Il Papa: «la prima comunicazione è nella famiglia»
Papa Francesco ha reso pubblico il messaggio per la 49a Giornata delle Comunicazioni sociali. Mentre negli anni passati i Pontefici avevano dedicato in gran parte i loro messaggi sulla comunicazione ai temi di Internet e dei social network, quello del 2015 tratta di come comunicare non sulla Rete ma in famiglia.
Il 23 gennaio 2015 Papa Francesco ha reso pubblico il messaggio per la 49a Giornata delle Comunicazioni sociali. Mentre negli anni passati i Pontefici – da san Giovanni Paolo II a Francesco, passando per Benedetto XVI – avevano dedicato in gran parte i loro messaggi sulla comunicazione ai temi di Internet e dei social network, un po’ a sorpresa il messaggio del 2015 tratta di come comunicare non sulla Rete ma in famiglia. «La famiglia», scrive Francesco, «è del resto il primo luogo dove impariamo a comunicare. Tornare a questo momento originario ci può aiutare sia a rendere la comunicazione più autentica e umana, sia a guardare la famiglia da un nuovo punto di vista».
Il Papa parte dalla visita di Maria a Elisabetta descritta nel Vangelo di Luca: «Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!”». Da qui impariamo anzitutto che la comunicazione è «un dialogo che si intreccia con il linguaggio del corpo». Prima che le donne parlino, è il bambino a comunicare sussultando nel corpo di Elisabetta. «Esultare per la gioia dell’incontro è in un certo senso l’archetipo e il simbolo di ogni altra comunicazione, che impariamo ancora prima di venire al mondo. Il grembo che ci ospita è la prima “scuola” di comunicazione, fatta di ascolto e di contatto corporeo, dove cominciamo a familiarizzare col mondo esterno in un ambiente protetto e al suono rassicurante del battito del cuore della mamma». Questo primissimo incontro «tra due esseri insieme così intimi e ancora così estranei l’uno all’altra, un incontro pieno di promesse, è la nostra prima esperienza di comunicazione. Ed è un’esperienza che ci accomuna tutti, perché ciascuno di noi è nato da una madre».
Dal grembo della madre passiamo a un altro “grembo”, la famiglia, che l’esortazione apostolica Evangelii gaudium presenta come il «luogo dove si impara a convivere nella differenza»: uomini e donne, genitori e figli, adulti, giovani e anziani. Qui s’impara a parlare. «Le parole non le inventiamo: le possiamo usare perché le abbiamo ricevute. E’ in famiglia che si impara a parlare nella “lingua materna”, cioè la lingua dei nostri antenati», e si capisce che non siamo essere isolati perché «altri ci hanno preceduto»: «è il paradigma di ogni comunicazione». La famiglia è anche «il contesto in cui si trasmette quella forma fondamentale di comunicazione che è la preghiera. Quando la mamma e il papà fanno addormentare i loro bambini appena nati, molto spesso li affidano a Dio, perché vegli su di essi; e quando sono un po’ più grandi recitano insieme con loro semplici preghiere, ricordando con affetto anche altre persone, i nonni, altri parenti, i malati e i sofferenti, tutti coloro che hanno più bisogno dell’aiuto di Dio». È in famiglia che la maggior parte delle persone ha imparato a comunicare non solo con gli altri, ma con Dio.
In famiglia è la capacità di comunicare «tra persone che non si sono scelte e tuttavia sono così importanti l’una per l’altra, a farci capire che cosa è veramente la comunicazione come scoperta e costruzione di prossimità». Diventando adulti, impariamo anche a non rimanere rinchiusi nella famiglia, senza peraltro mai abbandonarla, a “uscire” come Maria in visita a Elisabetta. «“Visitare” comporta aprire le porte, non rinchiudersi nei propri appartamenti, uscire, andare verso l’altro. Anche la famiglia è viva se respira aprendosi oltre sé stessa» e costruendo la Chiesa come “famiglia di famiglie”.
«Non esiste la famiglia perfetta, ma non bisogna avere paura dell’imperfezione, della fragilità, nemmeno dei conflitti; bisogna imparare ad affrontarli in maniera costruttiva». La comunicazione in famiglia crea «una scuola di perdono. Il perdono è una dinamica di comunicazione, una comunicazione che si logora, che si spezza e che, attraverso il pentimento espresso e accolto, si può riannodare e far crescere». Ma questo s’impara, e s’impara da piccoli: solo il bambino che in famiglia «impara ad ascoltare gli altri, a parlare in modo rispettoso» saprà perdonare e costruire, da adulto, una società rispettosa. E il Papa ricorda pure che «hanno tanto da insegnarci le famiglie con figli segnati da una o più disabilità. Il deficit motorio, sensoriale o intellettivo è sempre una tentazione a chiudersi; ma può diventare, grazie all’amore dei genitori, dei fratelli e di altre persone amiche, uno stimolo ad aprirsi, a condividere, a comunicare in modo inclusivo».
La famiglia può essere «una scuola di comunicazione come benedizione» in un mondo «dove così spesso si maledice, si parla male, si semina zizzania, si inquina con le chiacchiere il nostro ambiente umano». Qualche volta sembra che avvenga il contrario. Ma anche «dove sembra prevalere l’inevitabilità dell’odio e della violenza, quando le famiglie sono separate tra loro da muri di pietra o dai muri non meno impenetrabili del pregiudizio e del risentimento, quando sembrano esserci buone ragioni per dire “adesso basta”; in realtà, benedire anziché maledire, visitare anziché respingere, accogliere anziché combattere è l’unico modo per spezzare la spirale del male».
Nelle famiglie oggi arrivano anche i media: quelli tradizionali e quelli delle nuove tecnologie, che «soprattutto per i più giovani sono ormai irrinunciabili». I media «possono sia ostacolare che aiutare la comunicazione in famiglia». La possono ostacolare «se diventano un modo di sottrarsi all’ascolto, di isolarsi dalla compresenza fisica, con la saturazione di ogni momento di silenzio e di attesa». Francesco richiama uno dei più importanti messaggi per le Giornate delle Comunicazioni sociali, quello del 2012 di Benedetto XVI dedicato al silenzio (clicca qui), dove Papa Ratzinger affermava che «il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto». Ma i media e le nuove tecnologie, usate bene, possono anche favorire la comunicazione, «se aiutano a raccontare e condividere, a restare in contatto con i lontani, a ringraziare e chiedere perdono, a rendere sempre di nuovo possibile l’incontro». Occorre dunque «orientare il nostro rapporto con le tecnologie, invece che farci guidare da esse. Anche in questo campo, i genitori sono i primi educatori», per quanto oggi debbano talora essere aiutati da chi è più esperto in questi campi.
«La sfida che oggi ci si presenta», conclude il messaggio, «è, dunque, reimparare a raccontare, non semplicemente a produrre e consumare informazione». La semplice informazione «è importante ma non basta, perché troppo spesso semplifica, contrappone le differenze e le visioni diverse sollecitando a schierarsi per l’una o l’altra, anziché favorire uno sguardo d’insieme». La famiglia, oggi, è anche oggetto della comunicazione, che spesso diventa veicolo per attaccarla. Ma la famiglia «non è un oggetto sul quale si comunicano delle opinioni o un terreno sul quale combattere battaglie ideologiche, ma un ambiente in cui si impara a comunicare nella prossimità e un soggetto che comunica, una “comunità comunicante”». Dobbiamo «ripristinare uno sguardo capace di riconoscere che la famiglia continua ad essere una grande risorsa, e non solo un problema o un’istituzione in crisi».
I media, scrive il Papa, «tendono a volte a presentare la famiglia come se fosse un modello astratto da accettare o rifiutare, da difendere o attaccare, invece che una realtà concreta da vivere; o come se fosse un’ideologia di qualcuno contro qualcun altro, invece che il luogo dove tutti impariamo che cosa significa comunicare nell’amore ricevuto e donato». Raccontare in famiglia e la famiglia significa invece testimoniare «la bellezza e la ricchezza del rapporto tra uomo e donna, e di quello tra genitori e figli». Quella per la famiglia non è mai una battaglia di retroguardia. «Non lottiamo per difendere il passato, ma lavoriamo con pazienza e fiducia, in tutti gli ambienti che quotidianamente abitiamo, per costruire il futuro».