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TELEVISIONE

Il mito sempre verde del prete-detective

Dopo padre Brown di Chesterton e don Matteo, ora tocca a padre Castell: nelle serie tv continuano ad aver successo i sacerdoti investigatori.

Attualità 07_06_2011
padre castell
Se non fosse perché indossa l’abito talare, in certi frangenti sembrerebbe più un agente segreto che un sacerdote. Invece Padre Simon Castell è un prete gesuita al quale il Vaticano ha affidato la missione di investigare in giro per il mondo su tutti i casi criminali che coinvolgono esponenti della Chiesa o che sono in qualche modo legati agli ambienti ecclesiali.

La serie di produzione tedesca
che lo vede protagonista, intitolata “Le indagini di Padre Castell” (Rete 4, mercoledì ore 21.10), ci presenta un investigatore capace di pilotare aerei, utilizzare le più avanzate tecniche di autodifesa, usare armi da fuoco, riparare mezzi meccanici e perfino scassinare serrature… Il tutto – naturalmente – sempre a fin di bene. Attorno a Padre Castell, interpretato dal prestante Francis Fulton-Smith, si muovono alcune figure chiave, a partire dal Cardinale Scarpia (Hans Peter Hallwachs), segretario di Stato, che indica al protagonista i compiti da svolgere. Nell’azione il sacerdote fa partnership con la meticolosa Marie Blank (Christine Döring), investigatrice – lei sì – di professione, nonché donna ironica, sempre pronta all’azione e madre della piccola Lisa, ragazzina sveglia con il desiderio segreto di avere il sacerdote come papà. In secondo piano si muovono sulla scena altre due figure: Franziska Blank (Lisa Kreuzer), madre di Marie rimasta vedova, che gestisce una pensione alla periferia di Monaco e si prende amorevole cura della nipotina per la quale stravede; il dottor Jens Deißmann (Ercan Durmaz), medico legale e forense, grande amico di Marie.

Il pubblico televisivo
di casa nostra ha riservato una buona accoglienza a questo nuovo personaggio che si inserisce nel collaudato filone i cui protagonisti sono religiosi o esponenti del clero impegnati in investigazioni poliziesche. Dagli storici “Racconti di Padre Brown” ispirati all’opera di Gilbert Keith Chesterton e interpretati da Renato Rascel negli anni ’70 a “Le inchieste di Padre Dowling” con Tom Bosley negli anni ’80, fino alle recenti indagini di “Suor Thèrèse”, per approdare alle avventure made in Italy di Terence Hill nelle vesti di “Don Matteo”, la fortuna di preti e suore alle prese con misteriosi delitti e vicende oscure sul piccolo schermo è consolidata.

La televisione italiana
se n’era già accorta nel 1968, quando aprì il filone del “poliziesco religioso” con la serie dedicata a Padre Tobia, il personaggio affidato all’interpretazione asciutta e intensa di Silvano Tranquilli protagonista della serie “I ragazzi di Padre Tobia”. Era la prima produzione dedicata alla vita di un sacerdote da parte della nostra tv. Nonno morale dell’attuale don Matteo, Padre Tobia era un giovane prete anticonvenzionale, amante dei fumetti e delle arti marziali, che insieme al fedele sacrestano Giacinto (Franco Angrisano) si occupava dei ragazzi della sua parrocchia aiutandoli a crescere nel cuore e nello spirito, ma soprattutto coinvolgendoli attivamente nelle sue indagini. Oltre al suo intuito e alle sue capacità logiche, le armi decisive per la risoluzione dei casi erano sempre la fiducia nella vittoria del bene e la profonda stima del valore dell’amicizia.

Fu proprio il successo ottenuto da questo sacerdote a spingere la Rai a proporre un nuovo personaggio in tonaca nera quale protagonista dei racconti gialli che avrebbero successivamente ispirato le inchieste di Don Matteo: il mitico Padre Brown. Fra il 1970 e il 1971, dunque, fu protagonista il citato Renato Rascel, affiancato da Arnoldò Foà nei panni di Flambeau, un ladro riportato sulla retta via dal carisma evangelico del piccolo sacerdote al punto da diventare il suo collaboratore più fidato. Fede granitica, profonda conoscenza dell’animo umano, spigliato intuito e uno sguardo spesso ironico sulla vita delle persone sono gli ingredienti che hanno fatto di Padre Brown una figura efficace nell’immaginario popolare, conquistato da questo prete con il pallino dell’investigazione poliziesca, capace di risolvere anche i casi più intricati nonostante la sua distrazione e il suo aspetto un po’ trasandato. Anche lui, come Padre Tobia, ha saputo combattere il male non soltanto con i sacramenti e con la catechesi, ma anche con il ricorso a procedure tipiche dell’indagine criminale per smascherare i colpevoli e (ri)portarli sulla via della redenzione.

Dopo Padre Brown
altri sacerdoti sono diventati protagonisti sul piccolo schermo, ma soltanto con don Matteo è tornata in auge la connotazione del prete-detective. Ora tocca a Padre Castell, figura che declina a modo suo l’eredità di questo filone, in una serie in cui l’impronta narrativa fredda e pragmatica tipica delle produzioni tedesche è evidente ma che da spazio al lato umano e ai sentimenti più di quanto normalmente avvenga nei classici telefilm polizieschi. Padre Castell svolge le sue indagini per esplicito mandato del Vaticano, a differenza di don Matteo che, anzi, viene spesso richiamato ai suoi doveri pastorali dalle alte gerarchie ecclesiali. Al di là della curiosità verso le gesta di questo sacerdote, capace di rivelare doti investigative nascoste di fronte a ogni nuovo caso, resta un messaggio di autenticità morale che rimanda costantemente a una giustizia divina più forte e più efficace di quella umana.