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DIFESA

Il neo-isolazionismo di Trump farà bene all'Europa

Disimpegno militare all'estero, accordi bilaterali con gli amici, negoziati con i rivali, potenziamento delle forze armate, lotta al terrorismo islamico. La politica di difesa del nuovo presidente americano mira a sgonfiare la nuova guerra fredda e a difendere gli interessi americani. L'Europa, invece che lamentarsi, dovrebbe viverla come un'opportunità.

Politica 11_11_2016
Donald Trump a bordo della corazzata Iowa

“Meno multilateralismo e più bilateralismi”. Forse possono essere sintetizzate con questo slogan le linee guida della politica di difesa e sicurezza di Donald Trump, che da gennaio siederà per quattro anni alla Casa Bianca. 

Al di là dei commenti e delle valutazioni che si sentono anche in questi giorni in Europa, catalogabili più come sfoghi dei “tifosi” delusi di Hillary Clinton che come analisi oggettive, occorrerà attendere qualche mese per definire meglio gli obiettivi della sua Amministrazione e per comprendere se manterrà gli impegni enunciati in campagna elettorale. Non sarebbe certo la prima volta che i programmi elettorali vengono ribaltati dai fatti contingenti, dalla concreta realtà. L’esempio recente più eclatante è quello di George W. Bush che vinse le elezioni nel 2000 sostenendo, come oggi Trump, la riduzione delle forze militari schierate all’estero, il ritiro delle truppe schierate nei Balcani da lasciare al presidio delle forze europee dopo la guerra del Kosovo e l’impegno bellico limitato solo alla difesa degli interessi nazionali.

Un programma quasi “isolazionista” che venne completamente rovesciato dai fatti dell’11 settembre 2001. Trump oggi punta a mantenere e anzi rafforzare il primato militare statunitense potenziando l’esercito con altri 80mila arruolamenti che porteranno gli organici di nuovo oltre il mezzo milione di soldati e a rafforzare la Marina dotandola di una flotta di 350 navi contro le 270 attuali. Trump non è quindi un pacifista, ma punta a negoziare con accordi bilaterali la soluzione delle crisi in atto evitando di schierare nutriti contingenti di truppe americane sul terreno.

La distensione con Mosca consentirebbe di combattere congiuntamente lo Stato Islamico e il terrorismo jihadista considerato dal neo presidente il vero nemico da battere. A differenza della Clinton, che voleva imporre un blocco ai voli degli aerei russi sulla Siria rischiando così il conflitto aperto con Mosca, Trump punta a cercare compromessi con russi e turchi che consentano di stabilizzare la Siria senza far cadere Bashar Assad. In Europa la fine della “nuova guerra fredda” imposta alla Nato dagli anglo-americani potrebbe consentire di trovare soluzioni di compromesso alle crisi ucraina e balcanica. Soluzioni che dovrebbero venire accolte con entusiasmo in un’Europa che dalle tensioni con la Russia sta subendo danni politici e commerciali rilevanti e che dalla guerra in Medio Oriente (in cui gli europei hanno un ruolo più che marginale) ricava solo terrorismo e immigrazione illegale.

Curioso quindi che i leader europei esprimano preoccupazione per la vittoria di Trump e tifassero una Clinton “guerrafondaia” che avrebbe accentuato la politica perseguita in questi anni da Barack Obama e tesa a destabilizzare tutte le aree circostanti l’Europa sostenendo improbabili primavere arabe, insurrezioni jihadiste e perseguendo un irresponsabile allargamento della Nato a est che viene ovviamente percepiti come una minaccia dai russi. Certo su questa sponda dell’Atlantico hanno suscitato perplessità le affermazioni di Trump circa la rinegoziazione dell’ombrello militare che Washington assicura ai suoi alleati europei e asiatici. Alleati che dovrebbero fare di più la propria sicurezza secondo il prossimo inquilino della Casa Bianca. Ma un ridimensionamento della presenza americana e dell’ingerenza di Washington va visto come un'opportunità per l’Europa i cui leader non fanno che parlare da anni di “difesa europea” e che con Trump avrebbero l’occasione (se ne sono capaci) di dare finalmente concretezza alle chiacchiere.

In Estremo Oriente Trump è giunto addirittura a considerare che Giappone e Corea del Sud si dotino di armi nucleari per bilanciare gli arsenali cinesi e nordcoreani, ma con Pechino i punti di disaccordo su economia, sovranità degli arcipelaghi e controllo del regime di Pyongyang sono tali da poter ipotizzare una conferenza (anch’essa bilaterale) tesa a trovare soluzioni condivise. 

In questo contesto, anche la rinnovata alleanza con Israele e l’impegno a impedire che l’Iran si doti di armi atomiche nonostante l’accordo sottoscritto quest’anno, potrebbe rivelarsi utile a scongiurare quella corsa al riarmo atomico nella regione già evidente in Arabia Saudita. 

L’impressione è quindi che Trump voglia abbinare al potenziamento militare la rinegoziazione in termini più vantaggiosi per gli USA dei rapporti storici con gli alleati e l’apertura al compromesso per risolvere le crisi in atto con i rivali. Meglio quindi evitare quei provinciali atteggiamenti filo o anti Trump così diffusi nel panorama politico italiano ed europeo, anche perché si può stare certi che l’impostazione del nuovo presidente, per quanto diversa e a tratti opposta a quella del suo predecessore, avrà sempre e solo l’unico scopo di perseguire gli interessi degli Stati Uniti.