Il figliol prodigo di Chagall, la ritrovata serenità
Una delle più famose trasposizioni su tela del racconto della parabola del Figliol Prodigo risale al 1975 ed è custodita da un fortunato collezionista privato. Chagall la dipinse nel 1975, esule che sogna ancora la sua patria, la Russia. Perché, finalmente, tutto è dove deve essere e va dove deve andare.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, si commosse, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
Una delle più famose trasposizioni su tela del racconto della parabola del Figliol Prodigo risale al 1975 ed è custodita da un fortunato collezionista privato, in quel di Saint Paul de Vence. L’immagine, però, è pubblica e nota ai più: rappresenta l’abbraccio tra il Padre e il Figlio, anzi, tra un figlio e un padre, il cui gesto gratuito è ciò che ciascuno di noi davvero in cuor suo desidera. E che, evidentemente, desiderava anche Moishe Segal, dal nome russo difficile da pronunciare e impossibile da trascrivere in caratteri alfabetici nostrani. Professione, pittore; origine, ebraica chassidica. Il mondo, senz’altro quello occidentale, lo conosce meglio come Marc Chagall.
Nel 1975 Marc ha 88 anni. Ne ha fatta di strada, non solo professionale. Ha partecipato alla rivoluzione russa, è sopravvissuto a due guerre mondiali, ha sperimentato la condizione di esule negli Stati Uniti e in Francia, divenuta poi sua patria adottiva, ha perso una moglie e, artisticamente parlando, ha attraversato l’esplosivo e ruggente avvicendarsi delle avanguardie del Novecento. Un vero ebreo errante, com’era solito, del resto, raffigurarsi nei suoi dipinti. Tutto questo senza mai dimenticare, però, le sue origini, la sua amata Russia e, soprattutto, il suo paese natale, Vitebsk.
Ne riconosciamo il profilo sull’orizzonte della tela: le case assiepate, le cupole della cattedrale ortodossa della Dormizione, il sentiero che arriva al centro della scena. Se è vero che i personaggi sembrano fluttuare nel vuoto possiamo però affermare che il riferimento del luogo e dello spazio è qui ben chiaro. E che quindi questo è, in ogni senso, un ritorno alla casa del padre.
Un qui, dunque, preciso, ma non un “ora”. La dimensione tempo non è contemplata e si dissolve nel turbinio dei personaggi variopinti che popolano la tavola. Le vesti dei due protagonisti, certo non afferenti il tempo della vita di Gesù, sono di gusto contemporaneo al pittore, per sottolineare che in ogni giorno e in ogni istante è possibile che si compia l’attesa di quell’abbraccio.
Tutti sono chiamati a partecipare: la sposa, la giovane donna con un beneaugurante mazzo di fiori, il violinista, il rabbino con il libro delle Sacre Scritture, i musicisti , le madri coi loro bambini, un gallo e il maestro stesso, in basso a destra, con la tavolozza tra le mani.
A guardarlo bene tutto il quadro è un avvolgente girotondo di case, persone e colori, che si mischiano tra loro circondando i due uomini al centro, segno, nella loro semplice gestualità, dell’amore incondizionato che si trasforma, inevitabilmente, in una festa corale. L’azzurro dello sfondo, le tonalità accese sparse ovunque, il sole così giallo e luminoso che risplende su una vita nuova, anzi, rinnovata, contribuiscono a creare un’atmosfera gioiosa, di ritrovata serenità e di pace. Perché, finalmente, tutto è dove deve essere e va dove deve andare.