I turchi e il secondo massacro armeno
I turchi e il massacro degli armeni che erano sfuggiti alla pulizia etnico-religiosa e che si erano rifugiati nelle zone conquistate dai russi. Il nuovo libro dello storico Alberto Rosselli sulla caduta dell'Impero Ottomano.
Alberto Rosselli è uno dei miei storici preferiti, sia per la miniera di notizie che fornisce, sia per la sua attitudine a esplorare angoli nascosti o poco illuminati della Storia. L’ultima sua fatica è l’intrigante La caduta dell’impero ottomano. Le radici della politica di Erdogan (ArchivioStoria, pp. 200, €. 18). Infatti, com’è noto, Erdogan non fa mistero di voler tornare ai fasti di Solimano il Magnifico.
Come mio solito, poiché in un articolo non c’è spazio per riassumere testi dettagliati e complessi come questo, ritaglierò un aspetto più interessante per i lettori della Bussola, il genocidio degli armeni perpetrato dai Giovani Turchi di mazziniana ispirazione. Com’è noto, l’impero ottomano combatté la Grande Guerra a fianco degli imperi centrali, e soprattutto contro l’eterna nemica, la Russia, con cui condivideva la maggior parte dei confini. Ebbene, assolutamente impreparata a una guerra moderna (si pensi che i soldati turchi erano i soli a non avere neanche un elmetto, bensì un copricapo di tela e sughero brevettato dal ministro dell’interno Enver Pascià, che se ne arricchì), malgrado i consiglieri militari tedeschi e austriaci l’unica cosa su cui poteva contare era la cocciutaggine della sua «carne da cannone», da sempre abituata a obbedire perinde ac cadaver al Capo, sultano, califfo o presidente che fosse.
Fu per questo che, a prezzo di un massacro immane, i turchi vanificarono lo sbarco anglo-australiano-indiano a Gallipoli, costringendo il Lord dell’Ammiragliato, Churchill (sì, proprio lui) a un penoso reimbarco. Ma fu praticamente l’unico successo della guerra, perché la superiorità schiacciante degli inglesi, in uomini, organizzazione e mezzi, nel 1917 li aveva già condotti a un passo dal tracollo. L’unica speranza di evitare la disfatta si affacciò quando, grazie a Lenin, il fronte russo collassò. L’esercito e la marina zaristi, fomentati dalla propaganda bolscevica, si ammutinarono uno dopo l’altro, fino a che Lenin, finanziato all’uopo dai tedeschi, chiamò unilateralmente fuori la Russia dalla guerra.
Imbaldanziti, i turchi si accinsero a rioccupare tutte le terre settentrionali che i russi avevano strappato loro. Nell’avanzare, però, da buoni turchi si misero a massacrare sistematicamente tutti gli armeni che erano sfuggiti alla pulizia etnico-religiosa e che si erano rifugiati nelle zone conquistate dai russi. «Le divisioni di Costantinopoli dilagarono quindi in Armenia, Azerbaigian e Georgia, approfittando dell’occasione per sterminare le colonne di profughi e le residue bande armate armene che tentavano disperatamente di mettersi in salvo».
Ad Aleksandropol una brigata di seimila armeni fu circondata. «Ben conoscendo il loro destino, i combattenti cristiani si trincerarono su un colle e per dieci giorni opposero una disperata resistenza, venendo infine sopraffatti e massacrati fino all’ultimo uomo». Né i nuovi russi erano meglio: «Ingannate dai bolscevichi (quasi nessun capo comunista, Lenin incluso, aveva mai manifestato alcun tipo di simpatia nei confronti della minoranza cristiana dell’Anatolia e del Caucaso), le comunità armene superstiti cercarono di nascondersi nelle più remote regioni montuose dell’ex impero russo.
Mossa che si rivelò però fatale. I profughi cristiani dovettero, infatti, vedersela anche con le feroci minoranze musulmane del Caucaso. Temendo un’infiltrazione cristiana in Georgia e in Azerbaigian, le tribù tartare ed azere di queste due regioni attaccarono le colonne dei nuovi arrivati, trucidandone a centinaia». Com’è noto, i responsabili della ignobile ancorché stupida mattanza finirono sparati a Berlino da studenti armeni. Tranne Enver Pascià, che si mise in testa di far fare il jihad ai musulmani russi e finì spacciato dai comunisti. Ma tutto il libro è da segnalare, non ultima la parte in cui ridimensiona il mito di Lawrence d’Arabia.