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POLITICI

Il ministro Boschi, una cattolica "adulta"

Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme Costituzionali e i Rapporti con il Parlamento, è considerata una politica cattolica. Intervistata da Vanity Fair dice la sua su fecondazione, aborto e nozze gay. E il cattolicesimo sparisce.

Politica 23_04_2014
Maria Elena Boschi

Il Ministro per le Riforme Costituzionali e i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, più volte definita “cattolica” da Wall Street Italia e intervistata da Vanity Fair (celeberrima rivista notoriamente adatta al caldo tema delle riforme) che le dedica la copertina del 23 Aprile, vorrebbe un compagno e tre figli. Fin qui, poco male: desiderare una vita serena e felice è un bene. “La casa è sempre vuota” dichiara la Boschi, single da un anno (precisazione temporale per dovere di cronaca verso un pubblico che, dai commenti, si mostra, infatti, subito interessato alla profonda pertinenza del contenuto rigorosamente attinente al ruolo); “una tazza di latte bevuta da sola”, continua, non è certo un degno sussidio in mancanza di una più armoniosa e accogliente vita di coppia.

Come contraddirla? Filerebbe tutto liscio, o quasi, se non fosse che al momento di esprimere un’opinione su questioni (neanche troppo pertinenti al suo Ministero) che riguardano temi hot come la fecondazione assistita, l’aborto, i matrimoni e le adozioni gay, l’appellativo di “cattolica” finisce del tutto in trallallero. Ed è bene che sia chiaro, non tanto perché non sia libera di pensarla come vuole, ci mancherebbe. Ma perché le parole sono importanti e, nei fatti, non riguardano mai soltanto chi le enuncia. In questo caso, andrebbero accostate – a onor di fede – a qualche altro milione di “cattolico” nel mondo, e sinceramente c’è da pensarci un attimo.

Nel primo caso, è preoccupata per le tante donne che “fanno molta fatica a rimanere incinte” (precisa che sono in là con gli anni, ma nulla di più). Fa l’esempio della Toscana, le cui strutture pubbliche a quanto pare consentono diversi tentativi gratuiti di fecondazione, e si limita a dire che “bisognerebbe poter fare di più, aiutare di più”. Sul chi, come e perché, che forse avrebbero potuto valorizzare meglio la risposta, candidandola a un contenuto realistico più che a un’informazione generica non meglio precisata, senza alcuna ipotesi riformista, non è dato sapere.

Nel secondo caso, non giudica (e siamo d’accordo) le donne che scelgono la via dell’aborto, ma “io non potrei mai”, risponde. Anche qui, ci chiediamo se il finale di un’osservazione fatta da un ministro della Repubblica non possa trovare altro che la punteggiatura per arricchire un tema del genere di una sostanza più nutrita. Tipo, per dirne un paio: come aiutiamo le donne che vogliono abortire a non farlo con serenità, piuttosto che come tuteliamo i diritti di chi non nasce. C’è da scegliere come porsi istituzionalmente tra la cultura della vita e quella della morte, non tra quello che ogni donna singolarmente farebbe o fa. Scriveva Giovanni Paolo II nella sua Evangelium Vitae, sulla sacralità della vita: “Di fronte alla norma morale che proibisce la soppressione diretta di un essere umano innocente non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno. Essere il padrone del mondo, o l'ultimo miserabile sulla faccia della terra, non fa alcuna differenza: davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente uguali”.

Nel terzo caso, poi, si sbilancia del tutto e fa un salto nel vuoto dichiarando che è una questione di “gradualità”. "Cominciamo a riconoscere la parità tra coppie gay ed etero e poi, un passo alla volta, aspettiamo che il Paese sia davvero pronto ad accogliere le 'nuove' famiglie". Tesi questa, purtroppo, avvalorata da molte persone che si definiscono “cattoliche”, ma che di cattolico non ha proprio nulla, soprattutto dopo le dichiarazioni dell’11 aprile scorso fatte da Papa Francesco, per chi avesse ancora qualche dubbio sull’argomento.

Il pezzo finisce col solito scivolone sul finale già troppo scosceso, quando lo scoop diventa che “le donne devono faticare il doppio degli uomini per dimostrare di essere due volte più brave”, senza meglio precisare né il genere di sforzo né per quale tipo di merito.

A volte, finirò anche per sembrare più antifemminista di quanto non lo sia già. Giuro che non lo faccio apposta. Certo che però se noi donne, regine della vita e prime madri dell’accoglienza, su tre temi come questi non abbiamo niente di meglio da dire (e nel caso specifico da fare, ricoprendo ruoli da ministro), il vero vuoto da riempire temo sia ben diverso da quello che abbiamo in casa.