“Il cattivo poeta”, un uomo al crepuscolo ma temuto dal Duce
Si sofferma sugli ultimi due anni di vita di Gabriele D’Annunzio “Il cattivo poeta”, primo film di Gianluca Jodice. Attingendo a documenti storici, la pellicola racconta la diffidenza crescente del Vate, in esilio volontario al Vittoriale, verso le scelte di Mussolini. E, pur nella particolarità di D’Annunzio, stimola una riflessione sulle nuove dittature dei giorni nostri.
Gli ultimi due anni di vita di Gabriele D’Annunzio, in esilio volontario al Vittoriale e sempre più preoccupato per le scelte di Mussolini, ma prigioniero della sua immagine di eroe-combattente. Questo racconta l’opera prima di Gianluca Jodice, regista, soggettista e sceneggiatore della pellicola storica “Il cattivo poeta”. Il Vate deve confrontarsi con il suo destino di uomo che ama un Paese che si avvia inesorabilmente verso la tragedia, per la sciagurata alleanza del Duce con Hitler.
“Cattivo poeta” per Mussolini, dunque, ma non necessariamente per noi, che pur non lo consideriamo tra i nostri autori preferiti, forse proprio per quell’esasperato gusto estetizzante che gli fece privilegiare il culto della sensazione e lo stupefacente artificio della parola al mistero della grande poesia. Il Duce, in effetti, considerava D’Annunzio (1863-1938) un personaggio pericoloso. Pur avendo profittato ampiamente del suo genio della parola (dell’eclettico scrittore abruzzese sono celebri slogan come Eia eia alalà, che suscitavano l’entusiasmo degli italiani), Mussolini aveva elaborato una strategia piuttosto spiccia verso di lui: “D’Annunzio è come un dente guasto: o lo si ricopre d’oro o lo si estirpa”.
Perciò l’apparato fascista, ben rappresentato nella sua volgare rigidità formale negli enormi palazzi del potere, decide di controllare da vicino l’Immaginifico, che si aggira nella sua sontuosa e crepuscolare villa del Vittoriale, in cui è relegato. È lì ormai da 15 anni, dopo la spettacolare ma fallimentare impresa di Fiume. Prima il regime offre al poeta ininfluenti cariche onorifiche e cospicue somme di denaro per accontentare i suoi capricci architettonici e ornamentali per la sua splendida villa sul Garda, impedendo così che il Vate possa ancora orientare la politica italiana. Ma in seguito, per evitare ogni interferenza inopportuna, viene inviato a spiarlo il giovane segretario federale di Brescia, Giovanni Comini. In precoce carriera, convinto esecutore degli ordini del segretario del Partito fascista, Achille Starace, Comini si introduce negli ambienti raffinati del Vittoriale con il compito di riferire fedelmente ogni pensiero e ogni mossa di D’Annunzio. Così il ragazzo, ingenuamente incatenato alla speranza di quel mondo nuovo promesso dal fascismo, si impegna seriamente nella missione assegnata, ma non può non essere toccato dall’indubitabile carisma che ancora emana il Poeta-Vate, magistralmente interpretato da Sergio Castellitto.
Lo sguardo magnetico, la loquela affascinante che ha catturato tanti giovani e soprattutto le più belle donne del tempo, non abbandonano l’anziano, irascibile e apparentemente rassegnato D’Annunzio, circondato da adulatori interessati e signore avide e innamorate. Anche Comini “cade” nella rete, aprendo però lentamente gli occhi su quella dittatura di cui si fidava ciecamente ma che invece gli porterà via in modo tragico persino la fidanzata. “Tu sarai testimone della mia veggenza”, dice il poeta al giovane federale, che progressivamente riduce i suoi rapporti riservati al regime e sicuramente omette definizioni compromettenti espresse dall’eroe di Fiume, ad esempio quella fulminante che inquadra Hitler come un “ridicolo nibelungo truccato da Charlot”.
Anzi, la giovane spia riesce addirittura ad organizzare un incontro veloce tra D’Annunzio e Mussolini in occasione dell’arrivo in treno del Führer a Verona, in viaggio verso Roma, per suggellare l’infausta alleanza tra Italia e Germania. Incontro segnato dalla vergognosa ingratitudine del Duce per quel condottiero ancora così osannato, ma ormai convinto che bisogna diffidare di chi per parlare “ha bisogno di un balcone”. Il dissenso del poeta fa vacillare le certezze del Comini, sempre più affezionato al vecchio e malato Comandante, vittima della sua vita dissoluta, ma ancora lucido e orgoglioso profeta della grandezza di un popolo forte e coraggioso come quello italiano. Il rapporto tra i due e gli abitanti di contorno della villa è raccontato attingendo fedelmente ai dialoghi storici documentati da scritti e testimonianze, scelta che dà un carattere di autenticità a tutto il film.
“Sono tempi dal cielo chiuso”, proclama D’Annunzio-Castellitto, tempi simili ai nostri. Il cattivo poeta è un’occasione di seria e inaspettata riflessione su un passato oscuro, attraverso le vicende di un personaggio storico al crepuscolo, maltrattato e in fondo mai profondamente capito. E non intendiamo affatto farne un bilancio definitivo adesso, ma ci sembra che l’uomo rassegnato e stanco del film, ben lontano dalla figura del superuomo d’azione dell’immaginario collettivo, possa offrirci una “lettura” del potere e del pensiero dominante utile per tutti i tempi, dunque anche per la nostra realtà. Il suo spirito libertario e anticonformista può stimolare la nostra coscienza critica verso un mondo contemporaneo facile preda dell’omologazione e di nuove “dittature del pensiero”, così pervasive e nascoste, grazie alle tecnologie più raffinate.
Ieri il pericolo erano la guerra e la perdita di libertà dovute a una cieca dittatura rappresentata per di più da modeste e grossolane figure di secondo piano. Oggi l’allarme è legato alla nostra salute minacciata da virus misteriosi e da nuove perdite di libertà che ci chiedono di rimanere vigili e capaci di spirito critico. La storia ci insegna comunque - e il film di Jodice ce lo mostra con grande efficacia - che l’asservimento al potere non è mai condizione di verità per l’uomo. E anche D’Annunzio può diventare in questo senso testimone interessante e convincente.