Il governo del cambiamento è già del trasformismo
I rumors che vorrebbero FdI in marcia di avvicinamento verso l’esecutivo, anche per garantire al Senato, i voti necessari per assicurare al governo Conte una navigazione tranquilla. Il governo del cambiamento sta diventando il governo del trasformismo, con maggioranze variabili che finiscono per rafforzare Salvini.
Crescono le fibrillazioni dentro il governo e sempre più spesso Lega e Cinque Stelle litigano su questioni decisive per il presente e il futuro del Paese. Anche quando i provvedimenti passano, le lacerazioni nella maggioranza appaiono evidenti, soprattutto quelle nelle file pentastellate. Di qui i rumors che vorrebbero Fratelli d’Italia in marcia di avvicinamento verso l’esecutivo, anche per garantire, soprattutto al Senato, i voti necessari per assicurare al governo Conte una navigazione tranquilla.
Le prove tecniche di inciucio tra le forze di governo e una parte del centrodestra ufficialmente all’opposizione si sono avute sul decreto Genova, approvato definitivamente in Senato due giorni fa. Finalmente inizieranno i lavori per abbattere quello che resta del Ponte Morandi e per ricostruire il collegamento che da tre mesi paralizza il capoluogo ligure. E questa è certamente una bella notizia. Ma l’iter politico che ha condotto a questo traguardo è risultato alquanto farraginoso e ha confermato che la coesione e la condivisione tra i partiti di maggioranza sono molto precarie e che a dominare i rapporti tra Lega e Cinque Stelle sono il reciproco sospetto e i molteplici tentativi di ciascuno dei due alleati di portare acqua al proprio mulino, lasciando in secondo piano i veri interessi del Paese.
Il decreto Genova è stato approvato in via definitiva dal Senato con 167 voti favorevoli, 49 contrari e 53 astensioni. Il provvedimento era passato alla Camera il primo novembre scorso. Il voto di giovedì sul decreto Genova, che portava “in pancia” anche la questione del condono per le case abusive a Ischia, ha fatto emergere ancora più nitidamente le divisioni fra i grillini. Il Senato ha reintrodotto il condono edilizio a Ischia, respingendo l’emendamento all’articolo 25, presentato da Forza Italia e approvato in commissione al Senato nei giorni scorsi, con una cocente bocciatura per la maggioranza. Alla fine si è tornati di fatto al testo iniziale dell’articolo, per cui restano il riferimento e l’applicazione della legge sul condono dell’85 (la n.47) per le istanze pendenti su immobili danneggiati dal sisma di un anno fa.
A favore del decreto Genova, insieme a Lega, M5S e ai senatori del gruppo misto che già avevano votato la fiducia al governo, hanno votato anche i sette senatori di Fratelli d’Italia. E con loro avrebbero votato a favore anche alcuni senatori di Forza Italia, autosospesi dal partito, che fanno capo a Luigi Cesaro, l’ex sindaco proprio di Ischia. Insomma, il governo ha ottenuto la maggioranza e il ministro Toninelli ha potuto alzare il pugno chiuso in segno di vittoria, con il gesto plateale di cui si è tanto parlato, ma solo grazie ai voti decisivi del partito della Meloni e a quelli dei senatori campani di Forza Italia.
Il governo del cambiamento sta dunque diventando il governo del trasformismo, con maggioranze variabili che agitano ancora di più le acque dentro i Cinque Stelle e finiscono per rafforzare Matteo Salvini.
Luigi Di Maio, sempre più in difficoltà, ha riunito ministri e capigruppo M5S per valutare le sanzioni contro i senatori “ribelli” Nugnes e De Falco, che già non avevano votato il decreto Salvini e che hanno provocato il passo falso del governo, battuto in commissione al Senato sul condono a Ischia contenuto nel decreto.
I mugugni tra i pentastellati non accennano dunque a placarsi. In aula dieci senatori M5S hanno deciso di non partecipare al voto che ripristinava il testo uscito dalla Camera sul condono: oltre a Paola Nugnes, non hanno votato neppure altri nove. Tra le preoccupazioni che emergono tra i Cinque Stelle più allineati, c’è la paura di regalare a Salvini il pretesto dei numeri risicati al Senato per aprire ai Fratelli d’Italia la strada della maggioranza. E tra i leghisti c’è già chi fa i conti dei parlamentari che, in caso di scissione nei Cinque Stelle, rimarrebbero con Luigi Di Maio. Stando al governo, i pentastellati perdono voti (un punto percentuale ogni mese, dicono i sondaggi). Ecco perché Beppe Grillo, Roberto Fico e Alessandro Di Battista vorrebbero tornare a presidiare l’area di sinistra dell’elettorato, che si sente trascurata e delusa dalle scelte filo-leghiste di Di Maio. Matteo Salvini non farebbe dunque i salti di gioia se il collega vicepremier si indebolisse troppo, perché a quel punto, per restare in sella, avrebbe bisogno dei voti di Fratelli d’Italia e Forza Italia. E c’è da scommettere che Silvio Berlusconi glieli “venderebbe” a caro prezzo.