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LIBIA

Il governo c’è, ma non l’accordo contro l’Isis

La credibilità del nuovo governo di riconciliazione nazionale libico, e della comunità internazionale che lo sostiene verrà presto messa alla prova dalla necessità di fermare il rapido espandersi dello Stato Islamico. L’esecutivo, composto 32 ministri per accontentare tutte le fazioni coinvolte, per ora resta in Tunisia. 

Esteri 21_01_2016
Il premier libico Fayez al Sarraj

Il neopremier del governo di riconciliazione nazionale libico, Fayez al Sarraj, si è rivolto al popolo libico in occasione della presentazione del suo nuovo esecutivo. «Con il favore di Allah abbiamo completato la formazione del governo di riconciliazione nazionale e questo è il secondo risultato ottenuto dopo quello della riconciliazione», ha detto il premier, spiegando che i componenti del nuovo governo «inizieranno presto a lavorare nella capitale Tripoli». 

Per al Sarraj, tuttavia, ora è il momento di affrontare «le vere sfide con spirito di riconciliazione». Il riferimento è al via libera che la Camera dei rappresentanti di Tobruk, espressione delle consultazioni tenute nell'estate 2014 e contestate dal Congresso nazionale di Tripoli, dovrà dare sui nomi dei 32 ministri del nuovo esecutivo, un numero enorme per accontentare tutte le fazioni coinvolte. É quindi ancora presto per essere ottimisti circa le sorti di un governo che per ora resta in Tunisia, come fa del resto la missione delle Nazioni Unite, per «ragioni di sicurezza».

Un influente deputato libico, Abu Bakr Beira, ha definito ieri improbabile che la Camera dei rappresentanti (HoR) libica basata a Tobruk e riconosciuta internazionalmente dia la fiducia al governo di unità nazionale. Beira, in dichiarazioni all'agenzia Associated Press, ha detto che l'Hor «non si piegherà» alle pressioni internazionali. L'accordo non ha sostegno nell'est, cioè della Cirenaica. Il nuovo gabinetto di ministri varato per ricomporre la frattura all'origine della guerra civile libica, a suo dire è un «senza senso». La ragione potrebbe essere legata all’assenza di riconoscimenti per il generale Khalifa Haftar, uomo forte di Tobruk, sostenuto dall’Egitto (e dai francesi?) che l’esercito avrebbe voluto riconosciuto come capo delle forze armate dal nuovo governo.

Al-Sarraj ha nominato ministro della Difesa un uomo di Tobruk, Mahdy Ibrahim al Barghty, bilanciandolo col ministro degli Interni legato a Tripoli (Aref al Khoga, considerato molto vicino ai gruppi filo-islamisti che controllano la capitale libica) per ottenere il consenso dei Fratelli Musulmani, movimento rappresentato dal partito Giustizia e Costruzione, molto forte nella capitale dove dovrebbe insediarsi il nuovo governo, ma nemico giurato di Haftar che considera tutti gli islamisti terroristi. La credibilità del nuovo esecutivo e della comunità internazionale che lo sostiene verrà presto messa alla prova dalla necessità di fermare il rapido espandersi dello Stato Islamico. Le sue milizie attaccano i siti petroliferi tra Brega e Ras Lanuf, minacciano Bengasi, sono molto forti nei dintorni di Derna, controllano la costa della Tripolitania a ovest di Sirte e stanno acquisendo posizioni importanti nell’area di Sabratha, tra Tripoli e il confine tunisino, ma avanzano anche a sud, verso Sebha.

In ogni scontro sostenuto, le forze dello Stato Islamico si sono dimostrate tatticamente superiori ai loro avversari libici incluse le occasioni, come ad Agedabia, dove la scorsa settimana miliziani si sono ritirati in buon ordine per evitare di finire accerchiati da forze soverchianti. Al-Sarraj potrebbe chiedere aiuti internazionali per combattere lo Stato Islamico ma, per non irritare le milizie che sostengono il suo governo, dovrebbe limitarsi a chiedere interventi aerei e supporto in termini di addestramento e consulenza. In pratica interventi limitati che non risulterebbero risolutivi e richiederebbero una lunga campagna ricca di incognite. Nei giorni scorsi i sorvoli di aerei francesi Rafale, o degli stessi velivoli consegnati da Parigi al governo egiziano, avevano rafforzato il sospetto che fossero già iniziati i raid contro le colonne dell’Isis colpite da “aerei misteriosi” recentemente presso Sirte e Bengasi.

Anche la Germania si è resa disponibile a inviare truppe per «aiutare a stabilizzare la Libia», ma potrebbe trattarsi solo di istruttori che Berlino vorrebbe inoltre schierare in Tunisia per non esporli ad azoni terroristiche. Negli ultimi giorni il governo italiano sembra valutare, almeno come precauzione, opzioni di intervento non solo limitate a istruttori per le reclute libiche e a forze destinate a presidiare le istituzioni del governo a Tripoli: missione già di per sé rischiosa in termini di esposizione dei nostri militari al pericolo di attentati e attacchi specie dopo le recenti e reiterate minacce rivolte a Roma dallo Stato Islamico e da al-Qaeda nel Maghreb Islamico. La Difesa ha, infatti,  trasferito da Treviso alla base siciliana di Trapani 4 cacciabombardieri Amx giustificando il rischieramento con esercitazioni nei poligoni sardi e la necessità di aumentare la sorveglianza sul Mediterraneo Centrale. Gli Amx però sono cacciabombardieri non pattugliatori marittimi, e la loro mobilitazione va forse interpretata come un avvertimento agli “interventisti” francesi che anche l’Italia è pronta a intervenire nella sua ex colonia.

Il reparto di aerei italiani si aggiunge al dispositivo navale Mare Sicuro che da mesi incrocia al largo delle coste libiche e potrebbe costituire un deterrente a difesa degli interessi nazionali, primo tra tutti il terminal gestito dall’Eni del gasdotto Greenstream che si trova a Melitha, a ovest di Tripoli e non lontano dalle postazioni dello Stato Islamico a Sabratha.  Proprio lì i jihadisti dispongono di un campo d’addestramento utilizzato dai foreign fighters tunisini e nei giorni scorsi erano trapelate voci di un attacco alle installazioni dell’Eni poi smentite dall’amministratore delegato Claudio Descalzi. Più che a una campagna militare contro lo Stato Islamico, le forze aeree e navali italiane sembrano quindi pronte a difendere le installazioni e i lavoratori dell’Eni in Libia in attesa dell’auspicato consolidamento del nuovo governo e soprattutto del suo insediamento a Tripoli.