I rischi del flop della controffensiva ucraina
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Mentre in Europa lo stallo del contrattacco ucraino è tenuto in sordina, negli USA perplessità su una controffensiva che si misura “in metri”. A rischio il massimo supporto militare dall’Occidente nel Vertice NATO di Vilnius dell'11 e 12 luglio.
Gli scarni comunicati dei comandi militari di Kiev riferiscono di una “controffensiva lenta ma che procede secondo i piani” ma l’assenza di dettagli sugli sviluppi delle battaglie (che abbondano invece sui canali Telegram militari russi) che da un mese infiammano tutti i fronti ucraini sono la migliore conferma del sostanziale stallo del contrattacco che vede gli ucraini tentare di forzare le difese russe soprattutto sul fronte meridionale e orientale, nelle regioni di Zaporizhia e Donetsk.
Mentre in Europa e in Italia la questione viene tenuta in sordina da gran parte di politici e media, negli Stati Uniti non mancano le perplessità sull’andamento della controffensiva ucraina e la CNN sottolinea come le conquiste territoriali ucraine si misurino “in metri”.
Le Forze ucraine, nell'ultima settimana, hanno riconquistato 9 chilometri quadrati sul fronte di Donetsk e 28 chilometri quadrati su quello di Zaporizhia, ha fatto sapere lunedì il vice ministro della Difesa, Hanna Malyar. Sommati ai 130 chilometri quadrati che la stessa fonte aveva affermato fossero stati conquistati nelle tre settimane precedenti i successi territoriali vantati dagli ucraini non raggiungono la superficie dell’isola d’Elba (223 kmq).
Inoltre anche queste conquiste sono effimere poiché si tratta per lo più di territori che restano nella “terra di nessuno”, cioè nella “zona grigia” in cui i due contendenti si fronteggiano con repentine avanzate e ritirate attraverso villaggi fantasma rasi al suolo dalle artiglierie.
A sud la “Linea Surovikin” costruita dai russi per proteggere l’accesso alla Crimea e al Mare d’Azov resiste e le forze ucraine, pur a prezzo di gravi perdite in uomini e mezzi (anche quelli forniti dall’Occidente come i carri armati Leopard 2 e i cingolati Bradley) combattono duramente contro i russi lungo la linea degli avamposti che anticipa la prima delle tre linee fortificate erette dalle truppe di Mosca.
A est gli ucraini hanno conseguito qualche successo a nord e a sud di Bakhmut (l’eterna battaglia) dove i russi hanno costituito due salienti, territori da loro controllati che si spingono verso ovest rispetto alla linea del fronte.
L'esercito ucraino non ha ancora dispiegato tutto il suo potenziale e le sue riserve, ha assicurato il generale Oleksandr Syrskyi, comandante delle forze terrestri, spiegando che le sue truppe devono superare ampi campi minati e linee di difesa pesantemente fortificate attaccando il nemico senza avere alcun supporto aereo o quasi.
La controffensiva «va un po' piano, ma questo fa parte della natura della guerra», ha detto prudentemente il capo delle forze armate USA, generale Mark Milley, ma quasi nessuno ha evidenziato che più a nord, ai confini tra le regioni di Luhansk e Kharkiv, sono i russi ad avere assunto l’iniziativa avanzando gradualmente da diversi giorni verso i capisaldi di Kupyansk e Lyman.
Le truppe russe hanno respinto anche le limitate forze ucraine sbarcate sulla riva sinistra del Dnepr nella regione di Kherson: uno sbarco reso possibile dal ritiro obbligato delle forze di Mosca dalla riva del fiume dopo che il crollo della diga di Novaya Khakovka aveva spazzato via le difese russe in quel settore.
L’ampio impiego di fanterie prive di copertura aerea (di cui i russi invece dispongono in abbondanza) sta facendo aumentare sensibilmente le perdite ucraine, secondo alcune stime russe pari a oltre 20 mila caduti nel mese di giugno.
Il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, ha riferito che dal 4 giugno, giorno in cui è scattata la controffensiva, gli ucraini hanno perso un totale di circa 2.500 veicoli, mezzi, cannoni e armamenti pesanti mentre la contraerea russa ha abbattuto 158 missili HIMARS, 25 missili da crociera Storm Shadow e 386 droni ucraini (grazie anche ai sistemi di disturbo elettronico, come ha confermato al Financial Times il ministro della difesa ucraina Reznikov).
«Nel complesso, nessuno degli obiettivi del nemico in nessuna direzione è stato raggiunto» ha detto Shoigu aggiungendo che “la leadership ucraina, sotto la pressione dei suoi controllori occidentali, insiste affinché l'attacco continui nonostante le perdite significative”. Valutazioni a cui Kiev risponde annunciando di aver ucciso 230 mila soldati russi dall’inizio dell’operazione militare speciale di Mosca il 24 febbraio 2022.
Gli ucraini del resto hanno fretta e per sperare di continuare a ottenere il massimo supporto militare dall’Occidente devono presentarsi con qualche tangibile successo al Vertice NATO di Vilnius, l’11 e 12 luglio, in cui si discuterà anche della prossima adesione di Kiev all’Alleanza Atlantica, che sarà guidata per un altro anno dal segretario generale Lens Stoltenberg.
Un ennesimo posticipo al norvegese che secondo indiscrezioni dovrebbe consentire l’anno prossimo di ricoprire la carica civile più alta della NATO all’attuale presidente della Commissione UE (ed ex ministro della Difesa tedesco), Ursula von der Leyen.
Al Vertice in Lituania il governo ucraino, sostenuto da baltici e polacchi, vorrebbe una “road map” precisa e tesa al rapido ingresso di Kiev nella NATO, percorso osteggiato da molti stati europei e anche dagli USA che temono di trovarsi in stato formale di guerra con la Federazione Russa. Inoltre Stoltenberg ha già dichiarato in un paio di occasioni che la controffensiva deve permettere agli ucraini di riconquistare territori per potersi poi sedere da una posizione di maggiore forza al tavolo dei negoziati.
Posizione inaccettabile per Zelensky che dopo aver messo fuorilegge 12 partiti di opposizione, imbavagliato i media e rinviato le elezioni presidenziali del 2024 è oggi nelle mani degli ultra nazionalisti e non può certo permettersi di negoziare sulla base inevitabile di cessioni territoriali.
Anche considerando gli scarsi successi sui campi di battaglia, Zelensky è consapevole che potrà continuare a combattere solo grazie agli aiuti militari occidentali e potrà sperare di vincere solo portando le nazioni della NATO all’intervento diretto nella guerra.
Per questo Kiev e lo stesso Zelensky continuano ad accusare i russi di voler far esplodere la centrale nucleare di Energodar, che i russi controllano dall’inizio della guerra, nonostante sia gli USA sia l’agenzia nucleare dell’ONU (AIEA) che ha i suoi tecnici nella centrale abbiano smentito una simile ipotesi e un tale rischio.
Del resto dopo i gasdotti del Mar Baltico, il Ponte di Crimea e la diga di Novaya Khakovka è sempre più difficile continuare a sostenere che i russi distruggono le proprie infrastrutture. Peraltro una eventuale fuga di materiale radioattivo colpirebbe anche i russi in Ucraina e il territorio russo poiché il confine a est dista 200 chilometri dalla centrale atomica e la Crimea è ancora più vicina.
Mosca risponde affermando che la centrale è sotto controllo e accusa gli ucraini di volerla bombardare per attribuire ai russi un disastro radioattivo e trascinare l’Occidente nel conflitto.
Che Kiev cerchi un’escalation appare chiaro anche dai recentissimi attacchi con droni su Mosca e dall’impiego dei missili antiaerei americani Patriot per abbattere aerei nemici nello spazio aereo russo.
Proprio questo scenario pericoloso dovrebbe imporre a NATO e Ue di tenere sotto stretto controllo l’alleato ucraino che in assenza di successi militari potrebbe essere tentato dal giocare il tutto per tutto. A spese anche nostre.