Il problema dei giovani? Cercare ciò che dà senso alla vita
I giovani, almeno nella mia lunga esperienza, non hanno una serie di problemi particolari che devono cercare di risolvere, o che gli adulti devono cercare di risolvere al loro posto. I giovani hanno un problema sostanziale, che è quello del senso ultimo della loro vita, del senso del loro cammino e del loro destino.
La prima responsabilità che gli uomini di Chiesa hanno nei confronti della propria coscienza e del popolo, è affrontare i problemi secondo tutta l’ampiezza e la profondità che essi hanno, senza fermarsi su questo o quell’aspetto particolare come se questi aspetti particolari fossero esaurienti.
Il problema dei giovani deve essere affrontato con questa ampiezza. I giovani, almeno nella mia lunga esperienza, non hanno una serie di problemi particolari che devono cercare di risolvere, o che gli adulti devono cercare di risolvere al loro posto. I giovani hanno un problema sostanziale, che è quello del senso ultimo della loro vita, del senso del loro cammino e del loro destino, e quali sono le condizioni perché il cammino della vita sia un cammino positivo e non un inesorabile andare verso il nulla. Qui sta la questione dei giovani. Non i problemi dogmatici e i problemi morali: la maggior parte dei giovani non saprebbe neanche distinguere tra problemi morali e problemi dogmatici, che non solo sono problemi di vecchi, ma di vecchi ecclesiastici.
Io invoco per i giovani un mondo di adulti che si stringa attorno a loro, si assuma la responsabilità della loro educazione, di farli camminare cioè verso la pienezza della loro personalità. Perché questo cammino possa accadere occorre non una serie di inviti per i giovani che cambino un aspetto o l’altro della loro vita, ma che il giovane senta forte il problema del destino e del senso. E si metta in sintonia con questo movimento che dal suo cuore va inesorabilmente verso l’infinito. Per educare i giovani occorre dare loro il senso della grande domanda, e dell’avventura che la vita è come ricerca del senso ultimo e del destino. Per meno di questo è inutile parlare ai giovani e i giovani non si aspettano meno di questo.
Questa attenzione alla globalità della persona impone una cura appassionata della loro libertà, cioè della loro responsabilità. Educazione non è imposizione di schemi astratti di comportamento, per quanto dignitosi, ma non è neanche la fine di ogni regola. Educazione impone una chiarezza di proposta globale e una sollecitazione adeguata della libertà come capacità di risposta, come capacità di responsabilità, come capacità di prendersi, riprendersi in mano il proprio destino e di giocarlo nel mistero di Dio.
uno dei grandi insegnamenti di san Giovanni Paolo II: si compie poi immediatamente senza soluzione di continuità, per quelli che agivano in un ambiente come noi segnato dalla presenza di Cristo e dalla tradizione ecclesiale, si collega alla possibilità di assumere la responsabilità personalmente di fronte al Mistero, e di giocarla nelle circostanze della vita come dice la Chiesa “nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia, nella gioia e nel dolore.
Non c’è felicità per l’uomo, la pura affermazione di Dio ci lascerebbe incapaci di libertà. Quando esiste la felicità come esasperazione della propria libertà individuale, concepita come possibilità di fare tutto ciò che l’uomo desidera e sente. Esiste una vita che si compie, positivamente o negativamente, nella misura in cui la libertà gioca positivamente o negativamente di fronte al Signore. Come dice la Tradizione con una parola antica e bellissima, è questo che merita, che dà valore alla vita. La rende piena o la rende vuota? La rende piena e ci fa camminare verso il compimento in noi della promesse di Cristo, la rende vuota perché la rende sostanzialmente inconsistente, incomprensibile.
L’uomo, diceva san Giovanni Paolo II, l’uomo è per sé un essere incomprensibile, la sua vita non ha senso se non gli viene rivelato l’amore, se non incontra Gesù Cristo. A noi cristiani, in ogni tempo, ma soprattutto in questo tempo, è richiamato il compito di annunziare Cristo e annunziarlo a partire dalla pienezza di vita che non possiamo ridurre a noi stessi o contenere nello spazio limitato della nostra intelligenza e della nostra soggettività privata. Il mistero di Cristo che investe e trasforma la nostra coscienza e il nostro cuore, le dilata secondo la misura di Dio, cioè le rende aperte come aperto è l’universo.
Tocca a noi, perché non possiamo essere diversi o fare diversamente. Vivere in un particolare, il particolare in cui siamo nati, in cui si svolge la nostra personalità. Ma è possibile, è possibile per quelli che credono in Dio. Vivere in particolare anche il più quotidiano con le dimensioni dell’universale e dell’eterno.