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IL RICORDO

«Il carisma di Giussani è ancora vivo»

Rievocando la sua amicizia con il fondatore di CL, il Papa ha spronato i sacerdoti della Fraternità San Carlo a seguirne l'esempio.

Attualità 14_02_2011
Giussani

Sabato scorso Benedetto XVI ha ricevuto in udienza in occasione del venticinquesimo anniversario della sua nascita la Fraternità sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, guidata dal fondatore e superiore generale monsignor Massimo Camisasca.

La Fraternità è nata venticinque anni fa dal movimento di Comunione e Liberazione, e conta venticinque case in sedici Paesi del mondo, con centoquattro preti e quaranta seminaristi. «Questo momento riporta alla mia memoria la lunga amicizia con monsignor Luigi Giussani [1922-2005] e testimonia la fecondità del suo carisma». Ricordando la sua amicizia con Comunione e liberazione, il Pontefice ha svolto considerazioni molto significative sulle relazioni che intercorrono fra i movimenti e le vocazioni sacerdotali, che non di rado da essi scaturiscono e con essi mantengono in varie forme un legame.

Incontrando
dei sacerdoti provenienti dall’esperienza di un movimento laicale, il Papa si è proposto di rispondere a due domande: «Qual è il posto del sacerdozio ordinato nella vita della Chiesa? Qual è il posto della vita comune nell’esperienza sacerdotale?». Ai sacerdoti della Fraternità San Carlo il Papa ha detto che «la vostra nascita dal movimento di Comunione e Liberazione e il vostro riferimento vitale all'esperienza ecclesiale che esso rappresenta, pongono davanti ai nostri occhi una verità che si è andata riaffermando con particolare chiarezza dall'Ottocento in poi e che ha trovato una significativa espressione nella teologia del Concilio Vaticano II. Mi riferisco al fatto che il sacerdozio cristiano non è fine a se stesso. Esso è stato voluto da Gesù in funzione della nascita e della vita della Chiesa. Ogni sacerdote, perciò, può dire ai fedeli, parafrasando sant'Agostino [354-430]: Vobiscum christianus, pro vobis sacerdos [con voi cristiano, per voi sacerdote]».

Il sacerdozio, cioè, «rappresenta una vocazione bellissima e singolare all'interno della Chiesa, che rende presente Cristo, perché partecipa dell’unico ed eterno Sacerdozio di Cristo», ma è sempre radicato e inserito in una specifica comunità. A proposito di Comunione e Liberazione il Papa ha sottolineato che «la presenza di vocazioni sacerdotali è un segno sicuro della verità e della vitalità di una comunità cristiana. Dio infatti chiama sempre, anche al sacerdozio; non vi è crescita vera e feconda nella Chiesa senza un'autentica presenza sacerdotale che la sorregga e la alimenti». Perché la presenza sacerdotale in una comunità o movimento nasca e dia frutto è necessaria «innanzitutto un'educazione profonda alla meditazione e alla preghiera, vissute come dialogo con il Signore risorto presente nella sua Chiesa. In secondo luogo, uno studio della teologia che permetta di incontrare le verità cristiane nella forma di una sintesi legata alla vita della persona e della comunità: solo uno sguardo sapienziale può infatti valorizzare la forza che la fede possiede di illuminare la vita e il mondo, conducendo continuamente a Cristo, Creatore e Salvatore».

La Fraternità San Carlo sottolinea in particolare «il valore della vita comune» tra sacerdoti. «Anch'io – confida il Papa – ne ho parlato più volte nei miei interventi prima e dopo la mia chiamata al soglio di Pietro. “È importante che i sacerdoti non vivano isolati da qualche parte, ma stiano insieme in piccole comunità, si sostengano a vicenda e facciano così esperienza dello stare insieme nel loro servizio a Cristo e nella rinuncia per il regno dei Cieli e ne prendano anche sempre più coscienza” (Luce del mondo, Città del Vaticano 2010, 208). Sono sotto i nostri occhi le urgenze di questo momento. Penso per esempio alla carenza di sacerdoti. La vita comune non è innanzitutto una strategia per rispondere a queste necessità. Essa non è neppure, di per sé, solo una forma di aiuto di fronte alla solitudine e alla debolezza dell'uomo. Tutto questo ci può essere, certamente, ma soltanto se la vita fraterna viene concepita e vissuta come strada per immergersi nella realtà della comunione. La vita comune è infatti espressione del dono di Cristo che è la Chiesa, ed è prefigurata nella comunità apostolica».

La vita comune tra sacerdoti non è dunque soltanto un’opportunità che garantisce vantaggi pratici, ma è anzitutto un’esperienza spirituale. «Vivere con altri significa accettare la necessità della propria continua conversione e soprattutto scoprire la bellezza di tale cammino, la gioia dell'umiltà, della penitenza, ma anche della conversazione, del perdono vicendevole, del mutuo sostegno».

La vita comune rimanda, ancora un volta, a un tema che nelle ultime settimane Benedetto XVI ha trattato più volte in relazione al sacerdozio e alle vocazioni: il primato della preghiera. «Nessuno può assumere la forza rigenerante della vita comune senza la preghiera, senza guardare all’esperienza e all'insegnamento dei santi, in particolar modo dei Padri della Chiesa, senza una vita sacramentale vissuta con fedeltà. Se non si entra nel dialogo eterno che il Figlio intrattiene col Padre nello Spirito Santo nessuna autentica vita comune è possibile. Occorre stare con Gesù per poter stare con gli altri. È questo il cuore della missione». La preghiera non distoglie mai dalla missione. Al contrario, ne è il cuore e l’anima.