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CORONAVIRUS

Il mito del vaccino

Intorno al vaccino si è ormai costruita un'attesa messianica. Si attende la fiala miracolosa che non solo ci metterà al sicuro dal virus, ma ci libererà anche dalle catene del lockdown e farà rinascere le nostre vite. Così però si evitano le domande vere sul senso della vita e della sofferenza, sul mistero della morte. Per essere liberi, invece, non serve attendere il vaccino....

Editoriali 08_06_2020

C’è qualcosa che stona in questa attesa spasmodica del vaccino contro il coronavirus. Non entro qui nell’ambito prettamente sanitario. Abbiamo già affrontato più volte da questo punto di vista il tema del vaccino, mettendo anche in guardia dai facili ottimismi e dalle false speranze (clicca qui, qui e qui).

No, in questa sede vogliamo discutere l’atteggiamento, la posizione che stiamo assumendo davanti all’eventualità di un vaccino. Ovvero, il fatto che si sia passati lentamente dalla speranza di trovare un farmaco in grado almeno di ridurre al minimo i rischi mortali di una infezione da coronavirus, all’attesa messianica di una fiala in grado di liberarci dal male.

In questi mesi la sofferenza da Covid è stata soltanto l’origine e l’epicentro di un fenomeno di sofferenza molto più ampio: l’incertezza, la paura, l’isolamento, la depressione, i suicidi, la preoccupazione per il lavoro, le altre malattie dimenticate (anche quelle più letali del Covid); senza dimenticare il dolore e la rabbia per le Messe prima negate al popolo e ora fortemente limitate. E comunque, in misura maggiore o minore, tutti abbiamo sofferto e continuiamo a soffrire per il lockdown, per le limitazioni imposte spesso sfidando il buon senso e la ragione. Non manca neanche un profondo senso di ingiustizia: gli assembramenti se si tratta di manifestazioni di sinistra (vedi il 25 aprile e quella di ieri, clamorosa, contro il razzismo) non contano, sono ammessi, anzi pare facciano bene alla salute. Mentre invece si continua ad andare in chiesa (chi ci va ancora) come se si entrasse nel reparto infettivi dell’ospedale.

Ecco, pare che da tutto questo ci libererà il vaccino. Un rimedio miracoloso, che promette non solo di fermare il virus, ma anche di liberarci dalle catene del lockdown, di far rinascere l’economia, di farci togliere le mascherine, di farci tornare ad abbracciare, di farci perfino sentire immortali (dato che da un po’ di tempo pare che il Covid-19 sia l’unica causa di mortalità).

Basta leggere i giornali, sentire le dichiarazioni dei politici, i diktat del comitato tecnico-scientifico: tutti in attesa del vaccino, è lui il vitello d’oro che ci salverà. E l'uomo della strada non fa altro che ripetere: «Speriamo che arrivi presto questo vaccino».
Nessuno deve distrarci da questa attesa. Vietato farsi domande sul perché le terapie intensive si sono già svuotate e nessuno si presenta più al pronto soccorso con sintomi gravi da Covid-19 (anche senza vaccino); vietato dare pubblicità alle conoscenze nel frattempo acquisite sul virus e alle terapie che già hanno dimostrato di funzionare (anzi, queste vanno screditate e minimizzato il loro impatto). Il popolo deve attendere con trepidazione: forse è pronto per l’autunno; no, bisognerà aspettare la primavera prossima; no, non prima dell’estate 2021; aspetta, i test sono già in corso e i tempi potrebbero essere abbreviati.

Non importa, tra tre mesi o fra due anni, in ogni caso solo quando ci sarà il vaccino potremmo toglierci le mascherine, avvicinarci anche a meno di un metro, togliere ogni barriera, far risalire l'occupazione, sentirci sicuri.

Ecco, l’illusione di sentirci sicuri, di azzerare i rischi. È la vera debolezza della nostra società, che porta a costruirsi false certezze. E, come in questo caso, a confondere due piani ben distinti: la medicina, la scienza, offre delle risposte a tanti bisogni umani; combatte le malattie, permette una vita più lunga e più sana. Ma non ha una risposta al senso della vita e della sofferenza. Quando si ha a che fare con una malattia grave, certo che si spera di guarire, magari grazie a una nuova terapia, a un innovativo intervento chirurgico. Ma non sarà questo, comunque, a decidere della nostra letizia o della nostra disperazione.

L’attuale attesa per il vaccino sta assumendo invece un aspetto messianico: facciamo i sacrifici oggi in attesa dell’evento che ci libererà definitivamente. L’aspetto più drammatico è che anche l’autorità ecclesiale contribuisce a questa confusione tra i piani, al crescere di questa pericolosa illusione: si prega quasi esclusivamente perché si possa trovare presto il vaccino, quasi come ad anticipare la venuta del messia. Non solo la salute, anche la salvezza sta nel vaccino. Mai un accenno alle domande vere che affiorano naturali quando ci troviamo a dover fare i conti con la morte, a guardarla come una possibilità concreta, attuale. Mai un richiamo a tornare a Dio per allontanare le sventure che si abbattono sull’umanità. Tutte le speranze sono sulla scienza, e le nostre vite affidate nel frattempo alle indicazioni del comitato tecnico-scientifico.

È possibile invece essere liberi già oggi, pur nel rispetto delle limitazioni imposte, e senza vaccino, proprio prendendo sul serio le domande sulla vita, sul senso della sofferenza, sul mistero della morte e sul significato delle calamità, che le attuali circostanze inevitabilmente ci pongono. E scoprendo, seguendo queste domande, come la nostra vita dipenda concretamente da un Altro, da Chi ci ha voluto fin dall’eternità e che è il vero compimento della nostra attesa. Fino a poter dire con sant’Agostino: «Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».