Il discorso più lungo al Congresso, lo show di Donald Trump
Il discorso-fiume di Donald Trump riguarda tutti i temi a lui cari, fra cui la lotta all'immigrazione, l'abbandono delle politiche verdi e la "rivoluzione del buon senso" contro la rivoluzione woke. Ma c'è anche un po' di imperialismo, una nota stonata.

Il più lungo discorso di un presidente al Congresso: Trump ha parlato di fronte alle camere riunite per un’ora e quaranta minuti, senza pause e imbastendo uno show come solo lui sa fare. Cita episodi celebri nella cronaca americana, onora gli ospiti, sbeffeggia gli oppositori, coinvolge i suoi ministri, fa ironia sulla sua egolatria (definendosi migliore di George Washington), in quasi due ore di puro intrattenimento che spiegano come mai sia così popolare negli Usa, a un mese dal suo insediamento. Tecnicamente non si è trattato di un discorso dello Stato dell’Unione, ma di un discorso di inizio mandato, una tradizione inaugurata da Ronald Reagan nel 1981 e seguita da quasi tutti i suoi successori.
L’opposizione dei Democratici appare ancora disorientata e infantilizzata. A parte le giacche rosa, i piccoli cartelli con scritte come “non è normale” e “bugia”, i fischi e i boati in alcune parti del discorso, l’unica contestazione è stata quella dell’anziano senatore texano Al Green che, agitando la sua gruccia, ha urlato ripetutamente “stai uccidento Medicare”, cioè il programma di sanità pubblica per gli over 65.
Trump ha avuto modo di illustrare in lungo e in largo il suo programma, mostrando quali siano le sue vere priorità: immigrazione, lotta all’inflazione e ordine pubblico. Poi seguono i dazi e infine, buon’ultima, la politica estera, a cui dedica solo una piccola parte del discorso. Come nel giorno della sua inaugurazione, torna a parlare dell’origine pionieristica degli Stati Uniti e della nuova frontiera, nello spazio. Con un obiettivo chiaro: piantare la bandiera a stelle e strisce su Marte.
L’inflazione viene affrontata con crudo realismo. Cioè con un forte aumento della produzione energetica, uscendo da ogni forma di Green Deal, nazionale e internazionale. E poi con forti tagli alla spesa pubblica: « Appena entrato in carica, ho imposto un congelamento immediato di tutte le assunzioni federali, di tutte le nuove normative federali e di tutti gli aiuti esteri». Fra gli aiuti esteri che il Doge (il dipartimento per l’efficienza del governo guidato da Elon Musk) ha tagliato, ci sono delle vere e proprie chicche, che Trump elenca con gusto: «Ascoltate solo alcuni degli sprechi spaventosi che abbiamo già identificato. 22 miliardi di dollari dal Dipartimento della Salute per fornire alloggi e auto gratuiti agli immigrati clandestini. 45 milioni di dollari per borse di studio per la diversità, l'equità e l'inclusione in Birmania. 40 milioni di dollari per migliorare l'inclusione sociale ed economica dei migranti sedentari. Nessuno sa cosa sia. 8 milioni di dollari per promuovere le persone LGBTQI+ nella nazione africana del Lesotho, di cui nessuno ha mai sentito parlare».
L’elenco va avanti a lungo, sono stati tagliati fondi anche per il cambio di sesso dei topi. Ma se questo è l’aspetto più pittoresco della manovra, la parte seria è nell’obiettivo: il raggiungimento del pareggio di bilancio. Se le tasse verranno tagliate, come promesso, i minori introiti saranno forse compensati dai dazi, ma soprattutto il grosso della manovra dovrà consistere in un forte dimagrimento dello Stato, come i licenziamenti a raffica di queste settimane stanno già dimostrando. Per la prima volta intende mettere mano alla previdenza sociale, rendendo note, anche qui, diverse truffe finora tollerate: «Conosco alcune persone piuttosto anziane, ma non così tanto. 3,47 milioni di persone dai 120 ai 129 anni, 3,9 milioni di persone dai 130 ai 139 anni. 3,5 milioni di persone dai 140 ai 149 anni. E molti di loro ricevono dei soldi (della pensione, ndr) (…) E una persona risulta avere 360 anni, più di 100 anni più vecchia del nostro paese».
Trump si sofferma molto sulla “rivoluzione del buon senso” come ama chiamarla: «Abbiamo eliminato il veleno della teoria critica della razza dalle nostre scuole pubbliche. E ho firmato un ordine che rende ufficiale la politica del governo degli Stati Uniti secondo cui esistono solo due generi, maschile e femminile. Ho anche firmato un ordine esecutivo per vietare agli uomini di giocare negli sport femminili». E rende omaggio alla sua ospite Payton McNabb, che tre anni fa, durante una partita di pallavolo è stata ferita e resa invalida da un giocatore trans, molto più forte del consentito.
Anche nelle scuole sarà fatta piazza pulita dei programmi gender: «Ho firmato un ordine esecutivo che vieta alle scuole pubbliche di indottrinare i nostri figli con l'ideologia transgender. Ho anche firmato un ordine per tagliare tutti i finanziamenti dei contribuenti a qualsiasi istituzione che si impegni nella mutilazione sessuale dei nostri giovani. E ora voglio che il Congresso approvi una legge che vieti e criminalizzi in modo permanente i cambiamenti di sesso sui bambini e metta fine per sempre alla menzogna che qualsiasi bambino sia intrappolato nel corpo sbagliato. Questa è una grande bugia. E il nostro messaggio a ogni bambino in America è che siete perfetti esattamente come Dio vi ha creati».
L’immigrazione resta al centro dell’attenzione del presidente. Non annuncia uno stop generalizzato agli stranieri, ma il tentativo di ammettere un’immigrazione di alta qualità. Quindi viene istituita la carta verde (permesso di residenza) per i milionari, la “carta d’oro”, per chi porta negli Usa più di 5 milioni di dollari. E annuncia una caccia di talenti nelle migliori università straniere. Per gli immigrati illegali, invece, più nessuna tolleranza. Significativa è l’importanza data alle vittime delle gang latino-americane, come Laken Riley, a cui viene dedicata la nuova legge che impone la detenzione degli immigrati illegali e Jocelyn Nungary, una bambina di Houston assassinata da venezuelani di una gang, a cui viene dedicato il nome di un parco naturale nella regione di Galveston, nel Golfo del Messico… pardon, Golfo d’America, come Trump l’ha appena ribattezzato.
Proprio a questo proposito, l’aspetto più inquietante di tutto il discorso è il nazionalismo, che sta prendendo una piega imperialista, nel vero senso del termine. «Per migliorare ulteriormente la nostra sicurezza nazionale, la mia amministrazione rivendicherà il Canale di Panama. E abbiamo già iniziato a farlo. Proprio oggi, una grande azienda americana ha annunciato che sta acquistando entrambi i porti intorno al Canale di Panama». Un acquisto che fa seguito a pressioni fortissime sul governo di Panama, a cui il presidente Jimmy Carter aveva ceduto il canale, costruito dagli americani più di un secolo fa. Secondo la stessa logica, gli inglesi e i francesi potrebbero rivendicare il Canale di Suez.
«E stasera ho anche un messaggio per l'incredibile popolo della Groenlandia. Sosteniamo con forza il vostro diritto a determinare il vostro futuro – dice Trump - E se lo vorrete, vi accoglieremo negli Stati Uniti d'America. Abbiamo bisogno della Groenlandia per la sicurezza nazionale e anche per quella internazionale. E stiamo lavorando con tutti i soggetti coinvolti per cercare di ottenerla. Ma ne abbiamo davvero bisogno per la sicurezza mondiale, e penso che la otterremo. In un modo o nell'altro, la otterremo». Tutto bene finché si parla di autodeterminazione del popolo groenlandese che, a breve, voterà sulla sua indipendenza. Ma quel “in un modo o nell’altro la otterremo” suona sinistramente simile ai discorsi che Pechino fa su Taiwan.
Ed è strano, almeno a orecchie europee, che un discorso simile venga fatto da un presidente che vuole essere ricordato come un pacificatore. Perché sul Medio Oriente ha annunciato che riprenderà il percorso degli Accordi di Abramo, per la normalizzazione dei rapporti fra Israele e i regni sunniti. Mentre ha ribadito che punta alla pace il prima possibile in Ucraina, ottenendo anche da Zelensky (nonostante la lite di venerdì 28 febbraio) la promessa della firma di un accordo. L’imperialismo ostentato nei confronti di Panama e della Groenlandia, oltre alle continue pressioni sul Canada e sul Messico, a cui sta imponendo dazi del 25%, sono note veramente stonate in un’agenda di pace.