Il demografo e l'economista bocciano il Ddl Lepri
Non inverte il trend negativo delle culle vuote; non incide sulle fasce medie; è ideologicamente orientato ai poveri. E soprattutto danneggia chi ha più figli. Abbiamo chiesto ad un economista e ad un demografo di leggere con noi il Ddl Lepri che il Pd spaccia come la panacea per un'inversione demografica. Risultato? Un provvedimento inutile e a tratti dannoso. "Serve il Fattore famiglia, a costo di sacrifici. Francia, ma anche Lombardia dimostrano che è solo questione di volontà politica".
“Sulle politiche familiari siamo ancora fermi al regalino fiscale, ma servirebbe ben altro”. E’ lapidario il demografo Giancarlo Blangiardo nel commentare per la Nuova BQ il Ddl Lepri che rivoluzionerà il sistema degli assegni familiari. Il provvedimento ha alcune luci (4 miliardi in più stanziati dal governo e un allargamento anche alle partite Iva e agli incapienti), ma anche tante ombre. Prima tra tutte il peggioramento di condizione per le famiglie numerose che con l’entrata in vigore della riforma che ha come primo firmatario Stefano Lepri vedrebbero ridursi addirittura l’attuale assegno percepito. Ma sul provvedimento pesa soprattutto l’insufficienza di risposte rispetto ad una crisi demografica spaventosa.
Ne è convinto anche Blangiardo, il quale ricorda come “pur con tutte le attenuanti (impegno del Governo, vincoli di bilancio etc…) la coperta resti sempre la stessa, sempre corta, e la riforma si traduca né più né meno in un regalino di Stato”. La legge infatti destina l’assegno più corposo (200 euro) a chi ha figli nella fascia 0-3 anni, riducendosi a 150 nella fascia 3-18. “Ma è sbagliato perché un provvedimento affinché abbia senso dovrebbe accompagnare per tutti gli anni di crescita”.
C’è poi un aspetto non secondario: “Se vuoi davvero rilanciare la fecondità bisogna innalzare l’attuale soglia che inchioda l’Italia a 470mila nati all’anno; bisogna fare sì che vengano aiutate le fasce intermedie, se invece si parte sempre dall’idea che bisogna aiutare solo “i poveri” non si andrà mai ad incidere. Così per come sono strutturati i bonus al di sopra di una certa soglia di reddito c’è l’esclusione, ma non si comprende che il grosso della popolazione in questo modo si difenderà con il figlio unico”.
Che fare? “O si fa qualche cosa di più impegnativo e non solo fiscale, ma anche nei servizi, oppure non si va da nessuna parte”.
Blangiardo fa notare come le imprese private questo principio l’abbiano compreso favorendo i nidi aziendali o aiutando le lavoratrici a lavorare da casa con lo smart working. Misure, tra l’altro, contemplate dal Piano Famiglia elaborato anche dal demografo della Bicocca durante il governo Berlusconi ter e approvate dal governo Monti, ma che giacciono tuttora nel cassetto.
Tutto il resto sono chiacchiere, oltre che un paragone impietoso con quanto accade in Europa: basta scollinare le Alpi e in Francia si può vedere come i nostri odiati cugini si siano attrezzati. “In Francia sono 4 milioni in più di noi, ma hanno 350mila nati in più rispetto all’Italia: 470mila noi e quasi 800mila nuovi nati sotto la tour Eiffel. Merito del quoziente familiare che i francesi hanno introdotto e che sta dando frutti. Perché il vero cambiamento è il passaggio che si determina dal primo al secondo figlio, quello è il vero scatto perché un figlio prima o poi lo fanno tutti. Ma è con il secondo che avviene lo scatto e questo scatto dovrebbe essere favorito. Invece, se le leggi ti costringono a frenarti proprio in fase di crescita...”.
Concetti simili, anche se il giudizio negativo sul Ddl è più sfumato, sono espressi dall’economista dell’Università di Bologna Stefano Zamagni, che fa notare come il Ddl penalizzi le famiglie numerose per il semplice fatto che non portano in dote voti: “La verità è che le famiglie numerose sono poche e hanno pochi voti, non interessano a nessuno. In ogni caso la vera riforma sarebbe quella del Fattore famiglia, che però non si vuole portare a compimento”, spiega Zamagni alla Nuova BQ.
Secondo il docente alla fine la clausola di salvaguardia per le famiglie numerose verrà introdotta “proprio perché essendo poche non costringeranno lo Stato ad un esborso eccessivo, ma se lo Stato non si doterà di un vero quoziente familiare come in Francia non si andrà da nessuna parte”. Zamagni riconosce che un merito il Ddl Lepri ce l’ha: aver sdoganato il tabù della crescita zero “che ormai è riconosciuto da tutti”, ma nessun governo ha il coraggio di introdurre il Fattore famiglia perché costringerebbe le casse dello Stato a fare sacrifici per un lasso di tempo di 5-7 anni nel corso dei quali si procederà con il doppio binario. “Ci sarebbe una duplicazione di spesa per preparare il fattore famiglia e nessun governo vuole fare questo sacrificio. Eppure è l’unica strada”.
Può darsi che tra qualche anno le condizioni saranno favorevoli una volta superata la crisi “come ci dicono le proiezioni dei centri studi come Prometeia, che ha elaborato un modello econometrico in base al quale nel 2026 saremo fuori dalla crisi a livello nazionale. 9 anni, diciamo che ci consola, ma in questi nove anni che si fa? Certe riforme vere bisogna prepararle per tempo. Non si può pensare di approfittare di una nuova fase di sviluppo per finanziare forme neo consumistiche”.
Dunque, Fattore famiglia rimandato ancora? Sembra di sì, anche se lo stesso Zamagni riconosce che in fondo è soltanto una questione di volontà politica. Come dimostra il caso della Lombardia. “La Lombardia lo sta mettendo in pratica. D’altra parte ha dieci milioni di abitanti dunque ha un sesto degli abitanti del Paese. Potrebbe farlo anche l’Emilia Romagna? Certo, ma in fondo è soltanto una questione di volontà politica. Se vogliamo invertire il bassissimo tasso di fertilità non bastano le misure fiscali, ci svuole un nuovo modello di welfare che è quello generativo, non è sufficiente aumentare il reddito disponibile. Chi ha esperienza di figli sa che non ci sono solo i costi figurativi. Se anche ti do cinquecento euro in più al mese, ma non creo un network ad esempio di asili nido, la famiglia come fa a gestire la cosa? Si riprodurrebbe il trade off con la donna che sta a casa, ma perderebbe il reddito che potrebbe ottenere lavorando fuori”.
Eppure si torna sempre lì: al paragone impietoso con l’estero. Quando vado in giro per l’Italia a fare conferenze la prima domanda che faccio è: quanti figli hai? Il tasso di chi ha quattro o più figli è ridottissimo. Sono invece tornato dagli Stati Uniti e ho constatato come moltissimi miei colleghi abbiano chi cinque chi sei figli. Sta cambiando l’approccio, ma altrove. Qui ci culliamo sugli allori”.