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USA

I repubblicani scendono a patti sull'aborto

Passa alla Camera del Congresso una legge che vieta il finanziamento dell'aborto tardivo con fondi federali. Per i repubblicani che l'hanno proposta, non è una sconfitta, ma un compromesso rispetto alla prima proposta di legge, che prevedeva il divieto dell'aborto tardivo, oltre le 20 settimane di gravidanza.

Vita e bioetica 24_01_2015
Marcia per la vita

Con 242 voti contro 172, la Camera del Congresso statunitense ha approvato la nuova legge che vieta di finanziare l’aborto (oltre le 20 settimane) con fondi federali.

Non si tratta di una legge che vieta il finanziamento all’aborto in senso lato, ma solo di un provvedimento che bloccherà, d'ora in avanti i fondi federali allocati a Planned Parenthood e altre Organizzazioni non governative abortiste. Infatti il 45% degli introiti di Planned Parenthood provengono da fondi federali e la quasi totalità delle loro attività è costituita da aborti. La legge blocca in anticipo anche tutti i fondi federali, palesi o occulti, diretti o indiretti, che dovessero essere stanziati con la Obamacare. Però gli stati potranno continuare a praticare e finanziare l'aborto con fondi locali. La legge non tocca neppure le cliniche private che lo praticano con fondi propri. E comunque riguarda non l’aborto in sé, ma solo quello tardivo, dopo le 20 settimane di gravidanza, cioè a quello stadio di sviluppo in cui è scientificamente provato che il feto prova dolore e può sopravvivere in caso di nascita prematura. In quei casi, cioè, in cui aborto e infanticidio sono praticamente indistinguibili. Il voto giunge all’indomani della marcia annuale per la vita, ventiquattr’ore dopo l’anniversario della sentenza Roe vs. Wade che ha legalizzato l’aborto negli Usa. Gli attivisti per la vita considerano la nuova legge come una vittoria a metà. Si poteva fare di più? Certamente sì. Perché i repubblicani, che sono anti-abortisti (solo 1 dissidente nel voto di ieri) ed hanno la maggioranza sia alla Camera che al Senato, non sono andati fino in fondo? Vediamo perché.

La promessa elettorale repubblicana fatta ai movimenti pro-vita era molto più radicale: promuovere una legge che vietasse, su tutto il territorio nazionale, l’aborto tardivo oltre le 20 settimane di gravidanza. Il dibattito, anche all’interno del partito, riguardava semmai le eccezioni, nei casi di aborto terapeutico e di interruzione di gravidanza a seguito di una violenza carnale. C’era tuttavia il consenso per il divieto, non solo per il de-finanziamento. I termini sono cambiati, non a seguito del rischio di perdere la maggioranza in Congresso (che è molto solida), ma a causa di opposizioni interne allo stesso Partito Repubblicano e soprattutto per motivi di opportunità elettorale. La minoranza “pragmatica” del Grand Old Party (Gop), guidata soprattutto da un gruppo di deputate donne, ha premuto per ottenere una soluzione di compromesso. La prima obiezione è elettorale: il rischio di perdere consensi nell’elettorato laico negli stati in bilico, in quelli in cui il consenso per repubblicani e democratici dipende da una manciata di voti. Il prossimo avversario sarà, con tutta probabilità, Hillary Rodham Clinton, campionessa della causa femminista e abortista e i repubblicani, evidentemente, non se la sono sentita di sfidarla frontalmente su questo terreno. Alla vigilia del voto, la classe dirigente repubblicana, per tenere assieme il partito, ha dato retta anche alla minoranza dei “pragmatici” e ha optato per adottare un testo di compromesso: nessun divieto, ma de-finanziamento.

Non si tratta, neppure in questo caso, di un risultato da poco. In America, almeno, i conservatori hanno ottenuto che i cristiani non siano più costretti a pagare tasse federali per finanziare l’aborto. Ma adottando un testo di compromesso, annacquando la proposta originaria, i repubblicani hanno dimostrato al loro elettorato e al mondo intero di non riconoscere la vita del nascituro come un principio non negoziabile, tradendo così quello che era uno dei punti fondamentali delle idee di Ronald Reagan, il nume tutelare del moderno conservatorismo. E’ davvero solo una questione di consenso e di opportunità elettorale, come abbiamo visto prima? Non proprio, perché secondo l’ultimo sondaggio Abc/Washington Post, il 64% degli americani è favorevole a vietare o almeno limitare per legge l’aborto tardivo. Tenendo conto solo delle rispondenti donne, questa percentuale sale al 71%. E a questo punto non si capisce perché i repubblicani “pragmatici” che hanno imposto la linea al partito, avessero paura dell’elettorato femminile…

Si è trattato di una mancanza di coraggio, non ci sono altre spiegazioni. I repubblicani avevano tutto dalla loro: maggioranza al Congresso, maggioranza dell’opinione pubblica, il sostegno di tutte le confessioni religiose del Paese e un grande movimento organizzato per la vita che aveva appena riempito le vie di Washington. Di cosa hanno avuto paura, allora? Della cultura dominante, non di altro. Di quella cultura che vede nell’aborto un diritto umano, nella gravidanza una malattia, nel divieto dell’aborto una violazione dei diritti delle donne. E’ quella stessa cultura politica che giudica “estremista” chiunque, non solo in America, sostenga col suo voto i principi non negoziabili, dove “estremista”, nei media, diventa sinonimo di “ottuso” e in alcuni casi “pericoloso”. E’ di fronte a questi dogmi post-moderni che anche i conservatori americani hanno vacillato e ceduto. E così si ripete ancora una volta il paradosso americano, dove l’aborto è legale perché imposto dai magistrati e accettato dai politici, contro il parere di una maggioranza pro-vita.