I russi nei cieli d'Europa, quelle routine spacciate per emergenze
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Le operazioni russe nei cieli del Baltico sono routine ma passano nei media e nelle dichiarazioni dei governi interessati come gravi emergenze. A chi interessa veramente alzare inutilmente il livello di scontro con Mosca?

Allarmi per sconfinamenti quotidiani nei ristretti corridoi aerei del Baltico spacciati per attacchi aerei russi, le consuete (si tengono ogni 4 anni) esercitazioni Zapad tra russi e bielorussi presentate come una minaccia d’invasione contro cui erigere fortificazioni reticolati, campi minati, trincee e cavalli di Frisia. Droni russi che arrivano sulla Polonia, tenuti insieme dal nastro isolante, come relitti caduti in Ucraina, e rimessi in sesto per farli atterrare nei campi o sul tetto di una conigliera in una fattoria polacca.
E ancora. Un Mig russo si sarebbe avvicinato a bassa quota a una piattaforma petrolifera polacca. Il governo lancia l’ennesimo allarme, ma gli stessi vertici della guardia di frontiera e delle forze armate negano sia stato violato lo spazio aereo di Varsavia e siano state attivate le difese aeree. Ieri, droni di origine sconosciuta seminano il caos negli aeroporti di Oslo e Copenhagen, i cui governi puntano il dito contro Mosca anche se i velivoli non vengono certo dalla Russia ma, come sostengono tutti gli esperti di aeronautica, sarebbero decollati da breve distanza dagli aeroporti e sono con ogni probabilità droni di tipo commerciale, non militare.
In Estonia il passaggio di routine di aerei militari russi nello stretto corridoio aereo ai limiti dello spazio aereo dei paesi rivieraschi (tutti membri della Nato) spacciato per un’aggressione premeditata. I caccia italiani basati in Estonia raggiungono gli “intrusi” e li scortano oltre i confini aerei estoni ma i giornali parlano di “intercettazioni” e addirittura di “abbattimenti”. Lo stesso linguaggio utilizzato dal premier Donald Tusk, dal presidente ceco Petr Pavel, dal governo estone e dall’Alto rappresentante Ue Kaja Kallas, che hanno tutti evocato senza riserve la necessità di abbattere gli aerei russi che sconfinano.
Una minaccia che preoccupa per le possibili conseguenze di un gesto simile, ma che fa anche sorridere tenuto conto che nessuna delle tre repubbliche baltiche dispone di aerei da combattimento né di missili antiaerei impiegabili contro obiettivi a quote medio-alte. Quindi gli alleati baltici vorrebbero che ad abbattere i Mig russi provvedessero i caccia italiani e di altre nazioni Nato che proteggono lo spazio aereo delle tre repubbliche.
Se a questa già lunga lista di “provocazioni russe” aggiungiamo il sabotaggio del Gps dell’aereo del presidente von der Leyen in atterraggio in Bulgaria, ma smentito dalle stesse autorità di Sofia il sospetto che tutti questi allarmi costituiscano in realtà pretesti mal costruiti per chiamare gli alleati a raccolta evocando l’Articolo 4 della Nato (dopo la Polonia lo ha fatto anche l’Estonia) nel macabro e sempre più fallimentare tentativo di mobilitare l’opinione pubblica a favore di un riarmo massiccio che non possiamo permetterci.
Lo spauracchio dei russi pronti a marciare sull’Europa, rispolverato in questi giorni da leader europei e ufficiali britannici, sembra voler animare in Nord Europa la paura per un attacco russo. Per il governo di Tallinn la violazione dello spazio aereo sul Mar Baltico è stata di “un’audacia senza precedenti” anche se su quelle acque e in quei corridoi aerei ristretti episodi del genere ne capitano spesso, tanto da essere considerati routine da un esperto quale il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica. «È ormai la regola che eventi rientranti altrimenti nell’ordinaria quotidianità vengano ingigantiti nei loro contenuti negativi, caricati di significati eccessivi, in una irresponsabile gara a chi sia più convincente nel descrivere le prospettive nefaste dei vari accadimenti», ha scritto sul quotidiano Il Tempo.
Routine, non solo in Europa, per chi ricorda innumerevoli episodi analoghi durante la prima guerra fredda, ma oggi evidentemente baltici e nord europei puntano a esagerare o costruire ad hoc episodi su cui scatenare allarmismi, ben sostenuti dalla Ue e da alcune nazioni europee.
Mosca ha respinto ogni accusa e, se è comprensibile che non ci si fidi dei russi, è certo che non possiamo fidarci neppure dei governi europei, della Ue o della Nato, la cui propaganda spesso raffazzonata ci racconta frottole da tre anni e mezzo provocando reazioni sdegnate anche a livello istituzionale. Dopo la vicenda dei droni russi penetrati in Polonia il presidente Karol Nawrocky, supportato dai servizi segreti, ha invitato il governo guidato da Donald Tusk a non raccontare bugie perché «non c’è consenso nel nascondere informazioni».
Uno sforzo propagandistico a cui collaborano da anni quasi tutti i media che in questo conflitto sostengono oltre i limiti del ridicolo la narrazione politica facendo da cassa di risonanza, spesso in modo acritico, a ogni allarme anti-russo alimentata dall’Unione Europea e da diversi governi nazionali. Che questo sforzo unidirezionale possa dipendere anche dal miliardo di euro di fondi pubblici che la Ue (Commissione e Parlamento) ha elargito a media anche italiani, è una valutazione che lasciamo ai lettori.
Di certo questa pioggia di attacchi dal cielo attribuiti ai russi coincide in concomitanza con la discussione del 19° pacchetto di sanzioni alla Russia, ulteriore operazione suicida per le nazioni europee che viene così sostenuta da una robusta e reiterata dose di russofobia. Un’operazione di propaganda malfatta e grottesca. La polizia danese non è stata in grado di confermare il tipo o il numero di droni avvistati ma ha reso noto che probabilmente erano pilotati da un "operatore capace" che voleva "essere notato". Ciò nonostante la premier danese Mette Frederiksen afferma che "non può' essere esclusa" la responsabilità di Mosca, di cui è ovviamente certo invece il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e la Commissione Europea, ormai un ufficio alle dipendenze di Kiev.
Sui droni all'interno dei confini Ue «abbiamo visto uno schema chiaro e punta sulla Russia» ha detto la portavoce della Commissione Anitta Hipper. «La Russia sta testando i nostri confini», ha affermato con certezza anche se Oslo dista 822 chilometri e Copenhagen 515 dal territorio russo più vicino a Kaliningrad: un po’ troppi per droni come quelli avvistati. Di fatto stiamo assistendo allo stesso schema di dichiarazioni utilizzato per settimane quando i leader europei accusavano i russi di aver distrutto i gasdotti Nord Stream, guarda caso sempre nel Mar Baltico.
L’aspetto preoccupante dell’intera vicenda è legato alle reali motivazioni di questa campagna. L’opzione più immediata è che sia stata orchestrata per alzare l’asticella dell’escalation con la Russia, impegnata a demolire le forze armate ucraine e che ieri ha annunciato di aver conquistato gran parte della roccaforte ucraina di Kupyansk, nella regione di Kharkiv. L’obiettivo sarebbe quindi quello di mobilitare l’opinione pubblica sulla minaccia russa per favorire il via libera a sanzioni e piani di riarmo europei. Credibile, ma ci sono almeno due ipotesi alternative.
La prima è legata alla decisione del Pentagono, sostenuta dalla Casa Bianca, di abrogare il finanziamento della Baltic Security Initiative, varata nel 2020 e che ha permesso ai baltici di ricevere gratis molte armi statunitensi. Ora Trump è sempre disposto a fornirle, ma non certo gratis. Comprensibile che nelle capitali baltiche qualcuno punti a ingigantire incidenti e minaccia russa per favorire un ripensamento a Washington. Infine, l’ipotesi più preoccupante, resa credibile dalle dichiarazioni bellicose di chi vorrebbe abbattere gli aerei russi sul Baltico, è che alcuni leder di nazioni europee e della Nato cerchino il “casus belli” con la Russia per trascinarci tutti in guerra.
Considerato che queste nazioni sono tutte dei "nani" militari, con l’esclusione della sola Polonia, si comprende bene perché vogliano portare in guerra Ue e Nato, i cui organismi centrali sembrano peraltro sostenerne queste aspirazioni bellicose. Più difficile invece comprendere perché altre nazioni europee li assecondino invece di censurare con fermezza questa corsa verso il baratro.