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NIGERIA

Il mondo ai piedi di Boko Haram

Un video mostra le studentesse sequestrate dai miliziani islamisti. Sono in niqab e "liberate", cioè convertite all'islam, da cristiane che erano. Il gruppo terrorista ha catturato l'attenzione mondiale. E si sente molto più forte.

Esteri 13_05_2014
Le studentesse in ostaggio

Si apre uno spiraglio nella vicenda delle 276 studentesse, in maggioranza cristiane, rapite in Nigeria il 14 aprile a Chibok, una cittadina dello stato settentrionale di Borno, dal movimento jihadista Boko Haram. Un nuovo video, diffuso la mattina del 12 maggio, ne fa vedere circa 130 in atto di pregare. Indossano il niqab perché – spiega il video – tutte le ragazze cristiane si sono convertite all’islam: “queste ragazze di cui vi preoccupate, noi le abbiamo già liberate, sono diventate musulmane” dichiara il leader del movimento islamista, Abubakar Shekau, parlando dopo che due studentesse hanno raccontato di essere state cristiane e di essersi appunto convertite all’islam.

La novità è che, dopo aver annunciato la scorsa settimana, con un altro video, di volerne vendere una parte ai trafficanti di schiavi e dare le altre in mogli a dei jihadisti, i terroristi ora sembrano disposti a liberare le studentesse in cambio della scarcerazione dei loro compagni prigionieri: “le terremo con noi finché tutti i nostri miliziani prigionieri non verranno liberati” dice Shekau.

Quasi contemporaneamente alla diffusione del video è circolata la notizia di “contatti indiretti” stabiliti dal governo nigeriano con i sequestratori. Inoltre il governatore del Borno ha rivelato di aver ricevuto informazioni sul luogo in cui si trovano le ragazze e di averle trasmesse ai militari affinché ne verifichino la fondatezza. Secondo il governatore, contrariamente alle notizie dei giorni precedenti, non sarebbero state portate oltre confine.

Peraltro, e lo confermerebbe il fatto che il video non le riprende tutte, le ragazze potrebbero essere state divise in gruppi per renderne più difficile l’individuazione. Nelle ore precedenti alla pubblicazione del video era anche circolata la voce che i terroristi avessero disseminato mine e ordigni esplosivi nelle vicinanze del luogo, o dei luoghi, in cui tengono prigioniere le studentesse.

Qualcosa comunque si sta muovendo, mentre fino a ieri la sorte delle ragazze di Chibok sembrava segnata. Il motivo maggiore di speranza è dato dal mutato atteggiamento del governo della Nigeria che, dopo settimane di sostanziale indifferenza e inazione, promette finalmente azioni concrete: e lo dimostra per prima cosa con la decisione di accettare l’aiuto offerto da Francia e Gran Bretagna, presto anche Israele, che aggiungono così i loro esperti a quelli già messi a disposizione dagli Stati Uniti.

A scuotere il governo nigeriano, e a far quindi sperare seppur debolmente in prossimi sviluppi positivi, è stata soprattutto la mobilitazione della popolazione che ha aderito agli appelli delle associazioni nigeriane per la difesa dei diritti umani partecipando numerosa a manifestazioni di protesta nella capitale Abuja e in altre città. La sfiducia nei confronti del governo, corrotto, insensibile, inetto, dilaga: i militari infieriscono sui civili – dice la gente esasperata – e poi si dileguano all’arrivo dei terroristi, il denaro stanziato per l’emergenza Boko Haram prende altre strade lasciando disarmate le truppe, le autorità volevano far credere che le ragazze fossero state subito ritrovate…

Il presidente Goodluck Jonathan e il suo governo hanno perso credibilità e consenso già da tempo mostrando di non essere in grado o addirittura di non voler contrastare Boko Haram che, dall’inizio del 2014, malgrado lo stato di emergenza dichiarato un anno fa nei tre stati del nord più minacciati, ha moltiplicato le azioni terroristiche riuscendo a colpire la stessa capitale con due attentati dinamitardi, il 14 aprile e il 2 maggio, costati la vita a oltre 100 persone. A questo si aggiunge il fatto che il presidente Jonathan e la sua corrente politica sono alle prese con una crisi interna al loro partito, il People’s Democratic Party, PDP, nata dalla decisione di Jonathan di ricandidarsi alla carica presidenziale alle elezioni del prossimo febbraio. Nei mesi scorsi 37 parlamentari del PDP hanno restituito la tessera del partito e sono confluiti nell’All Progressive Party, mettendo così in minoranza il governo per la prima volta in 15 anni.

La Francia, che da tempo propone contro Boko Haram una sorta di forza multinazionale formata dai paesi dell’area con il sostegno internazionale, ha offerto di organizzare a Parigi per il 17 maggio un summit degli stati confinanti con la Nigeria a cui sono stati invitati Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Europea. L’opposizione nigeriana avrebbe buon gioco a denunciare l’inadeguatezza di Jonathan se la prima potenza economica subsahariana – è notizia recente che la Nigeria ha conquistato il primato finora detenuto dal Sudafrica – dovesse dipendere da forze militari straniere per la propria stabilità e per la sicurezza dei propri cittadini.

Quanto ai Boko Haram, la condizione del rilascio di tutti i loro miliziani in carcere per liberare le studentesse di Chibok invece di tenerle come schiave e mogli prova non tanto una preoccupazione per eventuali interferenze internazionali quanto piuttosto la soddisfazione per il risultato ottenuto. Tutto il mondo (in realtà, ed è questo che conta, più che altro quello occidentale che loro disprezzano e odiano) ha parlato di loro, ha conosciuto la loro forza, ad essa si è piegato… e ha twittato l’appello “Bring back our girls”, ridateci le nostre ragazze: persino il capo della Chiesa romana, persino la moglie dell’uomo più potente del mondo, persino il premier dell’ex potenza coloniale britannica e la di lui consorte! Quel che si erano prefissi con l’azione clamorosa di rapire centinaia di adolescenti è riuscito, forse al di là delle loro stesse aspettative. Con un ulteriore atto di scherno, spregio e sfida, il 12 maggio hanno mostrato le “nostre ragazze” in niqab, convertite all’islam, quindi “liberate”. Magari bastasse al loro amor proprio. Può invece renderli più audaci e confidenti.