Il Papa andrà in Pakistan, la frontiera insanguinata
Papa Francesco ha accettato l'invito di visitare il Pakistan. E' stata l'Associazione dei Pakistani cristiani in Italia ad annunciarlo, a sorpresa, con un comunicato rilanciato da Aiuto alla Chiesa che Soffre. Il Pakistan è ancora terra di frontiera per il cristianesimo, l'islamismo è dilagante. Ma qualcosa si muove: un giro di vite contro il radicalismo islamico da parte del governo.
Il primo ministro del Pakistan Nawaz Sharif ha invitato il Papa a visitare il Paese. La notizia è arrivata ieri in una maniera un po’ inaspettata: è stata l’Associazione dei Pakistani cristiani in Italia ad annunciarlo con un comunicato subito rilanciato dall’Aiuto alla Chiesa che soffre.
L’invito è stato recapitato mercoledì, durante il breve incontro che papa Francesco ha avuto con due ministri del governo pachistano accompagnati dall’arcivescovo di Karachi Joseph Coutts, al termine dell’udienza generale. A promuovere questa visita è stata proprio l’Acs in concomitanza con il quinto anniversario del martirio di Shahbaz Bhatti, cristiano e ministro per i diritti delle minoranze, ucciso ad Islamabad il 2 marzo 2011 da quei movimenti fondamentalisti islamici che non sopportavano la sua azione politica in favore dell’abolizione delle famigerate leggi antiblasfemia, gli articoli del codice penale pachistano in forza dei quali tanti innocenti tra cui Asia Bibi si trovano tuttora in carcere perché falsamente accusati di oltraggio all’islam.
«Siamo venuti a Roma per invitare il Santo Padre in Pakistan e lui ha accettato», ha dichiarato il ministro federale per la navigazione Kamran Michael - l'unico cristiano nell’attuale governo - giunto a Roma insieme al ministro per gli Affari Religiosi, Sardar Muhammad Yousaf. «Il premier Sharif stima molto il Pontefice e desidera fortemente riceverlo in patria - ha aggiunto ancora Michael - Siamo sicuri che il Papa potrà dare anche un importante contributo al dialogo interreligioso».
Francesco, dunque, davvero si recherà in visita su una delle frontiere oggi più calde del mondo musulmano in Asia, dove i cristiani sono perseguitati? La reazione estremamente prudente dei vescovi pachistani e il fatto che la notizia dell’invito non sia stata nemmeno rilanciata dalla Radio Vaticana testimonia come la Santa Sede stessa probabilmente sia stata colta di sorpresa. «Un viaggio del Papa? Sarebbe una grande benedizione, stiamo a vedere», è stato il commento a caldo dell’arcivescovo Coutts, che è anche presidente della Conferenza episcopale. Francesco non sarebbe comunque il primo Pontefice a recarsi in Pakistan: prima di lui già Giovanni Paolo II fece tappa nel Paese durante un suo viaggio apostolico in Asia nel 1981. Il contesto di allora - però - era decisamente diverso rispetto a quello di oggi.
Eppure a Islamabad - pur tra tante difficoltà - qualcosa sembrerebbe comunque muoversi nella linea di un atteggiamento meno tenero delle autorità nei confronti dell'estremismo islamico. Proprio di questi stessi giorni è la notizia dell'esecuzione della condanna a morte di Mumtaz Qadri, la guardia del corpo che nel gennaio 2011 - appena due mesi prima del martirio di Shahbatz Bhatti - uccise Salman Taseer, musulmano, governatore del Punjab, «reo» di essersi anche lui schierato contro le leggi antiblasfemia e in difesa di Asia Bibi. Nonostante le manifestazioni di protesta organizzate in questi giorni dai movimenti islamisti il boia non si è fermato. E se evidentemente la Chiesa non può condividere l'applicazione della pena di morte, c'è però un punto molto importante che resterà agli atti di questa vicenda. «Nel novembre scorso - spiega l'arcivescovo Coutts, a margine di uno dei tanti incontri sulla memoria di Shabhaz Bhatti promossi dall'Acs in questi giorni in Italia - la Corte Suprema pachistana ha rigettato un ricorso presentato contro questa esecuzione; nell'istanza si sosteneva che anche criticare le leggi contro la blasfemia sarebbe un'offesa all'islam. Si tratta di un'idea purtroppo diffusa: anche chi ha ucciso Bhatti lo ha fatto facendosi scudo di questa tesi. Ora invece il massimo organo giuridico del Pakistan ha detto con chiarezza che chiedere la modifica di quelle parti del codice penale è pienamente legittimo».
C'è stato, poi, anche un altro fatto rilevante. «Da anni insistiamo sulla questione dell'incitazione all'odio verso i non musulmani presente nei testi scolastici - racconta ancora mons. Coutts - All'inizio di febbraio il governo si è finalmente impegnato ad affrontare questo tema. Come pure a vietare la diffusione di questi stessi messaggi dagli altoparlanti delle moschee. Se manterrà fede a queste promesse sarà un passo importante».
Si tratta di una reazione dovuta alle infiltrazioni dell'Isis in Asia? «Abbiamo già abbastanza gruppi fondamentalisti nostri con cui fare i conti - risponde l'arcivescovo di Karachi - Il vero pericolo sono piuttosto i collegamenti che i gruppi locali possono stabilire con quegli ambienti, e la loro macchina della propaganda fortissima. Ecco perché l'educazione è fondamentale: è su questo terreno che dobbiamo combatterli».