico di tutti, è quindi partendo da questo microrganismo senz’ano che si è giunti a san Tommaso d’Aquino, Albert Einstein e Belén Rodriguez. In esso si è infatti «identificato il più antico progenitore dell’uomo», come ha lanciato l’agenzia ANSA e come ugualmente hanno sparato la Reuters, The Guardian, The New Scientist, Wired, la Repubblica, Forbes, TGR Leonardo, il Post, Focus e così via. In italiano c’è già persino una voce di Wikipedia.
Perché gli scienziati dicono un’enormità del genere? Perché l’hanno letta in Charles Darwin, stupefatto perché al principio vi furono «[..] poche forme» di vita o anche «[…] una sola» e poi «[…] si svilupparono da un principio tanto semplice e ancora si sviluppano infinite forme sempre più belle e meravigliose». È l’ultima frase del celeberrimo On the origin of species by means of natural selection, or the preservation of favoured races in the struggle for life, ovvero L’origine delle specie, frase immutata in tutte le sei edizioni rivedute che il suo autore pubblicò dal 1859 al 1876. Ma è un trucco. L’assunto iniziale è infatti solo una ipotesi. Che il Saccorhytus coronarius, o chi per esso, sia l’antenato di tutti i vertebrati e quindi anche di un vertebrato come l’uomo è vero solo se è vera l’ipotesi evoluzionista in base alla quale le specie viventi nuove sono modificazioni genetiche dalle antiche lungo un albero filogenetico che si ramifica da un antenato comune. Questo è però proprio ciò che non mai stato dimostrato. Darwin lo dice, ma non ve n’è prova. Non un passaggio evolutivo, non uno snodo, non un anello di congiunzione è stato attestato a norma di metodo scientifico. Nessuna traccia fossile esiste di “esseri intermedi” o di organi in trasformazione. Anzi, i fossili restituiscono solo resti interi o parziali di individui perfettamente compiuti senz’alcun gradualismo.
Uno degli scopritori del Saccorhytus è il celebre paleontologo di Cambridge Simon Conway Morris, un “concordista” che cerca di cristianizzare l’evoluzionismo come del resto faceva all’inizio lo stesso Darwin salvo poi perdere completamente la fede a causa delle sue infondate supposizioni biologiche, come si evince chiaramente dalla sua autobiografia, The Autobiography of Charles Darwin 1809-1882. With the original omissions restored. Edited and with appendix and notes by his granddaughter Nora Barlow (Collins, Londra 1958). Dice Conway Morris: «È difficile ovviamente tracciare una precisa linea di discendenza tra noi uomini e il Saccorhytus coronarius, tuttavia non c’è dubbio che possiamo realmente considerarlo un nostro antichissimo antenato»: «è difficile» significa impossibile, ma «non c’è dubbio» perché… «non c’è dubbio».
Anzi, lo stesso concetto di “esplosione del Cambriano”, implicante la comparsa improvvisa e strutturata della vita senza progenitori, imbarazzantissimo per l’evoluzionismo, può essere del tutto archiviato. Come? Affermando che anche prima del Cambriano c’era vita e così finalmente risolvendo l’annoso «dilemma di Darwin».
Ebbene, sull’ipotesi di vita precambriana infervora da tempo il dibattito. Mettiamo che certe tracce precambriane siano davvero vita o che certe tracce di vita siano davvero precambriane. Tutto sta però nelle definizioni. I fossili che si scoprono non hanno l’etichetta e lo stesso le suddivisioni della scala dei tempi terrestri. La nomenclatura tassonomica e geologica è coniata dagli studiosi in base a determinati parametri. Si tratta cioè di nomi arbitrari, scelti in base a certi elementi d’identificazione. Per esempio “Pitecantropo” significa letteralmente “uomo-scimmia”, ma non ha mai mostrato la carta d’identità: fu chiamato così poiché il suo scopritore, l’antropologo neerlandese Eugène Dubois (1858-1940), voleva fargli recitare una parte ben precisa. Infatti quei nomi mutano, scompaiono, vengono accorpati. Il “pitecantropo” oggi si chiama Homo erectus e il celeberrimo Quaternario di quando studiavamo da piccoli è oggi declassato e completamente riformulato. Così anche il Cambriano, che spacca in due la storia tra deserto e vita, è una convenzione. Chi si occupa di stabilire quando un periodo geologico inizia e finisce è la Commissione Internazionale di Stratigrafia, la quale discute e discute e discute fino a che non raggiunge un accordo sui criteri d’individuazione di un intervallo temporale: la presenza di fossili detti “guida” o di certe rocce. Ma è il contrario di una scienza esatta. La durata di un periodo può infatti variare a seconda del luogo geografico e i periodi si sovrappongo abbondantemente; l’individuazione di nuovi criteri più stringenti può rendere obsolete le definizioni e superate le suddivisioni; oppure specie viventi ritenute originarie di una data epoca possono rivelarsi più antiche. È un caso particolare e concretissimo del famoso giro mentale descritto dall’epistemologo statunitense Thomas Samuel Kuhn (1922-1996) ne La struttura delle rivoluzioni scientifiche, del 1962 (trad. it., Einaudi, Torino 2009): nuove scoperte generano nuovi paradigmi interpretativi.
Vale a dire: se prima del Cambriano vi erano esseri viventi, bisognerà rivedere il concetto di Cambriano o retrodatare l’esplosione della vita. Ma la questione resta: nel Cambriano o altrove, la vita è sorta senza derivare da altro. Potremo infatti sempre trovare fossili più vecchi di quelli che ora riteniamo i più antichi, ma il “fossile zero” che si trasforma nell’albero filogenetico manca all’appello. Finché mancherà, saremo sempre davanti all’esplosione della vita “dal nulla”, cambriana o no che sia. E finché mancheranno le prove empiriche della trasformazione delle specie viventi le une nelle altre, il Saccorhytus coronarius cinese non sarà affatto il progenitore dell’uomo. Non basta dargli un nome o un titolo di giornale per rendere scientifico l’evoluzionismo.