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CLIMA

Il fallimento della Cop26 è notizia buona ma non troppo

Come previsto la Conferenza internazionale sul clima di Glasgow finisce con un accordo di facciata che maschera l'impossibilità di realizzare gli obiettivi fissati. Ciò non toglie che si rafforzino politiche climatiche e ambientali autolesioniste per l'Occidente.

Creato 13_11_2021
Manifestazione degli attivisti del clima a Glasgow

Tutto come previsto. Il circo del clima che si ripete ogni anno finisce con un accordo di facciata che indica la direzione ma nell’impossibilità di realizzare gli obiettivi impossibili che la propaganda ecologista vorrebbe. Così il documento che uscirà dalla Cop26 (la Conferenza internazionale sul clima) di Glasgow (e che al momento in cui scriviamo non ha avuto ancora l’approvazione dei partecipanti) è vago abbastanza per non vincolare nessuno e per scontentare l’universo ecologista.

La Conferenza sul clima avrebbe dovuto finire ieri pomeriggio, ma come accade ormai puntualmente in queste conferenze la difficoltà di trovare un testo che tutti possano firmare fa sì che il negoziato si protragga ulteriormente. In ogni caso con l’ultima bozza circolata ieri sono chiari i punti fondamentali. Ai paesi sono chiesti impegni a diminuire le emissioni di anidride carbonica (CO2) ma è fallito il tentativo di anticipare al 2022 anziché mantenere al 2025 l’impegno a rivedere al rialzo il proprio impegno. Si chiede di tagliare gli impianti energetici a carbone, ma solo quelli che non usano tecnologia per “catturare il carbonio”, e più in generale l’uso dei combustibili fossili.

Soprattutto però il nodo resta sempre quello economico, ovvero chi e quanto pagare: i cosiddetti paesi ricchi nel 2009 si sono impegnati a garantire entro il 2020 100 miliardi di dollari l’anno ai paesi poveri sia per fronteggiare i danni dei cambiamenti climatici sia per investimenti nell’economia “verde”. Nel 2019 (ultimo dato disponibile) si è arrivati invece a 80 miliardi e ad andare bene quota 100 non sarà raggiunta prima del 2023, con grande disappunto dei paesi poveri (peraltro l’Italia è quella più indietro con le promesse, versando finora appena il 15% di quanto stabilito, che è 4 miliardi di dollari).

Si diceva: tutto come previsto. Malgrado la grande propaganda e le attese gonfiate della vigilia, infatti, era assurdo aspettarsi qualcosa di diverso. Il vero problema è che l’Occidente è ormai schiavo e vittima della sua propria ideologia, e non sa come tirarsene fuori. Dopo aver fatto propria la narrazione della catastrofe climatica incombente e della CO2 come imputato principale, ora di conseguenza deve fare i conti con una transizione energetica a tappe forzate che – questa sì – è catastrofica per le varie economie nazionali. Tanto è vero che proprio in questi giorni a Glasgow l’Unione Europea, per alleggerire il peso, ha fatto in modo di far rientrare il gas nel computo delle energie rinnovabili, almeno “per una fase transitoria”.

Per evitare il disastro i paesi occidentali cercano di imporre le loro regole ai paesi emergenti, ma la risposta è ovviamente negativa. Nessun paese vuole volontariamente impoverirsi o rinunciare ai mezzi per il proprio sviluppo: l’Arabia Saudita è uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio, l’Australia è uno dei maggiori produttori di carbone, la Russia è ricca di petrolio, gas e carbone, la Cina è il più grande produttore e consumatore mondiale di carbone. Qualcuno può seriamente aspettarsi che questi paesi decidano di chiudere miniere e pozzi in nome di una teoria scientifica le cui basi sono molto traballanti per non dire false? E infatti i leader di Cina e India non si sono neanche presentati a Glasgow.

Ci sono poi i paesi più poveri che bussano a quattrini giocando sull’altro aspetto della narrazione che è diventata la cultura dominante in Occidente, cioè che i cambiamenti climatici catastrofici sono stati causati dalle industrie occidentali e danneggiano invece i paesi più poveri. Così si è messa in moto l’infernale macchina dei risarcimenti “storici” ormai inarrestabile. In sintesi, i paesi occidentali stanno distruggendo le loro economie e in sovrappiù devono anche risarcire i paesi poveri.

Se però le Conferenze internazionali sul clima possono essere considerate un fallimento rispetto agli obiettivi fissati, ciò nondimeno rafforzano l’applicazione di politiche ambientali ed energetiche autolesioniste. E questa non è comunque una buona notizia.