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SUD AMERICA

Il Brasile dopo Dilma Rousseff

La Camera ha votato per l'impeachment di Dilma Rousseff, la presidente del Brasile. Ora si attende solo la conferma del Senato. La presidente lascia un paese in profonda crisi, dopo anni di politiche populiste di sinistra, basate sulla spesa pubblica. Chi le succederà? Uomini già nel mirino dei magistrati.

Esteri 19_04_2016
Dilma Rousseff

Dilma Rousseff ha incassato il voto di impeachment della Camera e attende quello del Senato. E’ ben più che un voto di sfiducia, come quello che può incassare un nostro ministro o un nostro governo. Si tratta di un vero e proprio licenziamento a furor di parlamento, una dichiarazione che il capo di Stato è inadatto al suo ruolo. Il Senato ha già una maggioranza contraria alla presidente Dilma Rousseff ed è molto probabile che confermi l’impeachment. In questo caso, la Rousseff sarà sospesa per poter essere processata. L’accusa è pesante: avrebbe contribuito a truccare i conti pubblici.

I numeri dell’impeachment permettono di capire appieno quanto in basso sia scivolata la fiducia e la fedeltà alla ex dissidente (ai tempi della dittatura militare) subentrata a Lula. Sono 367 i deputati che hanno votato per il suo impeachment contro 137 che l’hanno appoggiata, 7 si sono astenuti. Anche nel paese la sua popolarità è scesa ai minimi termini. Il 63% esprime un parere fortemente negativo nei confronti del suo mandato (sondaggio Datafolha) e solo il 13% ne ha un’idea positiva. La causa immediata è nello scandalo emerso nell’indagine “Lava Jato”, il mercato delle tangenti di Petrobras, la compagnia petrolifera di Stato, che ha coinvolto tutto il Partito dei Lavoratori. Tutti i grandi nomi del partito e uomini del business che ruotavano al suo governo sono coinvolti, ormai. Già nella precedente inchiesta “Mencelao” (mercato elettorale) erano finiti in carcere Jose Dirceu (capo di stato maggiore di Lula), Jose Genoino (segretario del Partito), Henrique Pizzolato (direttore marketing del Banco do Brasil). Con “Lava Jato”, oltre all’ex presidente, sono stati arrestati Marcelo Odebrecht (immobiliarista), Joao Vaccari (tesoriere del Partito), Nestor Cervero (ex direttore esecutivo di Petrobras)

Il tentativo di Dilma Rousseff di coprire Lula da Silva con un’offerta di un ministero, una volta smascherato dalla stampa, ha dato il colpo di grazia a lei e a tutto il Partito dei Lavoratori. Benché ora la capo di Stato si stia battendo come una leonessa, lanci accuse di “golpe” della magistratura e degli ex alleati socialdemocratici del Pmdb, dichiari di volersi battere sino all’ultimo e definisca “oltraggioso” il comportamento dei deputati, la sua è ormai una carriera tramontata. Si chiude un’epoca, quella della sinistra populista brasiliana. Ora potrebbe lasciar spazio alla sinistra riformista del Pmdb, molto più propensa ad accettare riforme sul lavoro (nel senso di maggior flessibilità), meno spesa sociale, fissare un’età minima pensionabile più compatibile col bilancio, riformare i programmi sociali, tagliare le spese obbligatorie per sanità e istruzione, liberalizzare il mercato del petrolio. Il mondo del business, dopo gli ultimi anni di crisi, ci spera. Ma chi guiderebbe il nuovo corso?

I papabili sono già tutte “anatre zoppe” nel mirino della magistratura. Il più probabile successore in linea diretta è il vicepresidente Michel Temer, presidente del Pmdb, fresco di rottura della coalizione della maggioranza. E’ un giurista molto quotato, considerato un po’ un uomo senza volto, capace di galleggiare fra politiche di riforme liberali (negli anni ’90) ad altre di riforme socialiste (negli anni 2000), senza mai perdere la faccia e soprattutto senza mai esporsi. Solo ora, in tempo di crisi, sta rivelando una grinta notevole. E la sua, volontaria o meno, diffusione di un messaggio audio in cui parla di un “governo di responsabilità nazionale” capace di sostituire la Dilma Rousseff, suona effettivamente un po’ come un golpe novecentesco. E per questo piace a un’opinione pubblica esasperata. Il problema con la magistratura, però, può rivelarsi molto pesante nel caso dovesse diventare capo di Stato: è accusato di coinvolgimento in un mercato illegale di etanolo. Se non dovesse essere lui il prossimo presidente, la palla passerebbe al presidente della Camera, Eduardo Cunha (altro politico che la Rousseff accusa di “golpismo”). Ma anche lui vive sotto la spada di Damocle della magistratura: verrà processato dalla Corte Suprema dietro accuse di corruzione e riciclaggio di denaro sporco legato allo scandalo Petrobras. E’ accusato di aver intascato almeno 5 milioni di dollari in tangenti. Quanto a Renan Calheiros, presidente del Senato, è anch’egli accusato di aver ricevuto tangenti da Petrobras, oltre che di aver evaso le tasse.

Se il “più pulito ha la rogna”, chi governerà il Brasile? Direttamente la magistratura? A giudicare dalla popolarità e dalla potenza di immagine degli attuali magistrati d’assalto, parrebbe proprio di sì: dopo aver passato un periodo di dittatura militare, potrebbe essere l’ora delle toghe. In ogni caso, qualcuno deve governare il Brasile e stabilizzarlo in fretta. Prima delle Olimpiadi, che sono alle porte. E prima di un collasso economico conclamato, visto che il Pil si è contratto del 3,8% nel 2015 (ed è la crisi peggiore dal 1981), l’inflazione è al 10,7% e la disoccupazione è al 9%. Meno che in Italia, ma un record per quella che era considerata una tigre economica del mondo in via di sviluppo.