Il Pd si converte al garantismo sulla via del Lingotto
La tre giorni del Lingotto passerà alla storia non tanto per l’ennesimo tentativo di Matteo Renzi di rilancio di se stesso e della sua prospettiva politica, ma anche e soprattutto per la svolta garantista che il Pd sembra voler imprimere alla sua politica giudiziaria. Proprio i dem che cavalcavano il giustizialismo di Mani Pulite.
La tre giorni del Lingotto passerà alla storia non tanto per l’ennesimo tentativo di Matteo Renzi di rilancio di se stesso e della sua prospettiva politica, ma anche e soprattutto per la svolta garantista che il Pd sembra voler imprimere alla sua politica giudiziaria. Sorprende, infatti, che i dem, per decenni megafoni del giustizialismo antiberlusconiano e prostrati di fronte ai verdetti di alcune procure in particolare di quella milanese, oggi riscoprano valori costituzionali come la presunzione di innocenza e la trasparente distinzione tra giustizia e politica.
Lo fanno, a onor del vero, in un momento assai sospetto, visto che l’inchiesta Consip rischia di travolgere il giglio magico renziano e che molti scandali in giro per l’Italia coinvolgono influenti notabili locali del Pd. Per prevenire un’eventuale nuova valanga giudiziaria, la classe dirigente dei democratici gioca d’anticipo e chiede addirittura che la notizia degli avvisi di garanzia non venga divulgata dai media fino all’eventuale rinvio a giudizio.
A proporre una soluzione del genere è Stefano Graziano, ex deputato Pd ed ex presidente dem in Campania, indagato per concorso esterno in associazione camorristica, ma poi scagionato da ogni accusa e nel frattempo costretto a dimettersi. Alla platea del Lingotto la proposta è piaciuta. E qualcuno ha perfino rincarato, tanto che, più che una riunione per le primarie del Pd, sembrava un’assemblea di Forza Italia all’epoca dell’antiberlusconismo viscerale. Il filosofo Biagio De Giovanni ha perfino tuonato contro l’eliminazione di un’intera classe politica per mano giudiziaria e ha avuto una vera e propria ovazione.
Ma ha senso sacrificare il diritto di cronaca giudiziaria impedendo ai giornalisti di raccontare l’andamento delle indagini? Anzitutto va detto che gli avvisi di garanzia non sono sempre la regola, perché molto spesso le indagini vengono condotte all’insaputa dello stesso interessato. Quindi, da un certo punto di vista, il problema non si supererebbe se passasse la proposta di Graziano. E poi in un ordinamento giudiziario che si rispetti l’avviso di garanzia viene spiccato a tutela dell’indagato, come dice la parola stessa, e non per iniziare a stritolarlo nel tritacarne mediatico.
E’ evidente che in un Paese come il nostro, in cui l’avviso di garanzia viene interpretato dai media e, di conseguenza, anche nell’immaginario collettivo, come una condanna anticipata, può sembrare non del tutto inopportuna la proposta dell’ex parlamentare Pd, di preservare con uno scudo protettivo l’indagato fino a quando non si chiarisce la sua posizione e non si decide se mandarlo alla sbarra oppure se archiviare. Ma questo lascerebbe i cittadini all’oscuro di indagini condotte per mesi nei riguardi di persone sospette o pericolose, che nel frattempo potrebbero continuare a tramare indisturbate e al riparo dai riflettori mediatici.
Il problema, quindi, non è tanto quello di censurare la notizia di un avviso di garanzia quanto quello di presentare in modo corretto quella notizia, evitando esagerazioni e gogne mediatiche, come ai tempi di Tangentopoli. Negli anni di Mani Pulite, le notizie di indagini a carico di politici della cosiddetta Prima Repubblica e di vertici di grandi aziende di Stato venivano prima pubblicate sui giornali e poi comunicate ai diretti interessati. Merito dei cronisti giudiziari dell’epoca non era tanto quello di scoprire, attraverso i nobili strumenti del giornalismo d’inchiesta, le malefatte di quei personaggi, bensì quello di riuscire a intrattenere rapporti confidenziali e strettissimi con alcune procure che trasferivano loro le informazioni che intendevano far uscire sui giornali. Un meccanismo perverso, che ha deformato profondamente il rapporto tra informazione e giustizia, alimentando un clima da caccia alle streghe, lesivo di diritti fondamentali sanciti nella Costituzione e nelle leggi dello Stato.
All’epoca di Tangentopoli gran parte degli esponenti della sinistra osannavano i giudici come salvatori della Patria e di fatto avallavano quei processi mediatici che tanti danni hanno causato a persone coinvolte in indagini e poi uscite completamente scagionate da ogni accusa, e alle loro famiglie. La conversione al garantismo da parte del Pd va comunque salutata con favore, anche se appare tardiva e strumentale. Si vuole imbavagliare l’informazione che conta, ora che sembra aver voltato le spalle a Renzi e ai suoi? Interrogativo non ozioso, al quale i seguaci del Movimento Cinque Stelle rispondono in modo affermativo, con una reazione prevedibile: "Pd come Berlusconi". E’ evidente che se venisse introdotto in Italia il divieto di divulgazione della notizia degli avvisi di garanzia fino all’eventuale rinvio a giudizio a beneficiarne sarebbero anche i grillini, ad esempio la Raggi, ma numericamente sono di gran lunga più numerosi i casi di indagini a carico di politici di centrodestra e centrosinistra, non foss’altro perché i partiti tradizionali governano su base nazionale e sono maggiormente coinvolti nelle amministrazioni locali. Ecco perché la svolta del Lingotto in materia giudiziaria rischia di diventare un’arma a doppio taglio per il Pd, che dal punto di vista della propaganda politica lascerebbe ai pentastellati il monopolio della difesa della legalità e dell’autonomia dei giudici. Diventerebbe facile da parte dei grillini accusare i principali avversari di aver paura delle toghe. E a quel punto la deriva populista potrebbe materializzarsi.