Il 2025, anno della Regalità sociale di Cristo
A dicembre ricorrono i 100 anni dell’enciclica Quas primas sulla Regalità sociale di nostro Signore Gesù Cristo. Un tema che dopo il Vaticano II è stato completamente ripensato, con una drammatica involuzione.

Questo 2025 sarà l’anno della Regalità sociale di nostro Signore Gesù Cristo dato che ricorre il centesimo anniversario dell’enciclica Quas primas (11 dicembre 1925) con cui Pio XI stabilì la relativa dottrina e fissò la data della festa liturgica. Ad essere precisi, la data esatta cadrà nel prossimo mese di dicembre, ma, data la sua importanza, l’evento sarà celebrato con varie iniziative durante tutto l’anno. Anzi, una rivista come la madrilena Verbo vi ha dedicato ampia attenzione già negli ultimi fascicoli dell’anno scorso.
Poiché siamo all’inizio di questa annata, mi permetto di segnalare un libro di padre Claude Barthe la cui lettura può essere molto utile per prepararsi. Eccolo: Troverà ancora la fede sulla terra? La crisi della Chiesa dopo il Vaticano II (Fede & Cultura, Verona, 2024). È un testo di grande intelligenza che parte dalla Chiesa del Sillabo e dalle sue ambiguità, passa attraverso gli anni Cinquanta del XX secolo in particolare nella Chiesa francese (anni, questi, nei quali era già stata improntata tutta la rivoluzione successiva), esamina la Nouvelle Théologie e un abbozzo di tentativo di resistenza e poi entra nel merito del Concilio Vaticano II. Lo fa con grande equilibrio, evidenziando la lotta ecclesiale dei due partiti teologici che, al loro interno, avevano poi diverse sfaccettature. Molto importanti le riflessioni su Paolo VI, il cui “carattere esitante” era la “principale risorsa dei conciliaristi”. Entra nel merito dei documenti conciliari, soffermandosi soprattutto sullo “spirito del Concilio” evidente in modo particolare nella riforma liturgica.
Due sono gli aspetti principali di questa articolata e avvincente analisi. Il primo è la “volontaria astensione alla funzione di insegnamento supremo… con l’obiettivo di realizzare una apertura verso il mondo” (p. 102). Numerosi gli esempi: dalla questione del comunismo ai mancati pronunciamenti sulla Vergine Maria fino al tema della collegialità episcopale, non sufficientemente chiarito nemmeno nella Nota explicativa praevia di Paolo VI. L’altro tema è quello dell’ecumenismo che, secondo Barthe, era il vero e proprio tema di punta della riforma conciliare, sulla scia delle indicazioni fornite in precedenza da Yves Congar e tramite lo strumento del Segretariato per l’unità dei cristiani guidato dal cardinale Augustin Bea.
Questo ultimo punto in particolare riguarda direttamente il tema della Regalità sociale di Cristo che, dopo il Vaticano II, dovette essere completamente ripensato. Il decreto Unitatis redintegratio, che “non contiene la minima definizione dottrinale, per quanto indiretta, dell’ecumenismo” (p. 109), richiedeva il principio della libertà di religione, che infatti fu proclamato nella dichiarazione Dignitatis humanae, l’ultimo documento ad essere licenziato dai Padri. Ma la libertà di religione comportava l’assoluta laicità dell’autorità politica e richiedeva il superamento della visione precedente circa i rapporti tra le due autorità, quella spirituale e quella temporale, superando il regime di “tolleranza” per le altre religioni e vietando al potere politico di concedere qualche beneficio ad una religione, se non per motivi contingenti, senza farlo anche con le altre. La dichiarazione di Abu Dhabi di Francesco è figlia dello stesso processo, un processo diametralmente opposto a quello della Regalità sociale di nostro Signore Gesù Cristo.
Stefano Fontana