Il Comune esce dal cartello della propaganda Lgbt
La Giunta di Trieste ha deliberato l’uscita dalla rete Re.a.dy, che riunisce enti della pubblica amministrazione contro la discriminazione. Quindi la giunta Dipiazza è per la discriminazione? Per Arcigay, certamente sì. In realtà proprio la Re.a.dy era discriminante ed esserne usciti è segno di giustizia e di vera tolleranza perché era il volano per l’inserimento a tappeto nelle scuole della propaganda gender ed omosessualista. Il ruolo decisivo, di stimolo culturale, svolto da cattolici impegnati che hanno "addestrato" consiglieri e assessori.
La Giunta comunale di Trieste ha deliberato l’uscita dalla rete Re.a.dy, che riunisce enti della pubblica amministrazione contro la discriminazione. Quindi la giunta Dipiazza è per la discriminazione? Per Davide Zotti, dell’Arcigay, certamente sì. Anche per Antonella Grim, triestina, coordinatore regionale del PD. Ed anche per la giunta regionale della Serracchiani la quale, proprio nello stesso giorno e in aperta polemica con la decisione della giunta triestina, è entrata in una analoga rete antidiscriminazione. Si è ripetuto quanto successo per lo striscione su Regeni: quando il comune ha tolto lo striscione dal palazzo comunale, la Serracchiani si è fatta riprendere mette lo faceva appendere sul balcone del palazzo regionale con vista mare. Trieste, città internazionale, cade spesso in questi provincialismi.
Che la giunta Dipiazza-Roberti (è il caso di citare anche il vicesindaco perché la Lega ha svolto un ruolo di primo piano nella vicenda) non sia per la discriminazione deriva dal fatto che, invece, proprio la Re.a.dy era discriminante ed esserne usciti è segno di giustizia e di vera tolleranza. Come è ormai arcinoto, quella Rete interna alla pubblica amministrazione era il volano per l’inserimento a tappeto nelle scuole della propaganda gender ed omosessualista. Era quella Rete a garantire i finanziamenti e i contatti tra enti pubblici (Regione, Comuni, Asl soprattutto…) ed associazionismo Lgbt, a cui venivano appaltati i corsi di educazione sessuale o all’affettività con gli esiti perversi che tutti conosciamo. Ad essere discriminata era la realtà rispetto all’ideologia, erano le famiglie rispetto ad istituzioni educative che pretendevano che i figli fossero loro.
La scelta del comune triestino è quindi importante, supera il livello locale e indica la possibilità di una controtendenza. Si trattava di un punto preciso del programma con cui l’anno scorso il centro-destra ha vinto le elezioni sull’ex sindaco Roberto Cosolini, che si era messo in evidenza in tutt’altro senso: registrazione di matrimoni gay contratti all’estero (prima della legge Cirinnà) e istituzione del Registro delle Dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT), che tra l’altro era stato anche un flop dato che vi finora hanno partecipato poco più di un centinaio di cittadini. Ora quell’impegno, assieme al ritiro del “Gioco del rispetto” dalle scuole comunali, è stato onorato e questo fa onore alla politica che di solito queste cose se le dimentica strada facendo.
E’ bene però collocare la decisione della giunta nel suo preciso contesto. Sia chiaro: al momento dell’insediamento della nuova giunta molti assessori non sapevano nemmeno cosa fosse la Re.a.dy. Alla politica sono quindi arrivati input provenienti da altri luoghi della società civile. Con un editoriale del direttore, Il settimanale diocesano “Vita Nuova” aveva chiesto molti anni fa – si era ancora nell’era Cosolini, ossia in pieno governo della sinistra – che il Comune di Trieste uscisse dalla Re.a.dy. La questione era stata posta quindi già in epoca non sospetta. Lo stesso settimanale diocesano ha tenuto sveglia l’attenzione sul tema gender nelle scuole con una focalizzazione assidua. Dai famosi opuscoli UNAR fino allo scandalo dei finanziamenti del ministero delle pari opportunità ai centri di pratica omosessuale, il settimanale non ha perso un colpo. Ha perfino redarguito il nuovo sindaco quando la giunta ha gettato la spugna nella concessione della Sala matrimoni del comune alle celebrazioni delle unioni civili.
In precedenza era scoppiato il caso del “Gioco del Rispetto” che un genitore, Amedeo Rossetti, aveva fatto salire alla ribalta della cronaca nazionale. Sono nati anche molti comitati di genitori in difesa dei loro figli. Da tre anni, infine, si svolge a Trieste la Scuola diocesana di dottrina sociale della Chiesa che su questi punti è molto precisa e decisa. Alcuni partecipanti alla Scuola sono ora presenti in Consiglio comunale.
Tutto questo non ha certamente determinato direttamente le decisioni della giunta, ma senz’altro ha creato a Trieste un ambiente nuovo: alla nuova giunta sono arrivate sollecitazioni precise su alcuni punti del programma, la vita della politica sui temi etici è sotto osservazione, nella società civile vari soggetti pungolano e si fanno sentire. Se quindi all’inizio molti assessori non sapevano nemmeno cosa fosse la Re.a.dy, in seguito le cose sono cambiate. La politica è fragile e quindi non bisogna farsi tanti illusioni. Ma se c’è una società civile, anche con la presenza intelligente dei cattolici sensibili a queste problematiche (che sono pochi ma possono are molto), che agisce, contatta, propone, controlla, stimola … le cose possono cambiare.
Ne è stata prova quando la stessa giunta voleva sì uscire dalla Re.a.dy ma alla chetichella, per non creare scompiglio politico. Bastava far scadere l’iscrizione e si sarebbe stati fuori senza dirlo e quindi senza polemiche. Ma ecco un nuovo editoriale sul settimanale diocesano che diceva no a questa operazione in sordina, l’uscita doveva essere un chiaro atto politico e simbolico e andava fatta alla luce del sole. Come alla fine è stato.