Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
PERSECUZIONI

Il "metodo Nerone" è sempre di moda

Gridare "al lupo, al lupo" per scatenera la rabbia cieca delle masse su casi inesistenti. La nuova strategia contro
i cristiani è antica come il mondo.

Attualità 11_05_2011
cristiani perseguitati

La situazione è già tesa, si diffonde una falsa notizia in cui si accusa la minoranza cristiana di qualche misfatto, e il gioco è fatto: folle rabbiose prendono d’assalto chiese e villaggi cristiani seminando morte e distruzione. E’ quello che potremmo chiamare “metodo Nerone”, ma è il modo classico in cui ancora oggi dal Medio Oriente all’Asia si scatenano persecuzioni contro i cristiani.

L’ultimo esempio, lo abbiamo visto, è di questi giorni: sabato scorso, in Egitto, qualcuno ha sparso la voce che una donna sposata a un musulmano e in procinto di convertirsi all’islam era tenuta prigioniera dai cristiani copti nel quartiere Imbaba, al Cairo. È bastato questo per indurre gruppi di musulmani a confluire nel quartiere dove hanno dato alle fiamme la chiesa di Santa Mina, uno dei maggiori luoghi di culto copti della capitale, e diverse abitazioni. Ne sono seguiti violenti scontri armati durati due giorni, con un grave bilancio: finora, 12 morti e oltre 200 feriti. L’intervento dei militari – in colpevole ritardo - che hanno arrestato 190 persone ha riportato l’ordine nelle strade, ma la situazione resta tesa.

Non è la prima volta che accade in Egitto: appena pochi mesi fa, ottobre 2010, il mondo islamico si è infiammato alla rivelazione che due donne erano detenute in una chiesa, sempre al Cairo, per essersi convertite all’islam. In realtà le donne in questione, Camelia Shehata e Wafa Constantine, erano le mogli di due sacerdoti della Chiesa copta d’Egitto che in effetti vivevano da tempo in due comunità conventuali, ma per problemi legati a disaccordi familiari che le avevano costrette a cercare rifugio in luoghi sicuri. Le stesse autorità religiose islamiche egiziane lo hanno ammesso in seguito. Ma intanto, il 31 ottobre, dei terroristi appartenenti al gruppo ‘Stato Islamico dell’Irak’ (ISI), legato ad al-Qaida, erano penetrati nella chiesa sirocattolica Nostra Signora della Salvezza di Baghdad mentre era in corso una funzione religiosa e avevano preso in ostaggio i presenti. Il successivo intervento delle forze dell’ordine per liberarli si concluse con la morte di 37 fedeli e il ferimento di numerosi altri. Nel comunicato con cui l’ISI rivendicava l’attentato si leggeva: “Un gruppo di mujaheddin in collera fra i fedeli di Allah ha effettuato un raid su uno dei rifugi osceni dell'idolatria, che era stato sempre usato dai cristiani dell'Iraq come quartier generale per la lotta contro la religione dell'islam e il sostegno a quelli che combattono questa religione”. Obiettivo dell’azione – spiegava inoltre il comunicato – era stata la liberazione di due “povere sorelle musulmane imprigionate nei monasteri dell’infedeltà nelle chiese dell’idolatria in Egitto”.


False erano anche le accuse di blasfemia rivolte lo scorso gennaio a due donne cristiane di Lahore, Pakistan. Ma nessuno le ha messe minimamente in dubbio. Le poverette sono state aggredite da una folla incollerita, imbrattate, picchiate e portate a dorso di asino per le strade del loro quartiere. Si è poi saputo che invece le accuse erano una vendetta di alcuni familiari coinvolti in una lite sull’educazione religiosa da impartire alla figlia del fratello di una delle due donne, sposato a una musulmana. Del resto tutte le accuse di blasfemia in Pakistan si basano su accuse infondate, che nessuno si preoccupa di verificare. Anche Asia Bibi, la donna cristiana protestante condannata a morte in Pakistan per blasfemia, ne è un esempio, e dei più drammatici. Le donne islamiche sue compagne di lavoro che hanno testimoniato di averla sentita offendere il profeta Maometto avevano litigato con lei e si sono servite di quest’arma temibile – l’accusa di blasfemia – per punirla. Adesso rischia la vita per questo.


Sempre all’inizio dell’anno in India, a Karnataka, un missionario della Santa Croce di Whitefield, padre Phillip Noronha, veniva accusato dai genitori di alcuni allievi della scuola di cui è vicedirettore di aver molestato sessualmente i loro figli. Benché anche in questo caso le accuse fossero false, è stato aggredito da una folla di centinaia di indu senza che la polizia intervenisse a difenderlo. Secondo i missionari, si vuole screditare la scuola e ottenere l’esproprio dei terreni su cui sorge per consentirne l’annessione a un vicino tempio indù.

Ma come non ricordare le terribili violenze anticristiane nello stato indiano dell’Orissa nel 2008, quando chiese e interi villaggi sono stati distrutti da una folla incitata da qualcuno che aveva falsamente accusato i cristiani dell’assassinio di un vecchio leader indù: decine furono i morti, sacerdoti picchiati a sangue e suore violentate, sempre con il “metodo Nerone”. 

Così come un'altra falsa accusa fu alla base di una violenza durata tre anni nell’arcipelago delle Molucche, in Indonesia, dove nel 1999 un banale screzio tra l’autista cristiano di un minibus e un passeggero islamico, che invece denunciò di essere stato aggredito, diede il via a una stagione interminabile di odio e morte che fu sedata con fatica dall’esercito indonesiano. Ma alla fine, nel 2002, si contarono circa 15mila morti e 500mila profughi.

Il ripetersi, anzi, il moltiplicarsi di episodi simili – false accuse che provocano reazioni violente di massa, senza mai il beneficio del dubbio – dà certamente la misura dell’ostilità e del risentimento crescenti nei confronti delle minoranze cristiane nel mondo.