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IL DILEMMA

I morti non mentono. Più autopsie per capire il Covid

Solo con l'autopsia si può capire chi muore di coronavirus o con il coronavirus. Solo le autopsie ci permettono di capire come funziona il Covid e come curarlo. E allora perché il governo continua a ribadire una linea di condotta contraria alle autopsie?

Creato 18_05_2020
Reparto di terapia intensiva al Policlinico di Roma

Adriano Trevisan, di Vo, provincia di Padova, aveva un triste record: essere il primo morto italiano di Covid-19. Era deceduto agli inizi dell’epidemia, il 21 febbraio scorso, a 78 anni. Ma dall’autopsia richiesta dalla Procura di Padova ed eseguita negli scorsi giorni uscirebbe un’altra verità: Trevisan presentava gravi patologie cronico-degenerative pregresse e il suo decesso, quindi, non sarebbe direttamente riconducibile al virus.

Una conclusione che in realtà non ha niente di sorprendente: fin dall’inizio si è cercato di spiegare che il Coronavirus stava facendo quello che normalmente fanno nelle persone defedate, fragili, con gravi patologie, altri microrganismi, come i virus influenzali o le polmoniti batteriche. All’inizio dell’epidemia, l’Istituto Superiore di Sanità aveva provato a sottolineare che occorreva distinguere tra morti di Coronavirus e morti con Coronavirus, una distinzione fondamentale. Ma il premier Conte aveva messo immediatamente a tacere i vertici dell’Istituto: questa distinzione non andava fatta. I numeri dei morti dovevano levitare, per aumentare la paura.

Oggi, grazie all’esito di questa autopsia, forse l’opinione pubblica potrà capire di essere stata ingannata. L’autopsia è da sempre una soluzione risolutiva di molti dilemmi. C’è un modo di dire tra i medici legali che è il seguente: i morti non mentono. Le autopsie, se eseguite fin dall’inizio dell’epidemia, avrebbero immediatamente portato alla luce quello che era il modo con cui il virus agisce e danneggia l’organismo. Quando finalmente sono state eseguite un numero sufficiente di indagini autoptiche, è emerso un dato eclatante: il primo effetto del Covid 19 è la CID, Coagulazione Intravascolare Disseminata. Cioè la formazione di “grumi” nel sangue e di trombosi. Solo in seguito si verifica la polmonite interstiziale doppia.

Abbiamo così capito che i trattamenti fino ad allora eseguiti negli ospedali, basati sulla ventilazione meccanica nelle terapie intensive, non erano risolutivi. Anzi: come ha spiegato il  professor Valerio De Stefano, Professore Ordinario di Ematologia all’Università Cattolica l’infiammazione in generale, le infezioni dell’albero respiratorio, l’ospedalizzazione e il ricovero in terapia intensiva sono tutti fattori di rischio per trombosi. Preso atto di tutto ciò, si è cominciato ad utilizzare l’eparina, un vecchio farmaco anticoagulante che si è rivelato assai efficace. La diminuzione della mortalità da Covid la si deve anche a questo aggiustamento di terapia  che è stato possibile da un’evidenza elementare: se so quali danni provoca il virus, posso agire impedendoglielo.

Ma perché in Italia non sono state fatte sin dall’inizio le autopsie? Perché i cadaveri venivano immediatamente inviati alle cremazioni?  La risposta è: perché le aveva vietate il Governo. Il tutto è nero su bianco nella circolare "Indicazioni emergenziali connesse ad epidemia Covid-19 riguardanti il settore funebre, cimiteriale e di cremazione" della Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, firmata dal segretario generale Giuseppe Ruocco e inviata a tutti i destinatari competenti, dalla Protezione civile, all’associazione dei Comuni, dagli ordini dei medici e delle professioni infermieristiche e dei farmacisti alle Regioni. È un aggiornamento di inizio maggio di norme varate dallo stesso ufficio sin dal 22 febbraio e ribadite il 17 e il 29 marzo. Al punto C, intitolato Esami autoptici e riscontri diagnostici, si legge al paragrafo 1: ”Per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati Covid 19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero sia se deceduti presso il proprio domicilio”.

Per quale motivo “non si dovrebbe procedere” a tali importantissimi riscontri? Occorre sottolineare che con il decesso cessano le funzioni vitali e si riduce nettamente il pericolo di contagio (infatti la trasmissione del virus è prevalentemente per droplets e per contatto) e che il paziente deceduto, a respirazione e motilità cessate, non è fonte di dispersione del virus nell'ambiente. Quindi quali eventuali motivi precauzionali potevano avere indotto a dare il divieto per le autopsie? Nessuna. Inoltre la circolare arrivava addirittura a limitare l’intervento della legge. Al punto 2, infatti, con riferimento a un eventuale interesse e intervento della magistratura si prescrive che ”L’autorità giudiziaria potrà valutare, nella propria autonomia, la possibilità di limitare l’accertamento alla sola ispezione esterna del cadavere in tutti i casi in cui l’autopsia non sia strettamente necessaria”. La sola ispezione esterna evidentemente non può fornire indicazioni precise sulla causa del decesso.

Bastava dunque fare da subito l’autopsia ai primi deceduti da Covid per individuare subito i migliori percorsi clinici e terapeutici, ma non è stato fatto. Un errore che ha pesato enormemente sul bilancio di questa epidemia.