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TEORIE

Il fantasma della decrescita

Tanti parlano di "decrescita" senza sapere cosa sia. Ma la filosofia di Serge Latouche disconosce la persona e il suo sviluppo, vuole la riduzione della presenza dell'uomo nel creato e porta a nuove forme di totalitarismo. Ce ne parla il giornalista e saggista Nicola Iannello (Istituto Bruno Leoni).

Creato 03_10_2014
Serge Latouche

Uno spettro si aggira per l’Europa: è quello della “decrescita”. È la teoria del filosofo francese Serge Latouche che intenderebbe invertire la mentalità economica capitalista: invece che pensare a crescere, dobbiamo decrescere, diminuire la produzione e il consumo, per tornare a una società agricola che lui giudica più sana dell’attuale.

Tanti parlano di decrescita senza neppure sapere cosa sia, perché ormai è diventata una moda. Il giornalista e saggista Nicola Iannello, nella sede del think tank Istituto Bruno Leoni, a Milano, mercoledì scorso ha spiegato, punto per punto, di cosa si tratti. Prima di tutto il suo presupposto ecologista: Latouche dà per scontato che le risorse del pianeta siano limitate mentre lo sviluppo economico è potenzialmente illimitato. Dunque la sua soluzione è elementare: sfruttiamo meno il pianeta e vivremo (come specie) più a lungo. Questa è già una premessa errata, basata sugli studi del Club di Roma, già ampiamente smentite dalla realtà dei fatti. La popolazione mondiale cresce, cresce l’industrializzazione, crescono i consumi, ma sempre meno persone muoiono di fame. Questo perché non esiste un “limite” alle risorse sfruttabili: siamo noi uomini a trasformare materia inanimata in risorsa. Il petrolio, tanto per fare un esempio facile, era solo un liquido sporco, prima che qualcuno iniziasse a usarlo come combustibile per produrre energia. Latouche ritiene che viviamo nel peggiore dei mondi sinora esistiti e predica il ritorno al passato. Ma nei suoi studi non esiste alcun riferimento alle condizioni di vita del passato. Che mortalità infantile c’era fino alla generazione dei nostri bisnonni? Che speranza di vita c’era? Come vivevano i contadini alla mercé degli elementi naturali? Come vivono i popoli in via di sviluppo, che Latouche vorrebbe “salvare” dalla crescita? Tutte domande che restano prive di risposta.

Sarebbe facile smontare la filosofia di Latouche, a partire dalla sua falsa premessa. Eppure la sua teoria va di moda e oggi ne vediamo tracce ovunque, nelle nostre élite culturali, politiche ed economiche. Ne abbiamo parlato con Nicola Iannello, a margine dell’incontro di Milano, per conoscere un po’ meglio le ricadute pratiche di questa ideologia. «L’influenza della teoria della decrescita sul dibattito politico è molto maggiore di quanto non sembri – ci spiega Iannello – L’idea che si possa istituire un “reddito di cittadinanza” viene da lì, per esempio. È la convinzione che ognuno possa ottenere qualcosa dalla società (come se esistesse un’entità senziente chiamata “società”), senza lavorare, senza contribuire alla creazione di ricchezza. Ma anche tante altre proposte, come l’imposizione di un reddito massimo oltre al quale non si può guadagnare, l’imposizione di un reddito minimo garantito, le tasse punitive sui carburanti per aerei e automobili (che Latouche vorrebbe eliminare), le tasse patrimoniali, sono tutte ricollegabili al pensiero di Latouche. Anche se non è lui ad averne l’esclusiva. Bisogna vedere a chi si rifà lo stesso autore francese, che inizialmente era un marxista, poi è diventato qualcos’altro, un socialista verde, ecologista. Latouche è uno dei tanti critici del sistema di libero mercato, da Marx, assorbe la critica al capitalismo, ma a Marx contesta l’ammirazione per il capitalismo, che il padre del comunismo vedeva come uno stadio necessario e auspicabile prima dell’affermazione del socialismo».

Latouche non crede nella persona, crede nella collettività. Ritiene che la persona, lasciata libera di decidere, si condanni all’atomismo e sfaldi la società. Condanna senza riserve l’individualismo, in tutte le sue espressioni e ritiene che l’individuo abbia un peccato originale da cui derivano tutti gli altri problemi: l’hybris, la superbia. Per questo ritiene che la persona debba essere ri-inquadrata nella comunità e obbligata a limitarsi, sia nella produzione che nei consumi. Queste premesse vanno radicalmente contro la dottrina cattolica, che invece pone la persona al centro e promuove il suo sviluppo integrale, non solo economico, ma anche morale e spirituale. Ma gli argomenti di Latouche compaiono spesso e volentieri anche nel pensiero cattolico. Come si spiega? «Non è facile individuare un pensiero economico cristiano – premette Iannello – L’economista austriaco Ludwig von Mises (1881-1973) riteneva che dal Vangelo non scaturisse alcuna filosofia politica, né alcuna dottrina economica in particolare. Questo forse contribuisce a spiegare perché frange della Chiesa siano tentate anche da teorie anti-capitaliste. Teorie che prendono piede soprattutto fra coloro che operano a contatto con realtà pre-capitaliste. Essi vedono in queste società una “purezza” che intendono difendere, contro società mercantili più sviluppate, concepite come corrotte dalla strumentalizzazione dell’uomo. Latouche fa breccia in una certa parte del mondo cattolico, soprattutto nella Teologia della Liberazione, in America latina. E c’è una relazione anche evidente fra Teologia della Liberazione e decrescita: entrambe sono schierate contro la “occidentalizzazione” delle società più arcaiche. Ma c’è un motivo per cui queste ultime siano tentate dallo sviluppo capitalista: nei forum internazionali sono soprattutto i contadini dei Paesi in via di sviluppo che chiedono il libero scambio, perché stanno uscendo dalla miseria e vogliono continuare su questa strada. La teoria della decrescita, così come le richieste di protezionismo dei nostri contadini, il chilometro 0 e l’esaltazione dell’agricoltura primitiva, sono lussi che possono permettersi solo i popoli ricchi».

Decrescita fa anche rima con denatalità: l’idea ecologista che, per consumare meno risorse dobbiamo essere di meno. Latouche si fa portavoce di chi crede che ogni uomo abbia la sua “impronta ecologica” che pesa sulla biosfera. Ed è convinto che la nostra attività di uomini lasci alle generazioni future un “debito ecologico”, che deve essere il più possibile ridotto. «Su questo punto Latouche è molto vago – ci spiega Iannello – affronta il problema della “sovrappopolazione”, ma non si fa prendere la mano da teorie denataliste. Teme la sovrappopolazione, ma si rende contro che, in questo campo, non si può intervenire con metodi dispotici. Certo, però, che ci sono frange estreme del pensiero ecologista, che si richiamano anche a Latouche e individuano nell’uomo il vero cancro del pianeta, ne auspicano la scomparsa, o quantomeno la drastica riduzione della sua presenza. L’insospettabile scienziato politico Giovanni Sartori, per esempio, si inserisce in questo filone e lancia l’allarme demografico in modo ricorsivo». Dalla decrescita all’estinzione, insomma, il passo (teorico) è molto breve. Forse chi vanta di essere decrescitista, per far bella figura nei salotti buoni della cultura “consapevole”, non si rende conto che dovrebbe estinguersi, per dare veramente l’esempio.