Il Papa e Lutero, un'intervista che suscita domande
In una lunga intervista pubblicata ieri dalla Civiltà Cattolica, papa Francesco parla del suo prossimo viaggio a Lund, per la commemorazione del 500esimo anniversario della nascita della riforma luterana. Alcune affermazioni su Lutero non mancheranno di creare dibattito. Ecco perché....
«Papa Francesco: Riforma e Scrittura, i cattolici imparino da Lutero»: così titolava ieri sera Repubblica.it, riproponendo il solito giochino del forzare le parole del Papa per far passare il messaggio voluto. L’oggetto dell’articolo in questo caso è la lunga intervista (clicca qui) a Papa Francesco pubblicata ieri da La Civiltà Cattolica online in vista della visita del 31 ottobre a Lund (Svezia) dove commemorerà con le autorità luterane il 500esimo anniversario della Riforma protestante. In realtà papa Francesco fa un ragionamento articolato - che non viene rispecchiato affatto dal titolo di Repubblica - per rispondere alla domanda su cosa «la Chiesa cattolica potrebbe imparare dalla Riforma luterana».
Ma detto questo, non c’è però dubbio che nell’intervista alla Civiltà Cattolica ci sono diverse affermazioni del Papa che quanto meno sollevano delle domande, richiedono chiarimenti. Ne cito solo alcune.
La prima questione riguarda il Lutero “riformatore”. Il Papa lo aveva definito tale già lo scorso giugno nella conferenza stampa in aereo di ritorno dall’Armenia, e nell’intervista lo ribadisce: Lutero voleva riformare la Chiesa – una Chiesa che è sempre da riformare - «voleva porre rimedio a una situazione complessa», voleva iniziare un «processo» di riforma. Questioni politiche hanno fatto sì però che quelle intenzioni buone si trasformassero in uno «stato» di separazione.
Tale lettura però ci fa chiedere cosa si debba intendere per riforma nella Chiesa. Pur senza addentrarci in discorsi teologici che sono fuori dalla nostra portata, è evidente che non ogni desiderio di «porre rimedio» a storture può essere considerato una buona riforma. Del resto sappiamo che nella storia, anche recente, in nome della giustizia si sono consumati i peggiori bagni di sangue, ovvero ingiustizie ancora più grandi.
Non si può invece dimenticare che parallelamente alla Riforma luterana si sviluppò una Riforma cattolica, che non può essere considerata una semplice reazione (Controriforma) al movimento luterano. La Riforma cattolica produsse un grande rinnovamento e una fioritura di santità nel XVI secolo (Sant’Ignazio di Loyola, san Filippo Neri, San Francesco di Sales, Santa Teresa d’Avila, San Camillo de Lellis, San Carlo Borromeo, solo per citarne alcuni) che condizionarono la vita della Chiesa per i secoli successivi. Non è stato proprio Francesco ad affermare più volte che i veri riformatori sono i santi?
In ogni caso le due riforme non possono essere considerate alla stessa stregua: se è dai frutti che si riconosce l’albero, bisogna dire che hanno dato frutti opposti, basta ripercorrere la storia.
A questo proposito c’è la seconda questione: il “Lutero delle buone intenzioni” a un certo punto dovrà fare i conti con il “Lutero della storia”. Il “contenuto” della Riforma di Lutero ben difficilmente può essere circoscritto alla correzione di alcune ingiustizie che venivano perpetrate nella Chiesa allora. Egli predica una dottrina ben diversa, vale a dire che crede in cose diverse: abolisce i sacramenti, elimina alcuni libri canonici, attacca violentemente il Papato, cambia la concezione della Grazia. A questo si aggiunga poi il Lutero “politico” (vedi intervista al professor Castellano che abbiamo pubblicato ieri) e anche il suo acceso antisemitismo, al punto che sono in molti a sostenere che l’Olocausto abbia delle radici luterane.
Non sono differenze di poco conto; è comprensibile che nella prospettiva di un cammino verso l’unità si parta da ciò che unisce – e qui il Papa parla di “ecumenismo del sangue” e di comune impegno per i poveri -, ma allo stesso tempo è ben difficile costruire un’unità che non sia fondata sulla verità.
Sulla “Scrittura”, papa Francesco dice che «Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo». Pur riconoscendo il positivo che da questo è venuto, non si può fare a meno di valutare anche la storia successiva, fino ai nostri giorni. La lettura “personale” della Bibbia – con conseguente differenza di interpretazioni -, unita alla mancanza di un’autorità riconosciuta da tutti, ha avuto come esito il moltiplicarsi di denominazioni protestanti, al punto che oggi sono alcune migliaia. Sicuro che questo possa essere un modello virtuoso?