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sfida decisiva

Il Pnrr al banco di prova, tutte le incognite del post-2026

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Opportunità di rilancio o mera parentesi? La scadenza per l'utilizzo dei fondi Ue impone di accelerare ma anche di interrogarsi sull'effettiva sostenibilità e sulla capacità del Paese di mantenere i progressi anche quando terminerà il supporto europeo. 

 

Economia 22_03_2025
MARCO PONZIANELLI - imagoeconomica

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è stato presentato come un'opportunità unica per l'Italia, ma al tempo stesso porta con sé numerose incognite che sollevano interrogativi sulla sua sostenibilità nel lungo periodo. Da un lato, si tratta di fondi erogati dall'Unione Europea, ma in gran parte sotto forma di prestiti (122,6 miliardi su un totale di 191,5 miliardi) che il Paese dovrà comunque restituire, il che rende necessario interrogarsi sulla capacità dell'economia italiana di reggere l'impatto di questo debito una volta che il flusso di risorse si esaurirà. Dall'altro, il Pnrr prevede una scadenza precisa, il 2026, per l'utilizzo delle somme messe a disposizione, e ad oggi l'Italia ha speso poco più del 30% del totale assegnato, il che implica che dovrà accelerare notevolmente per non perdere fondi preziosi.

Per evitare il rischio di non riuscire a completare i progetti nei tempi stabiliti, il governo italiano sta valutando la possibilità di seguire l'esempio della Spagna e introdurre un meccanismo per estendere l'utilizzo delle risorse residue oltre il 2026, garantendo così una maggiore flessibilità nell'attuazione dei piani. Questa scelta potrebbe rivelarsi cruciale, ma solleva anche dubbi sulla gestione complessiva del piano e sulla capacità dell'apparato amministrativo di rendere efficiente l'impiego dei fondi.

La vera questione, tuttavia, riguarda ciò che accadrà dopo il 2026, quando i soldi del Pnrr non saranno più disponibili: l'Italia sarà in grado di mantenere il livello di investimenti e servizi che questi finanziamenti hanno permesso di avviare? Oppure si troverà di fronte a un brusco rallentamento della crescita e a un'incompiuta modernizzazione delle sue infrastrutture? Il rischio di una dipendenza temporanea da queste risorse è concreto, e l'assenza di una strategia di lungo periodo potrebbe vanificare gli effetti benefici del piano.

A complicare ulteriormente lo scenario si aggiunge il tema delle spese militari: negli ultimi mesi, il dibattito sull'aumento degli investimenti nel settore della difesa ha acquisito maggiore rilevanza, con l'Italia che potrebbe essere chiamata a destinare una parte significativa del proprio bilancio alla produzione di armi e all'acquisto di equipaggiamenti bellici nell'ambito degli impegni assunti con la NATO e con l'Unione Europea. Questo aspetto non è irrilevante, perché un maggiore investimento nel riarmo potrebbe distogliere fondi da settori cruciali come la sanità, l'istruzione e le infrastrutture pubbliche, minando così la capacità del Paese di consolidare i benefici ottenuti grazie al Pnrr.

Se la priorità nazionale diventerà la difesa, con un aumento della spesa per carri armati, fucili e munizioni, sarà inevitabile porsi una domanda fondamentale: siamo sicuri che ospedali, scuole e carceri non siano più importanti delle spese militari? È un interrogativo che si lega a una riflessione più ampia sul modello di sviluppo che l'Italia intende perseguire: se il Pnrr nasce con l'obiettivo di rafforzare la resilienza economica e sociale del Paese, è lecito chiedersi se la direzione futura sia coerente con questa missione o se invece il rischio sia quello di disperdere risorse in settori che non producono un miglioramento duraturo della qualità della vita dei cittadini.

L'Italia si trova di fronte a una sfida decisiva: da una parte, deve dimostrare di essere in grado di spendere i fondi europei in modo efficace, rispettando le scadenze e completando i progetti previsti, evitando di perdere credibilità agli occhi dei partner europei. Dall'altra, deve assicurarsi che gli investimenti realizzati generino effetti positivi anche dopo la fine del programma di finanziamento, senza cadere in una spirale di finanziamenti a termine che rischiano di lasciare il Paese in una situazione di dipendenza strutturale dai fondi comunitari.

Se il Pnrr è stato pensato per costruire un'Italia più moderna ed efficiente, il vero banco di prova sarà la capacità del sistema economico e produttivo di mantenere i progressi ottenuti anche quando il supporto finanziario si esaurirà. La domanda fondamentale rimane: il Pnrr è una vera occasione di rilancio o solo una parentesi di crescita finanziata con risorse esterne, destinate a terminare senza effetti duraturi? La risposta dipenderà dalle scelte che verranno fatte nei prossimi anni, dall'efficienza con cui verranno utilizzati i fondi e dalla capacità del Paese di pianificare il proprio sviluppo al di là delle scadenze imposte dall'Europa.



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